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La natura educa?

La natura non educa! Seleziona, ce lo insegna Darwin. È la cultura a educare: se non si mette l'accento sui processi naturali, se non s'indaga sul linguaggio dei luoghi in cui questi si manifestano si rischia di essere semplici spettatori di "pezzettini di natura", senza comprenderne il senso. Riflessioni sull'educazione ambientale.

  • di Alessandro Barabino, Parco Alpi Marittime
  • novembre 2013
Lunedì, 17 Marzo 2014
La natura educa? La natura educa?

«La natura educa?».  Con questa domanda mi sono presentato al gruppo, studenti e insegnanti di una scuola con cui avevamo organizzato la visita nel Parco delle Alpi Marittime. Come risposta, qualche si, un paio di smorfie, occhi assenti e un cellulare che suonava. «No, la natura non educa!», la risposta.

A questo punto gli occhi assonnati si sono spalancati, fissandomi, con quell’espressione un po’ sbalordita di uno che ti chiede: «Ma che stai a dire? E lavori pure in un parco…!».

«Ditemi, cosa c’è di educativo in un lupo che sbrana una preda, magari un tenero capretto...
Lo dilania, spargendo sangue e brandelli di carne e peli ovunque, peggio di un serial killer. Oppure, che dire, del maschio di leone, che uccide i cuccioli della leonessa con la quale vuole accoppiarsi perché spinto dall'irresistibile istinto riproduttivo. Begli esempi educativi…
».

Provoco e sbircio i due insegnanti, un po’ sbigottiti, confabulare tra loro, allora incalzo…
«No, ragazzi, la natura non educa! Seleziona; ce lo insegna Darwin. È la cultura a educare: se non si mette l’accento sui processi naturali, se non s’indaga sul linguaggio dei luoghi in cui questi si manifestano, si rischia di essere spettatori, di “pezzettini di natura”, senza comprendere le relazioni che s’intrecciano, anche negli scenari più truculenti presenti nella biodiversità. Con un processo culturale possiamo scoprire le leggi che governano i regni della natura, e allora… anche un lupo o un leone si palesano in noi con il ruolo che ricoprono nei loro habitat».

Continuerò la giornata con la classe svolgendo il programma “Pastori e Lupi”, un’esperienza basata sul rapporto tra attività pastorale e convivenza con “il predatore”; una bella occasione per dare un “carattere” alla visita di istruzione di questi ragazzi. In occasioni come queste il parco, diventa un laboratorio, un’espressione di cultura e sostenibilità, di incontro tra persone: in una parola, di relazioni. Anche nel Testo Unico sulle Aree protette ciò viene enunciato: “…Promuovere la fruizione sociale e sostenibile e la diffusione della cultura e dell'educazione ambientale.”

Tempo fa mi sono chiesto perché il ruolo educativo sia stato introdotto nei parchi? Non è forse la scuola a essere depositaria del duplice impegno di trasmettere la cultura acquisita e di concorrere alla creazione di una nuova?
Di fronte alle emergenze ambientali causate dall’uomo spesso dovute alla pessima gestione dell’ambiente, alla speculazione, all’esodo dalle montagne o al disinteresse delle persone per il territorio, si è sviluppata nel tempo la consapevolezza che i Parchi possano fornire un contributo alla soluzione del conflitto tra gli attuali modelli di sviluppo e l’esistenza di un ambiente compatibile con la sopravvivenza umana. Ecco, non è forse questa la sfida educativa di cui le aree protette sono impegnate, ognuna con le sue peculiarità, risorse, territori, persone.
Ma i ragazzi con cui sto lavorando, sono consapevoli di questo? Potrei provare a sentire cosa ne pensano… ma il tempo stringe, si sempre il tempo!
Termino il mio intervento con la classe. Un ragazzino, Erik, mi avvicina per dirmi che gli è piaciuta la giornata. Bene, penso, chissà cosa è rimasto negli altri che stanno facendo a gara a chi sale prima sul bus. Saluti di rito con le insegnanti che sfoderano sorrisi per la foto ricordo, strette di mano. Li vedo ripartire, qualche alunno mi saluta dal finestrino... ciao-ciao. Rientro a casa guidando, il cd suona un valzer provenzale e il tramonto invoca pensieri…

È un po’ che non ricevo notizie da Carlo, per due anni ci siamo scambiati e-mail ricche di pensieri, citazioni, aneddoti riguardanti l’Educazione Ambientale. Ah già, ora si chiama anche Educazione Sostenibile. Lui preferisce definirla Educazione alla Relazione. Mi ricordo quella volta che  gli ho scritto che non credo più che l’Educazione Ambientale debba lavorare su tempi lunghi. Di certo ho visto negli ultimi vent’anni molte iniziative e progetti, anche promossi dai parchi, o altri Enti e organizzazioni, anche tramite i finanziamenti InFEA, ma la mia impressione è che si siano tamponate solo alcune delle emergenza ambientali che i nostri stili di vita creano, senza avviare un efficace e efficiente cambiamento verso buone pratiche di sostenibilità.

«Se posso dirti una cosa – scrissi a Carlo – sono un po’ deluso per le vicende ambientali che vedo intorno, e dal processo sull’educazione ai cambiamenti. Mi sono convito che la l’Educazione Ambientale o Educazione Sostenibile debba agire su tempi brevissimi, quasi fulminei. A ben pensarci se vogliamo portare le tematiche ecologiche, ambientali, sostenibili che interessano il Pianeta a confrontarsi con le emergenze sociali dei nostri territori, dobbiamo farlo pensando a una specie di “parcellizzazione” delle azioni, affrontando la globalizzazione come formichine: dal basso, ognuno nelle sue mansioni, nei propri ruoli e contesti. Un lavoro incessante, quotidiano, condiviso, da cesello come l’opera di uno scultore che leva materia per aggiungere al vuoto la forma della sua arte.
C’è bisogno di uno stillicidio che, pur serbato al sicuro delle nostre incertezze, faciliti il divenire di azioni e progetti sostenibili. Serve quel gocciolio che scavi nelle cattive azioni insostenibili e depositi le relazioni sostenibili. “Parcellizzazione” per me è versatilità di azioni, ramificazione di intenti, obiettivi raggiungibili a breve, con piccoli fatti quotidiani. Amico mio, non possiamo permetterci tempi lunghi, lavoriamo alla sostenibilità in tempi brevi e facciamolo per bene».

Carlo, mi rispose a suo modo:  «Leggi quello che scrive Piero Bevilacqua che richiama molto la necessità e l’opportunità sostenibile della parcellizzazione rivolta alla “comunicazione: “… È necessario per questo scopo straordinario fare esplodere una nuova creatività comunicativa, in grado di raggiungere i milioni di italiani che ricevono informazione solo dalla TV e non leggono i giornali…E’necessario trasferire l’agorà virtuale di internet fra i cittadini, renderlo reale. Davanti ai supermercati, nei mercatini rionali, dove le persone si affollano, occorrerebbe creare piccole oasi di discussione, anche con pochi gruppi in grado di interloquire con i passanti che leggono le denunce rese visibili e leggibili nei modi più vari. Isole che interrompono il flusso della vita quotidiana e in cui si formano improvvisi addensamenti di socialità…».

A tal proposito l'amico Carlo mi inviò una citazione: “La nostra è una società dove si comunica molto ma si dialoga poco, creando così le condizioni per l’isolamento e la solitudine, che sono alla base di ogni sofferenza psichica. Ma se sviluppiamo la capacità di introspezione di noi stessi e di dialogo profondo con gli altri, possiamo andare al di là dei rapporti oggi per lo più fragili e mutevoli, che riducono la realtà al privato individuale, in cui è più facile perdersi”.(Veronesi)

«Ma secondo te– gli chiesi - i parchi quanto riescono a comunicare  e  a  portare l’attenzione del rapporto uomo/ambiente da una relazione antropocentrica a una biocentrica?  A mio avviso, per far si che si realizzi ciò è necessario un bel salto culturale. Diciamo pure una rivoluzione, un mutamento profondo che comporta la rottura di un modello precedente e il sorgere di un nuovo modello.  Amico mio, c’è urgente bisogno di società umane consapevoli del proprio ruolo all’interno della biosfera e intimamente legate al pianeta. C’è bisogno di cultura, perché la consapevolezza si acquisisce con il sapere, saper fare, saper essere.
Come possono i Parchi fare questo? Senza tener conto delle scarse risorse che ormai hanno a disposizione…».

Il mio amico di penna seppe con stile approfondire tale domanda: «Vedi Ale, la relazione gioca un ruolo fondamentale nell’Educazione Sostenibile… l’Educazione Ambientale non è solo nei parchi; è più vicina di quanto pensiamo…è, forse, in quello che continuiamo a dirci e a fare mettendoci onestamente a disposizione reciproca idee, suggestioni, capacità, modi di essere e di fare, tutti orientati a quello che onestamente riteniamo “giusto” per il bene comune …è il costante scambio di parole che può unire i cittadini nella polis…
Il dialogo (a differenza del colloquio intimo in cui gli amici parlano di sé stessi), per quanto intriso del piacere per la presenza dell’amico, si occupa del mondo comune, che rimane “inumano” in un senso del tutto letterale finché delle persone non ne fanno costantemente argomento di discorso tra loro…” (H. Arendt 2006).
Eh si, caro Ale, creare relazioni sostenibili di questi tempi è un progetto che si scontra pure con l’organizzazione consumistica delle nostra società e con gli uomini che le guidano».
 “In questo momento della storia ci troviamo di fronte ad una decisione terribilmente difficile. Per la prima volta da quando esiste l’uomo sulla Terra gli viene chiesto di astenersi dal fare qualcosa che sarebbe nelle sue possibilità: gli si chiede di frenare il suo progresso economico e tecnologico o almeno di dargli un orientamento diverso da prima; gli si chiede – da parte di tutte le generazioni future della Terra – di dividere la sua buona fortuna con i meno fortunati – non in uno spirito di carità ma in uno spirito di necessità. Gli si chiede di preoccuparsi, oggi, della crescita organica del sistema mondiale totale. Può egli in coscienza rispondere di no?” (da “La crisi economica e le nostre società al bivio: la costruzione della sostenibilità dello sviluppo socioeconomico” di Gianfranco Bologna su “Moltitudine inarrestabile” di Paul Hawken ).

«Beh, Carlo, i parchi stanno da tempo sperimentando esperienze di Educazione alla Sostenibilità che richiamano, pur in parte, quanto mi dici; un’indicazione ce la possono dare. Progetti virtuosi ne sono stati fatti.
Il mio pensiero è che si potrebbe fare tesoro delle esperienze svolte, esercitarle nel quotidiano per fare il futuro che vorremmo. Sembra facile… evoluzione, natura e tecnologie, condizionamenti, entrano nella vicende umane come ospiti inattesi, chiedendo pertanto cambiamenti che ci colgono impreparati, a volte richiedendoci del tempo, troppo tempo! Ah, il tempo…è lui la costante che lega i processi umani e naturali e li veicola nel futuro; è lui la chiave della Sostenibilità?».

«Secondo me, caro Ale, la debolezza profonda del filone culturale/educativo sta proprio nella sua lentezza nel permeare e sviluppare i pensieri, i comportamenti, gli atteggiamenti, gli ideali delle persone… Cambiamenti, che passano in primo luogo nelle teste dei singoli, che sono necessariamente lenti. Si potrebbero forse sveltire questi processi se i percorsi, le tecniche, le modalità adottate per indurre e promuovere questi cambiamenti fossero molto, ma molto più sostenuti, alimentati, promossi, diffusi, diversificati e nello stesso tempo esplicitamente e con evidenza costantemente collegati e riferiti all’obiettivo ultimo: quello cioè di creare capacità di relazione fra gli uomini caratterizzate da “rispetto” e attenzione per l’altro. Far parlare, alimentare dubbi, immaginare prospettive nuove, fungere da trasmettitori di idee e suggestioni…».

«Ma allora, Carlo, non è solo più una questione di parchi e del loro legame col territorio.
Qui entra in ballo la “Cura” che possono dare gli uomini che lavorano in quelle istituzioni presenti su un territorio, pur se questo non sia strettamente nell'ambito della tutela ambientale di un'Area protetta.
   Ecco cosa permette la sostenibilità di un territorio: la potenzialità di incidenza sulla realtà acquisita/potenzialmente posseduta da ciascuno di noi!
Ecco che si manifesta il ruolo importante degli uomini che lavorano nelle Istituzioni, che siano Area Protetta, Regione, Provincie, Comuni. In tale ottica sono necessarie azioni formative rivolte alla loro educazione sostenibile. Quando un Ente nel quale lavorano persone rivolte alla sostenibilità gestisce un territorio il risultato può essere un valore culturale. Se invece quell'uomo è orientato verso un'impronta ecologia molto “pesante”, il rovescio della medaglia è il costo ambientale per il Pianeta. Di esempi ne conosciamo…».

«Mon cher ami – mi scrisse di rimando Carlo, proponendomi un'altra perla - …l’oggetto dell’educazione non è dare alla persona una quantità sempre maggiore di conoscenze, ma è costituire in lui uno stato interiore profondo, una sorta di polarità dell’anima che l’orienti in senso definito, non solamente durante l’infanzia, ma per tutta la vita.
Ciò significa indicare che imparare a vivere richiede non solo conoscenze, ma la trasformazione, nel proprio essere mentale, della conoscenza acquisita in sapienza e l’incorporazione di questa sapienza per la propria vita… …Si tratta, nell’educazione, di trasformare le informazioni in conoscenza, di trasformare la conoscenza in sapienza… …Quando si considerano i termini “cultura umanistica”, si deve valutare il termine “cultura” nel suo senso antropologico: una cultura fornisce le conoscenze, i valori, i simboli che orientano e guidano le vite umane”». (Èmile Durkheim)

«Caro Carlo, queste tue mi fanno ricordare la mia maestra.  In effetti il ruolo del maestro è fondamentale in un processo come quello di cui mi scrivi. Tu del tuo maestro, ti ricordi?».

 «Eccome! Probabilmente quello del Maestro è il lavoro più bello del mondo…..proprio quello del maestro, non dell’insegnante in genere o del professore….perché ha un’enorme responsabilità: ara e dissoda con la parola, con i gesti, con gli sguardi, con l’esempio, “giovani campetti” di natura curiosi, in cui sparge i semi della cultura e in seguito accompagna gli stessi virgulti nella scoperta dei frutti della sua semina…
Ecco perché la figura del Maestro è scomparsa ed è stata così umiliata da questa società rampante, a cui non importa assolutamente niente della crescita emotiva e socio culturale delle persone, e non guarda più al cielo».

«Si, si…trovarne di maestri così… Però ce ne sono, sai! Nel mio lavoro al Parco delle Alpi Marittime ho incontrato degli insegnanti che durante la gita d’istruzione si mettono in fondo al gruppo e cianciano dei fatti loro ma ho anche conosciuto dei maestri che credono che con il loro operato possano preparare i loro studenti alla sfida che li attende, quella che coinvolge tutti i paesi della terra, industrializzati o in via di sviluppo; tutti i cittadini, nei loro diversi ruoli variamente interdipendenti; le generazioni attuali divenute anche attente  a quelle future; tutte le dimensioni della persona, con una rinnovata ed ineludibile tensione etica».

«Ale, un buon maestro lo sa bene che “L’educazione è più dell’istruzione, più della trasmissione della conoscenza o di qualche buon comportamento da assimilare. E’ una dimensione ineliminabile, invisibile e concreta della vita di tutti…”».(da “L’educazione non è finita. Idee per difenderla” - Duccio Demetrio)

«Carlo, un parco può essere un Buon Maestro? Un aggregatore di esperienze, sinergie, azioni, persone, relazioni che a vario titolo operano verso una sostenibilità che dia valore al patrimonio culturale e naturale e non inneschi uno sfruttamento delle risorse del territorio. Mi sembra che quanto viene fatto nei Parchi, le occasioni di convivenza, di incontri tra persone al fine di prendersi cura  e sviluppare beni comuni, sia naturali sia sociali, vada un po’ in tal senso e non sia da sottovalutare».

«Guarda Ale, è anche è una questione di ideali, e nei parchi, così come in altre Istituzioni, ci sono le persone che li coltivano. “Il più bell’ideale per una generazione è di sforzarsi affinché la generazione che la segue possa vivere e godere di più bellezza, di più felicità, ridurre le cause dei malintesi , i pregiudizi imbecilli, le sofferenze superflue, i conflitti inutili. Questo è l’ideale dell’educazione. Senza di esso la ragione stessa dell’uomo svanisce. Se non ci fosse un bambino da allevare, da proteggere, da istruire e da trasformare nell'uomo di domani, l’uomo di oggi diventerebbe un non senso e potrebbe scomparire”».. (Jean-Ovide Decroly, 1871-1932)

«A proposito di bambini… ho da preparami l’attività di Earth Education di domani con una classe delle Primarie…».

Mormoro a voce alta tra me e me mentre arrivo a casa, distogliendo il mio pensiero dalle conversazioni avute con Carlo e ritornando alla realtà quotidiana, che penso affronterò… come una formichina.

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