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I nomadi del deserto.

I beduini sono una popolazione antichissima che da sempre vive nel sud-est dell'Egitto, terra inospitale ma anche dagli straordinari interessi naturalistici.

  • Mino Lodola
  • gennaio-febbraio 2012
  • Sabato, 7 Gennaio 2012


Mino Lodola

Ogni cinque anni a Sampeyre in Val Varaita, la Baìo (di cui si parla nelle pagine precedenti) rievoca e festeggia la scacciata dei Saraceni. Ricordo forte quello dei temibili predoni, i "sarasin", giunti sulle nostre montagne dall'oltremare. La parola saraceni col tempo è passata a indicare tutto quello che è esotico e spaventevole, che in qualche modo si contrappone al mondo civilizzato, l'uomo nero che porta via i bambini. Ma chi erano questi temutissimi saraceni? Il termine potrebbe essere stato coniato su una matrice greca di derivazione araba, nel senso di orientali (sarakenos), ma un'altra interpretazione vuole il nome saraceno derivato da quello di una popolazione beduina, o meglio tribù, del Sinai meridionale, i Sarakenoi, stanziata negli intorni del golfo di Aqaba e dediti al brigantaggio. Beduino, che è spesso sinonimo di saraceno e ad esso associato, deriva dall'arabo badw che significa deserto e dei deserti queste popolazioni sono gli incontrastati signori. Atanasio, discepolo di sant'Antonio l'egiziano, scrive in proposito: "Considerava quel posto come casa sua (il deserto orientale n.d.a). I saraceni vedendo lo zelo di Antonio passavano di proposito per quella via ed erano contenti di potergli portare dei pani". Pastori nomadi di origine semitica dalla penisola arabica hanno dapprima raggiunto le coste mediterranee e attraverso l'itsmo di Suez, il deserto orientale egiziano dove ancora li troviamo. Difficile immaginare un luogo più inospitale. Una landa pietrosa corrugata da montagne di granito, incise da profonde gole e da wadi, i fiumi fossili, che un tempo molto lontano devono aver conosciuto il ruscellare dell'acqua. Le precipitazioni oggi sono scarsissime, ci dice Amr, la guida che ci ha accompagnati a conoscere i beduini del deserto, l'ultima volta che da queste parti ha piovuto seriamente è più di dieci anni fa, nel 1997. La vegetazione di conseguenza è ridotta a pochi sparuti cespugli e a qualche raro albero. Parrebbe impossibile vivere in un ambiente del genere che presenta per altro fortissime escursioni termiche tra giorno e notte e lo sarebbe sicuramente, se non fosse per il dromedario, quello con una gobba sola, che tutti si ostinano chiamare cammello che di gobbe invece ne ha due e viene dal freddo delle steppe dell'Asia centrale. Addomesticato intorno al 4000 a.C., è animale parco e frugale, al tempo stesso mezzo di trasporto e di sostentamento. Dal "cammello" si ricava la lana che le donne tessono per fare i tappeti che, barattati al mercato, permettono loro di approvvigionarsi della farina per il pane e delle poche altre cose necessarie (caffè, tè, melassa), dal latte se ne fa formaggio e burro e nelle occasioni speciali come i matrimoni, fornisce suo malgrado la carne per i banchetti. Lo sterco di cammello oltre che concime seccato è spesso l'unico combustibile disponibile. Certo fa un po' impressione vedere le donne manovrare con grande abilità la sottile sfoglia di pasta da cuocere sulla pietra arroventata alla fiamma di "cammello" ma anche sulle nostre Alpi non è raro vedere mattonelle di combustibile fatte di sterco secco di vacca (Val d'Arc, Romance). E l'urina infine pare sia un efficace rimedio contro la scabbia, malattia endemica la cui diffusione è conseguenza delle precarie condizioni igieniche dovute alla scarsità d'acqua. Lo stesso Islam ha dovuto adeguarsi, tanto che i lavaggi rituali sono spesso sostituiti da una gestualità "a secco". Al dromedario fanno compagnia qualche asino e minuscole capre che, come si sa, più delle pecore sono di bocca robusta. Questo microcosmo di uomini e di animali ruota intorno al pozzo dove miracolosamente sgorga l'acqua. Un'acqua salmastra e poco invitante che però permette la vita. Sotto il deserto c'è più acqua di quanto non si pensi, solo che è ben nascosta e il problema sta nell'individuarla. Il beduino ha imparato ha conoscere i segni che indicano i luoghi dove è possibile scavare un pozzo con buone possibilità di successo. Il colore delle rocce, più scure dove c'è umidità, la conformazione del terreno (una valle, una conca), la presenza (si fa per dire) di una più fitta vegetazione sono indizi. È nei pressi del pozzo, non nelle immediate vicinanze ma a una certa distanza, che il beduino innalza il suo accampamento. Saranno le donne che all'alba si dovranno sobbarcare la fatica di procurare l'acqua necessaria per il campo. Non per niente le caratteristiche fisiche più apprezzate in una ragazza da marito sono le caviglie grosse e robuste! Sebbene alcuni si siano sedentarizzati e il governo egiziano si prodighi per la loro normalizzazione i beduini continuano ad essere degli irriducibili nomadi e quando un pozzo si esaurisce fanno fagotto e partono alla ricerca di un nuovo posto dove vivere. La loro particolare struttura sociale ha permesso di conservare l'identità culturale, parlano un dialetto proprio e l'interpretazione che danno dell'Islam è fortemente permeata da antiche tradizioni animiste e sciamaniche. La base è data dalla tribù costituita secondo il vincolo di sangue, a capo c'è un "sheik", i matrimoni avvengono quasi esclusivamente tra cugini, ed è il capo clan a decidere del tempo e dei modi delle unioni. La poligamia (sino a quattro mogli) è ancora ampiamente praticata e la vita della donna sposata è tutt'altro che invidiabile. Vivono da reclusa nella sua tenda senza possibilità di rapporti con l'esterno. Esterno che poi è l'ostile e arido deserto. Benché siano nel territorio egiziano da molte generazioni non hanno mai accettato di integrarsi, sono come i vostri zingari, ci tiene a precisare Amr, vogliono essere diversi, non fanno male a nessuno, ma se ne stanno per conto loro. E quando devono spostarsi preferiscono stare lontano dalla strada asfaltata. Non hanno documenti e sono gli unici a muoversi senza controlli doganali attraverso la frontiera che separa Egitto da Sudan. Frontiera nei cui pressi si trova il più importante mercato mondiale di dromedari e questo è il paradosso: gli animali sono più controllati degli uomini. Il turismo che in nome della globalizzazione sta invadendo anche queste sperdute contrade (non tanto per il deserto ma per lo straordinario Mar Rosso e la sua barriera corallina), è comunque un grimaldello in grado di modificare usi e costumi. Il capo famiglia per andare al mercato, al cammello preferisce il pick-up anche se non possiede ovviamente la patente e qualche altro intraprendente dal turismo ha capito di poter trarre un qualche giovamento. Ecco allora cene, beduine e tè nel deserto magari per ammirare il tramonto, che turismo o non turismo è pur sempre una esperienza indimenticabile. Quando ha iniziato la sua attività, ci spiega Amr, il nostro ospite aveva sei cammelli. Adesso sono più di venti e un buon cammello, di euro, ne vale almeno 1500. Il governo, nel tentativo di integrare le popolazioni nomadi, sta cercando di coinvolgerle attivamente nella gestione dei Parchi nazionali recentemente istituiti nel sud-est dell'Egitto. Come i membri della tribù dei Bishari del Parco nazionale di Wadi el Gemal, che con i suoi 35.600 km2 è il più vasto del paese e che vanta una ricca fauna con molte specie di uccelli tra cui lo struzzo e a ridosso della costa anche qualche raro dugongo (un sirenide a metà strada tra un tricheco e una balena) e gli Ababda, clan della tribù Beja, del Parco nazionale di Wadi el Gemal, situato 40 km a sud di Marsa Alam. A Wadi el Gemal dal 2005 è attivo un "campo di tende" Fustat, un progetto eco-turistico rivolto ad un turismo consapevole ed educativo. La maggior parte del personale del lodge è beduino, come beduine sono le guide che accompagnano i visitatori nelle escursioni valorizzando così il profondo legame con la natura di queste genti.

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