La caccia è stata spesso accostata all'arte della guerra: un esempio è rintracciabile nel testo di Amedeo di Castellamonte "Venaria Reale, Palazzo di piacere e di caccia" ideato dall'Altezza Reale di Carlo Emanuele II Duca di Savoia, Re di Cipro del 1674.
Nella parte iniziale di quest'opera possiamo infatti leggere: «E veramente non deve V.S. negarmi, che non sia molto proprio questo parallelo della caccia con la guerra, poiché se il Principe per cacciar dai suoi Stati i nemici, o per invadere quello d'altri, arma gente a piedi, e a cavallo; fa lo stesso per la caccia, mentre a cavallo, e a piedi vien seguito dai cavalieri e da cacciatori armati. Se là manda corridori per spiare e riconoscere gli andamenti del nemico; qua vanno li cacciatori con i cani limieri allo spuntare del giorno, nel più folto dei boschi per indagare dove si annidano i cervi. Se là si distribuiscono le squadre dei soldati nei luoghi più opportuni per le offese; qua per il medesimo fine si organizzano le schiere dei cani e dei cavalli. Se là si attacca la battaglia, e si dà la fuga al nemico; qui si rilanciano i cani e con la velocità dei cavalli corridori si dà la fuga al cervo, lo si insegue per folti boschi, per monti, e per fiumi, ne mai lo si abbandona finché non venga a cadere sotto la spada del Principe, degna preda di sì generose fatiche. (...) Con la caccia del cervo i Principi, e i cavalieri abituano il corpo a sopportar le fatiche e i disagi che si incontrano nella guerra, rendendoli pratici delle strade, delle ville, dei guadi dei fiumi del proprio Paese, per valersene nelle occasioni di guerra poiché quel cavaliere che ardirà di affrontare gli animali più fieri nei boschi, non temerà nei campi di battaglia l'incontro dei più feroci nemici sicché possiamo concludere che la guerra sia veramente l'arte dei Principi e che la caccia del cervo ne sia la maestra».
L'utilizzo del francese come lingua "di caccia"
Il Castellamonte annota come la lingua utilizzata nella caccia del cervo sia il francese. La Francia, infatti, per agevolare il lavoro dei cacciatori ha creato dei modi di dire, dei lemmi che individuano tutte le fasi e le funzioni dell'attività venatoria. La trasposizione dello stesso linguaggio in italiano non è cosa semplice: «Sicché sarebbe schernito quel cacciatore che o non intendesse o parlasse fuori di detti termini i quali trasportati nell'italiana favella non avrebbero quella grazia, meno sarebbero intesi dai cani medesimi, che col venire la più parte da quei paesi, portano di là l'intelligenza delle voci e delle trombe dei cacciatori usando ben poco i Principi italiani di questa caccia del cervo, e se pure la fanno è sì di raro che non li obbliga al mantenimento di un apparato di spesa veramente reale, e per non essere alcuni di essi condotti dal cervo fuori dei limiti de loro Paesi, si accontentano per loro delizia della caccia della lepre, del bracco e dell'uccello di rapina».
La caccia al cervo come "status symbol"
Ecco che la caccia al cervo identifica, a causa dei suoi apparati, i casati di più alto livello che hanno risorse e territori per poterla attuare, mentre per gli altri, di fascia più bassa, occorre adattarsi a una caccia meno dispendiosa. La caccia al cervo svolge dunque una funzione di riconoscibilità di appartenenza a un determinato status nobiliare. La stessa architettura degli edifici dedicati a questo scopo viene pensata e realizzata per portare al massimo livello la narrazione del potere cercando nel contempo la funzionalità; Venaria Reale e le residenze sabaude sorte intorno a Torino rappresentano bene questi aspetti. Tra queste ultime segnaliamo la palazzina di caccia di Stupinigi riconoscibile da lontano grazie alla statua di un cervo collocata sul tetto del grande salone centrale.
Castellamonte dopo aver evidenziato il personale impiegato nella Venaria Reale, riporta alcune curiosità riguardanti Carlo Emanuele II e la sua famiglia: «Corre S.A.R. regolarmente due giorni la settimana al cervo, e qualche volta di più, non solo in questi contorni della Venaria Reale, ma anche in quelli di Rivoli, di Trana, di Stupinigi e dell'Abbazia di Casanova, in ognuno di questi luoghi ha fatto fabbricare altre particolari Venarie capaci d'alloggiar la propria persona, tutti i suoi cavalli, tutti i cani e i cacciatori. (...) A queste cacce molte volte vi conduce Madama Reale, e Madama Serenissima la Principessa Ludovica Maria sua sorella cacciatrice intrepida, e infaticabile con le dame, e damigelle».
Le nozze e la caccia
L'ingegnere ducale riporta nel dettaglio l'organizzazione di una caccia al cervo che segue le nozze della madamigella d'onore di Madama Reale e che vede la presenza di numerosi invitati: «Comparvero il giorno appresso tutte queste dame superbamente vestite con abiti acconci al cavalcare, con parrucche bionde, e capelli con vaghe piume in capo, in guisa che non da altro erano differenziate dai cavalieri che dalle proprie bellezze; e sentita la messa solennemente cantata con musica, andarono a pranzo (...). Finito il pranzo montarono tutti a cavallo guarniti quelli delle Reali Altezze e delle dame di quantità di nastri di vaghi colori e di ricche gualdrappe, e si incamminarono alla caccia col seguente ordine. Andava avanti solo il marchese di Caraglio gran Cacciatore, era seguito da tre gentiluomini e dal capitano di caccia dietro a quali venivano otto cacciatori a cavallo con corni al fianco e bacchette alla mano, indi tutta la muta dei cani accoppiati, e condotti dai garzoni e staffieri, e dietro a questi con intervallo di pochi passi le Altezze Reali e i Principi serenissimi seguiti da un squadrone di ben duecento tra dame e cavalieri; che tutti misti insieme facevano una superbissima pompa, e giunti alle tele, fatta caccia di due cervi, stati vantaggiosamente rinchiusi in esse, ritornarono sul fare della notte al palazzo ove dato principio al nuovo ballo e indi a più lauta cena».
La Reggia di Venaria Reale
Descrive molte stanze della reggia di Venaria con alcuni quadri che illustrano le diverse fasi della caccia al cervo, poi: «Qui segue un'altra camera, la volta della quale è ripartita in cinque campi di pittura con i suoi ornamenti di stucco come le altre, e vi si rappresentano alcune proprietà dei cervi. Nel campo di mezzo V.S. vede Diana sopra il suo carro tirato da due cervi bianchi sopra le nuvole tra folgori, e lampi, dei quali essi non si paventano ancorché siano di sua natura timidi: il motto, perdi il timor, chi serve a un nume invitto. In questo laterale V.S. vede che mentre quel cervo sta attento a udir suonar una piva da quel cacciatore, da altri viene ferito con le saette: il motto, troppo lieve è il diletto, e grave il danno. In quest'altro un cervo aguzza le corna ad un sasso alpestre: il motto, l'armi al pugnar ma non il cuor prepara. In questo terzo lato il cervo posa le corna sotto un albero: il motto, ad altri gioverà ciò che a me nuoce. Alludendo al peso delle sue corna, che a lui è grave, e al beneficio che da esse ricevono gli uomini per la sanità. In questo quarto, V.S. vede quel cervo, che soffiando in una caverna fa col suo alito uscire i serpenti, che vi si racchiudevano dentro, quali l'assalgono, chi le gambe, chi il collo, e chi gl'occhi: il motto, chi provoca il suo mal di se si doglia».
Dopo aver illustrato gli interni, le facciate e le fontane, Castellamonte descrive il parco cintato da un muro dove all'interno: «Si rinchiude numero infinito di lepri, quantità di daini, e cervi, e questi non solo servono alla delizia della caccia delle reali altezze, e delle dame, ma alcuni d'essi sono resi sì familiari che si lasciano metter il freno, giungere al cocchio del serenissimo e real Principe nostro, e condurlo per alcune miglia ove li piace, al passo, al trotto, e al galoppo, arditi, e orgogliosi per sì nobile impiego, con non piccola meraviglia di chi li vede».