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Quando felinità fa rima con femminilità

«Sforzatevi di capire i gatti e capirete anche le donne». Così recita un detto orientale difficile da contraddire...

  • Loredana Matonti
  • gennaio 2010
  • Giovedì, 28 Gennaio 2010

Entrambi creature mutevoli, talvolta lunatiche, misteriose e affascinanti, donne e gatti sanno comunicare con lunghi silenzi e profondi sguardi quello che sentono. Sia il gatto che la donna sanno essere dolci, avere movenze aggraziate ed eleganti e al contempo, all'occorrenza, sanno sfoderare gli artigli. La scrittrice Colette diceva che donne e gatti si somigliano perché «entrambi possono essere costretti a fare solo ciò che vogliono fare». Nessun dubbio, quindi, sulla celebrata affinità dell'universo femminile con quello felino, entrambi associati a una duplice simbologia tra bene e male, tra luce e ombra, che sembra trascendere il tempo e lo spazio. Non poteva mancare il riferimento tra i due esseri anche nel cinema e nei fumetti, dall'indomabile Cat Woman all'ex fidanzata dell'uomo ragno, la bella Black Cat. Anche nell'immaginario collettivo da sempre la "gattara", il personaggio che si occupa di dare da mangiare ai gatti randagi o che ha una particolare predilezione per loro, è una donna. Tra gli uomini sono gli artisti i più "gattofili": i francesi Baudelaire e Verlaine hanno mirabilmente descritto il continuo fondersi di felinità e femminilità. «Quando a lungo carezzan le dita la testa e il tuo dorso elastico, (quello della gatta) pare di riconoscervi la donna amata». Le affinità sono esplicite: «Lo sguardo suo, come il tuo, dolce animale, acuto e freddo, come dardo strazia e uccide». Alcuni affermano che le donne vedono nel gatto un'incarnazione dei loro ideali: creature capaci di amare e stabilire forti legami, ma allo stesso tempo forti, libere e indipendenti, che non temono di esternare i propri sentimenti e non hanno bisogno di un capo. Nel libro Le Psy-cat, Odette Eylat sostiene che «il gatto è amato, ricercato o sfuggito proprio come l'analista che ricostruisce per noi l'interrotto cordone ombelicale con la Grande Madre Natura, l'infinito».
Proprio come la donna, provocatrice e risvegliatrice di istinti materni, sensuali, provenienti dal più profondo del nostro inconscio.
Tra mito e leggenda
Nessun altro animale sembra sia stato così intimamente legato alla condizione femminile in tutte le epoche storiche. Sin dai tempi degli antichi Egizi, il gatto era un animale sacro e probabilmente furono proprio loro, i primi a instaurare un rapporto di convivenza con questo piccolo felino. Le prime testimonianze, risalenti all'Antico Regno, si trovano nel Libro dei Morti, dove il gatto, identificato sostanzialmente col leone, combatte contro Apophis, il pitone delle paludi, simbolo delle forze malvagie, allorché attacca la terra durante la notte. Sicuramente addomesticato con difficoltà, era onorato perché proteggeva i granai dai topi e quindi il popolo dalla carestia. Inevitabilmente, la forte affinità tra gatto e donna fu presto notata dagli attenti Egizi, che veneravano Bastet, divinità solare col corpo di donna e la testa di gatto.
Alle volte venne raffigurata con una testa di leonessa e il corpo di donna, e in questo caso prese il nome di Sekhmet, detta anche "Occhio di Ra", mandata dal padre a distruggere i nemici. In alcune leggende egizie, Bastet e Sekhmet sono sorelle.
Protettrice dei gatti e di coloro che se ne prendevano cura, era una dea potente, legata a Ra, simbolo della femminilità, della sensibilità e della magia. Proteggeva anche i bambini, l'amore, la fertilità, la famiglia e la casa. I riti in onore di questa dea erano incentrati sulla purificazione e sulla profumazione, rappresentazione della trasformazione che la donna effettua durante il ciclo mestruale. Ella rappresentava così la dualità insita in ogni donna, quella solare e luminosa, visibile a tutti, docile e remissiva, e quella lunare, ovvero nascosta, misteriosa, indipendente e potente.
Il suo culto era incentrato nella città di Bubastis, nel cui tempio sono state rinvenute centinaia di effigi dedicate alla divinità, raffigurate secondo alcuni modelli ricorrenti: come dea madre intenta ad allattare i propri piccoli o come gatta-regina coperta di gioielli e raffigurata in atteggiamento ieratico.
Da qui, la credenza egizia femminile che la bellezza dei gatti fosse divina, ideale, fatale. Le donne stesse si truccavano accentuando tratti tipicamente felini, come la forma degli occhi per accentuarne l'aria misteriosa. Attraverso l'Egitto il gatto giunse nei paesi arabi, dove il felino venne preso rapidamente in simpatia e la sua fama ben presto eguagliò quella del cavallo, altro animale sacro.
Con l'avvento della civiltà greca, l'aspetto solare di Bastet passò in secondo piano, e venne associato principalmente al culto della Luna, divenendo una rappresentazione di Artemide. Stessa concezione anche presso i Romani, che lo ritenevano sacro a Diana, associata alla luna, alla femminilità e alla magia; proteggeva la gravidanza e intratteneva un rapporto privilegiato con la natura, i boschi, gli animali e le piante. Ella, per sedurre il fratello Apollo e concepire da lui un figlio, prese forma di gatto.
Anche in Oriente si trovano simili divinizzazioni: in India la dea Sasti, divinità felina anch'essa simbolo di fertilità e maternità.
Nella mitologia nordica i gatti sono associati alle dee della fertilità, come Freya e Brigit. Narra la leggenda che Freya, la bellissima dea dell'amore e della fertilità, viaggiasse sul suo carro d'oro, trainato da una coppia di gatti maestosi. Venerdì in inglese si dice Friday, ossia "il giorno di Freya", ed era considerato il giorno più propizio per le nozze. Qualche studioso suppone esistesse anche un legame tra il gatto e la Dea Madre dei druidi celti.
Tanto adorato nell'antichità quanto demonizzato e perseguitato in Europa nel Medioevo, quando fu associato alla sfortuna e al male, soprattutto se nero, e anche alla femminilità. Gli si attribuivano dei poteri soprannaturali, tra cui la facoltà di possedere nove vite. Il gatto seguì il destino di molte donne accusate di stregoneria, ritenute capaci di trasformarsi in animali, in particolare in gatte. Papa Gregorio IX li dichiarò stirpe di Satana nella bolla papale del 1233, con la quale prese avvio un vero e proprio sterminio di queste creature, torturate e arse vive al fine di scacciare il demonio. Ciò portò in Europa a una tale riduzione della popolazione felina da causare il proliferare di ratti e topi, specialmente nelle grandi città, favorendo la diffusione della peste in tutto il continente. Solo agli inizi del 1700 il gatto venne riaccolto con favore nelle case, ma per la rivincita della sua immagine dovette attendere più tardi, nel 1800, quando fu scagionato completamente dalla ricerca in medicina, che lo ritenne fra gli animali non portatori di malattie. In questo periodo divenne l'animale romantico per eccellenza, misterioso e indipendente.
Eppure ancora ai giorni nostri, ogni tanto la cronaca denuncia misteriose scomparse feline ad opera di strane sette, soprattutto dei gatti a manto nero, che a causa di questa caratteristica, bisogna dire, la sfortuna sembra la rechino più a se stessi che agli altri.
Così, ancora oggi, le donne e i gatti, prima venerati e amati, poi messi al rogo e perseguitati, o relegati a un ruolo marginale, stanno lottando fianco a fianco nel lungo cammino verso l'emancipazione e la libertà.

Per saperne di più: Grande Enciclopedia del Gatto, De Agostini, volume 6°.

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