Un documento intitolato «Boschi di larice e faggio» conservato all'Archivio di Stato di Torino, intendenza di Pinerolo, databile verso la metà dell'Ottocento, ci consente di conoscere quali peculiarità venivano attribuite alla conifera.
La relazione è stata redatta da un tecnico che ha prestato servizio in ambito forestale in più località: «I larici, che sono gli alberi i più preziosi di tutti, abbondano negli stati di Sua Maestà. Crescono sulle Alpi, e come altri hanno già fatto osservare, sono assai rari in Francia ed in Allemagna e quasi sconosciuti nelle altre regioni. Il legno di tali piante in alcune è rosso, ed in altre biancastro. Quelle di legno rosso sono molto più ricercate ed apprezzate, essendo altrettanto più forti, quanto meno facili a contorcersi e screpolarsi. Generalmente queste ultime contengono maggiore quantità di resina che le rende di lunghissima durata perché difficilmente l'umidità riesce a penetrarle. Sarebbe quasi impossibile il determinare con qualche precisione il tempo che può essere necessario perché i larici acquistino il detto colore. Il sottoscritto ne ha vedute in certe località di quelli di 10 centimetri e più di diametro che non ne avevano ancora che poche vene al centro, quando in altri siti gli occorse di vederne di quelli di 15 a 20 centimetri di diametro, nei quali il color rosso era già ben apparente. È stato pure osservato che il larice crescendo in terreno che partecipa del secco e dell'umido od in altro di natura ferace, esposto a levante ed al nord, acquista meno di quel colore che quando vegeta in terreno assolutamente secco, esposto a mezzo giorno e ponente. Le piante di larice sono fra il numero di quelle che mettono fittone, che è quanto a dire una lunghissima radice perpendicolare a cui ne sono sempre aderenti delle altre che si spandono orizzontalmente nel terreno. Egli è per ciò che le medesime assai difficilmente vengono atterrate dai venti. Nelle province di Oneglia, Susa e Pinerolo in cui il sottoscritto ha prestato il suo servizio, egli ha incontrato i boschi più belli di larice che si possano immaginare. (...) Ma in nessuna delle menzionate tre province egli ha avuto la soddisfazione di scorgere messo in pratica nel tagliamento dei boschi di larice il metodo segnato dagli agronomi, quello di far cadere il tronco dell'albero con il suo pedale o ceppo attaccato. E tutto perché la gente di contado non si è voluta ancora persuadere che se non si estraggono i ceppi, e talvolta le stesse zolle erbose, smuovendo per tal modo il terreno, egli è sommamente difficile che la semenza del larice si possa mettere a contatto collo strato inferiore del medesimo e germinare. Cosicché restando qualche tempo allo scoperto, disecca facilmente e perde la facoltà di germogliare. Da ciò la vera origine della ognora crescente dispersione dei boschi di quella preziosa essenza. Si potrebbe citare a questo oggetto una serie d'esempi, ma bastino a far prova di questo i lariceti posti sulle montagne dei comuni di Chiomonte, Exilles e Salbertrand. Là in certe parti non si incontrano più che tanti ceppiconi smozzati all'altezza di un metro dal suolo, perché per farla anche più spedita, le piante si tagliavano per lo passato in quella maniera. Per l'opposto si potrebbero accennare alcuni altri esempi di boschi di larice, riprodottisi naturalmente per essersi in qualche luogo praticato lo smovimento del terreno. Ne facciano fede alcuni siti nel concentrico od in prossimità dei boschi comunali di San Giorio (Susa) ove erano stati eseguiti parziali dissodamenti ad oggetto di metterli a coltura. Dopo che questi siti si sono dovuti abbandonare da coloro che li avevano indebitamente dissodati, e che perciò ne è cessata la coltivazione, ne sono nati migliaia e migliaia di piantini di larice per effetto della naturale caduta della semenza dalle piante circonvicine, tal che a prima vista, non si distinguerebbe bene se quelli non siano tanti vivai espressamente diretti dalla mano industre dell'uomo. È inutile osservare che generalmente i larici non amano di essere trapiantati, essendosene ciascheduno abbastanza convinto per le molte replicate esperienze. L'ultima prova l'hanno fatta i monaci Benedettini sul Montecenisio, che riuscì parimenti infelicissima. Del resto le piante di larice sono molto ricercate per opere di costruzione. (...) Si fanno anche valere all'armamento delle viti, convertendone i rami in pali, ed il tronco in pertiche».
Questo documento ci consente di apprezzare usi, abitudini e conoscenze della gente di montagna di un tempo. Ora le foreste stanno ricoprendo sempre più spazi abbandonati dalle colture, soprattutto nelle vallate alpine, regalandoci scorci di rara bellezza in ogni momento dell'anno.