Le valli valdesi del Piemonte, Pellice, Chisone e Germanasca, sono uno scrigno di natura e cultura. Nel Sedicesimo secolo proprio in questi luoghi le truppe Savoia combattevano contro quelle francesi: sulla sponda sinistra del Torrente Chisone i francesi, a destra i Savoia. Soldati, cavalli, carri, battaglia, terrore e morte, infuriavano le Guerre di religione e i francesi portavano avanti le loro persecuzioni contro protestanti e ugonotti. Migliaia di seguaci di Valdo di fede protestante residenti in queste valli erano costretti ad attraversare il torrente verso sud per cercare rifugio verso la Val Germanasca: scappare a Pomaretto, Chiotti, Perrero, Massello e poi su, su fino a Prali, dove i Savoia, a differenza dei francesi, garantivano ancora una certa libertà di culto. Fu un esodo storico, una fuga impressionate di famiglie, vecchi, bambini. Qualcuno portava con sé le poche masserizie, altri non avevano più nulla. Poi Luigi XIV si lamentò col cugino Vittorio Amedeo, il duca di Savoia, per la sua tolleranza e i valdesi furono costretti ad andarsene anche da lì, scortati dai soldati lungo la pianura piemontese per poi attraversare il Valico del Moncenisio e proseguire verso Ginevra dove trovarono temporaneamente rifugio. Ma tornarono, i valdesi, tre anni dopo, e fù battaglia di resistenza alla Balziglia, una borgata sopra Massello, ancora una volta in Val Germanasca, dove ebbero la meglio sulle truppe franco-sabaude. Una storia che ancora oggi si legge nella forte fede e cultura valdese, e su usi e costumi, che contraddistingue questi luoghi, dove la popolazione ha fatto della resilienza la propria bandiera.
Le valli Pellice, Chisone e Germanasca, ancora oggi sono conosciute per il loro forte senso di identità sociale e culturale, oltre che religioso. Ma molti non sanno che questa loro forte identità si riflette anche sulle tradizioni e sulle abitudini alimentari. Infatti le comunità locali sono impegnati sul patrimonio immateriale legato al cibo delle loro vallate, e promuovono iniziative di valorizzazione dei loro prodotti tipici. Tutti prodotti rigorosamente locali realizzati da aziende delle valli, che attraverso la promozione delle tradizioni aiutano a mantenere in equilibrio un ambiente prezioso e unico, altrimenti a rischio abbandono. Proprio per preservare e valorizzare alcuni di questi prodotti, nel 2023 un gruppo di produttori delle valli valdesi ha dato il via all'Associazione delle Delizie del Dahu, che raccoglie una serie di prodotti di qualità dagli insaccati, ai formaggi alle carni e ai vini, della cultura valdese. L'impegno dei produttori dell'enogastronomia locale, si inserisce all'interno della più ampia strategia di sviluppo territoriale voluta dalle amministrazioni locali e denominata Terre del Dahu, che con i prodotti tipici hanno visto la nascita del primo patto pubblico-privato de facto per costruire progetti in grado di sostenere lo sviluppo territoriale. E il fil rouge della strategia è il Dahu, un po' camoscio un po' stambecco, animale mitologico e simbolo, simile ad una capra con lunghe corna e zanne prominenti: la sua particolarità sono le zampe, molto più corte da un lato, perché vive su monti ripidissimi e pur adattatosi alla pendenza è obbligato a spostarsi sempre nella stessa direzione, senza potersi girare e tornare indietro, altrimenti perderebbe l'equilibrio.
Anche se oggi difficilmente si può parlare di una cucina unicamente valdese, distinta in maniera chiara da quella delle altre popolazioni montanare e dei cattolici che vivono negli stessi luoghi, la lunga ghettizzazione nelle vallate alle spalle di Pinerolo da un lato (fino al 1848) e i forti legami internazionali con le comunità protestanti dell'Europa centrale, hanno portato ad alcune abitudini e pratiche tipiche di queste valli. Ad esempio quella di interrompere a metà pomeriggio i lavori di casa e dei campi, per sorseggiare una tazza di tè (che nelle alte valli era più spesso una tisana d'erbe, magari allungata con del vino). Si tratta di un'usanza, oggi quasi scomparsa, derivata dagli stretti rapporti tra i valdesi di queste zone e gli inglesi, come mostra anche l'importanza del sistema scolastico capillare, che ha portato l'istruzione di base anche nelle borgate più remote, sostenuto dal colonnello inglese Charles Beckwith.
I famosi chef locali Walter Eynard e Gisella Pizzardi, che per anni hanno gestito un ristorante a Torre Pellice, da tempo si occupano di studiare e raccontare la cucina delle loro valli. E scegliendo dalle loro narrazioni, sono almeno due le preparazioni che caratterizzano la cultura alimentare delle valli valdesi e che vale la pena raccontare. La prima è la mustardela, un insaccato prodotto principalmente con il sangue e gli avanzi della macellazione del maiale (teste, frattaglie, etc.), che è espressione della fondamentale importanza di "non buttare via niente", che da sempre caratterizza l'economia familiare di montagna. La realizzazione della mustardela (oggi Presidio Slow Food) racconta Giovanni Michelin Salomon, macellaio di Bobbio Pellice e portavoce dell'Associazione dei produttori e dalla famiglia Garnier di Villar Pellice, fa parte dalla macellazione familiare del maiale, il festin dal crin, che un tempo, ancora più di oggi, rappresentava una festa per tutta la famiglia. Al festin è legata anche la preparazione della supa barbetta, la famosa minestra, che prende il nome dall'appellativo dispregiativo di "barba" attribuito ai valdesi. Preparata con brodo di carne (un tempo di ossa), grissini (un tempo pane secco) e formaggio, la supa oggi viene considerata il piatto più rappresentativo della cucina valdese ed è preparata per le occasioni speciali, come i pranzi comunitari organizzati per il 17 febbraio, festa delle libertà civili.