Non tutte le rane sono verdi!
Quando si parla di "rane" si pensa solitamente a quei gracidanti e simpatici anfibi anuri caratterizzati da un vivace colore verde. Queste rane acquatiche sono la vera colonna sonora di molte delle nostre vacanze estive. Per la precisione si tratta di rane che vantano un nome latino che contraddistingue il genere piuttosto bizzarro e un po' impronunciabile: Pelophylax. In alcuni casi sono ancora delle ricercate gourmandise, con tanto di feste culinarie dedicate (oggi però di fatto anacronistiche e non tanto politically correct!).
Di rane verdi fortunatamente ne troviamo ancora abbastanza (sebbene visibilmente meno che negli anni '70-'80): nelle risaie, lungo i fossi, nei piccoli stagni che ancora popolano le nostre campagne. Che poi questi esemplari siano davvero autoctoni, vale a dire piemontesi DOC, piuttosto che immigrati dai Balcani, è un altro discorso. Le tipiche Pelophylax lessonae e P. kl. esculentus, descritte a suo tempo dall'esimio zoologo ottocentesco Lorenzo Camerano, sono sempre più difficili da trovare.
Come d'abitudine, in questo appuntamento dello "Sherlock Holmes degli anfibi" vi fornisco alcune indicazioni, o indizi, su come riconoscere le specie presenti sul nostro territorio e sul perché siano importanti da proteggere e salvaguardare.
Piuttosto rosse, sì, ma anche un po' mute
Per par condicio ecologica occorre dire che ci sono altre rane, sicuramente meno note anche perché meno chiassose, ma non per questo meno importanti per la biodiversità. Sono autoctone e portano il nome generico latino di Rana: sono le cosiddette "rane rosse" o "brune", dette nella lingua della perfida Albione brown frogs. In passato erano chiamate qui da noi anche "rane mute", poiché prive di sacchi vocali esterni. Quando "cantano" si sente una sorta di gorgoglio a bassa frequenza, spesso emesso in immersione dai maschi in audace foga amorosa. Sono meno acquatiche della varietà verde, più schive e difficili da osservare, con abitudini più tardo-invernali o primaverili precoci.
Quattro rane per quattro specie
Le rane rosse comprendono quattro specie italiane, tutte presenti nella nostra regione: la rana temporaria o montana (Rana temporaria), la rana agile o dalmatina (Rana dalmatina), la rana di Lataste o agile italiana (Rana latastei) e la rana italica o appenninica (Rana italica). Sono tutte rane che tra loro condividono molti caratteri morfologici ed ecologici (oltre che filogenetici, ovviamente). In primis, ovviamente, il colore rosso-brunastro e la presenza di una grande macchia temporale scura proprio dietro agli occhi. Sul terreno, poi, si confondono alquanto facilmente con le foglie secche del substrato boschivo, da vere maestre del mimetismo criptico. Il loro colore è comunque assai variabile (soprattutto nella rana temporaria), con esemplari grigio-beige e altri più marcatamente rossastri, con macchie scure irregolari e con ventre spesso pigmentato. Sono più terricole delle cugine verdi: entrano in acqua quasi esclusivamente nel periodo riproduttivo, per il tempo necessario a deporre le uova. La riproduzione è normalmente esplosiva e dura pochi giorni. Le ovature sono globulari e molto gelatinose.
La rana montana o alpina (Rana temporaria) è forse la più abbondante e la più comune delle quattro specie. In inglese, non per niente, il suo nome volgare è proprio common frog. In Inghilterra e nel Nord Europa la si trova in effetti un po' ovunque, in pianura e anche nelle backyards, negli stagnetti quasi onnipresenti nelle tipiche case anglosassoni. Qui da noi è invece più schiettamente montana e la si rinviene più comunemente sulle Alpi e sugli Appennini settentrionali, con alcune popolazioni sparse, qua e là in centro italia. In Italia centrale compare anche sui Monti della Laga in provincia di Rieti. In realtà la specie è abbastanza adattabile e la conferma della sua presenza è stata verificata in varie aree planiziali della Pianura Padana e, recentemente, anche sulla Collina di Torino, dove non era mai stata segnalata. La rana temporaria ha una dimensione che va da 70 a 83 mm, con un corpo piuttosto massiccio e zampe posteriori relativamente corte, tanto da non superare la punta del muso quando sono tirate in avanti. È questo il carattere principe, insieme alla forma del muso a distinguerla (apparentemente e normalmente) da Rana dalmatina, la specie con cui più frequentemente si trova in sintopia. In realtà in alcune popolazioni la lunghezza delle zampe posteriori è ben superiore e può anche oltrepassare la punta del muso. Ho per esempio riscontrato questo carattere un po' "strano" in alcune popolazioni dell'Alta Langa, contraddistinte non solo da zampe lunghe, ma anche da un aspetto rastremato, tutto sommato un po' differente da quello delle tipiche rane temporarie delle Alpi. Tanto per dire il muso è appuntito, mentre nella stragrande maggioranza delle popolazioni dell'arco alpino il muso è piuttosto corto ed ottuso. In montagna la riproduzione di questa specie è normalmente tardiva e non è affatto raro, ad alta quota, trovare centinaia o migliaia di individui in riproduzione anche a giugno, in mezzo alla neve sciolta da poco. Le uova della specie sono spesso deposte in grandi ammassi globulari. Una ricerca abbastanza recente del mio amico David Vieites ha dimostrato che nella rana temporaria i maschi letteralmente sono addirittura usi ad "accoppiarsi" con gli ammassi di uova, inondandoli del proprio sperma. Siccome la fecondazione delle uova negli anuri è esterna, gli spermatozoi di questi maschi competono con quelli delle rane che si erano accoppiate "regolarmente". Questo fenomeno è stato infatti denominato clutch piracy, vale a dire "pirateria delle ovature".
La rana agile o dalmatina (Rana dalmatina) è invece una specie più tipicamente di pianura o di bassa quota. Come già detto è abbastanza simile alla rana temporaria, da cui si distingue essenzialmente per avere zampe posteriori più lunghe e il muso (più) appuntito. Lunga 80-90 mm, ha la zona dell'inguine spesso giallastra, mentre il ventre non è d'abitudine molto pigmentato, a differenza della rana temporaria. In piemontese la rana dalmatina si chiama anche saltafoss, a testimonianza della sua specialità nel salto in lungo. È sicuramente una delle specie più precoci per la riproduzione e in pianura non è difficile trovare esemplari in accoppiamento già a inizio gennaio.
Infine, le altre due specie presenti in Piemonte sono piuttosto rilevanti soprattutto da un punto di vista tassonomico e conservazionistico, in quanto sono di fatto endemiche (o subendemiche) del nostro Paese e per questo degne di grande attenzione. La rana di Lataste o rana agile italiana (Rana latastei), in particolare, è una specie endemica della Pianura Padana dove frequenta principalmente boschi planiziali e rive di fiumi a corso lento. Lunga 55-75 mm, con colorazione bruno rossastra, assenza di colorazione gialla a livello delle zampe e del ventre, con gola e ventre abbastanza pigmentato di rossastro e con una stria chiara a livello della gola, spesso a formare una sorta di T rovesciata. Poiché i suoi habitat elettivi sono oggigiorno in via di rapida scomparsa, la rana di Lataste è categorizzata in pericolo nella Lista Rossa dell'IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura). In Piemonte la specie è piuttosto localizzata e abbastanza sporadica. Le sue popolazioni più abbondanti sono lungo le aste fluviali a corso lento.
La rana italica (Rana italica), infine, è una specie tipica degli Appennini. Originariamente descritta dall'erpetologo francese Alain Dubois come sottospecie di Rana graeca (a cui è molto simile), è stata successivamente elevata a rango di specie. Più tipica degli ambienti torrenticoli si trova, a differenza delle congeneriche, abbastanza frequentemente in acqua. In Piemonte la specie è presente solo in una limitatissima area sud-orientale in provincia di Alessandria. La si riconosce dalle altre specie per il corpo più rastremato, lunga 59-64 mm, muso relativamente corto e per colorazione della gola, pigmentata di grigio-rossastro, anch'essa con stria chiara mediana a livello della gola. Per il resto è abbastanza simile alla rana di Lataste, dalla quale si distanzia ecologicamente per la scelta di freschi torrenti invece che di lanche e boschi planiziali.
Come conservare le rane, gli anfibi, il nostro pianeta?
Raccontare delle vicissitudini relative alle nostre specie anfibie significa fare una lista delle problematiche che interessano la fauna minore. In generale la conservazione degli anfibi necessita innanzitutto dell'attenta conservazione degli habitat ove vivono. Un recente studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature ha infatti confermato che gli anfibi sono sempre più pesantemente in pericolo: oltre il 41% delle specie sono comprese nelle categorie "minacciate" dell'IUCN.
Ma che cosa vuol dire in pratica? E che cosa si può fare? In Italia, purtroppo, ancora poco si fa per ottenere un'efficiente conservazione della nostra erpetofauna. La salvaguardia delle rane rosse non presenta grosse difformità da quella di altri anfibi: si tratta di gestire e proteggere gli habitat ove esse vivono.
Si parla poi sempre di più di malattie emergenti e di introduzione di specie alloctone, tra le cause più impattanti di declino. Delle malattie è stato detto molto, quasi tutto, con riferimenti sempre più espliciti al chitridio, altresì detto Bd (anche se ora sono due le specie di chitridio che attaccano gli anfibi, includendo anche il Bsal). Funghi microscopici ed enigmatici noti per colpire almeno 500 specie di anfibi. Ma non solo: altre malattie sono segnalate continuativamente. In Piemonte pochi anni fa sono stati riferiti casi di eccezionali mortalità di massa nella popolazione di Rana temporaria al cosiddetto "Lago delle Rane" nel Comune di Usseaux nonché nel laghetto adiacente al rifugio Selleries nel Comune di Roure. A quanto pare, sulla base dei risultati delle analisi, si trattó in particolare di un'infestazione di Carnobacterium maltaromaticum per il primo caso e di Aeromonas bestiarium per il secondo. Difficile da comprendere appieno se questi patogeni siano stati effettivamente la causa principale di queste morìe o se, invece, siano stati gli effetti dell'ineludibile cambio climatico. Ovviamente poi, con la rete di strade che abbiamo oggigiorno, viene spesso meno il necessario network di collegamenti indispensabile per garantire la sopravvivenza degli anfibi. Quando sono stimolati dalle piogge primaverili inaffti, tendono a muoversi dai loro quartieri di svernamento per andare verso il sito riproduttivo e in questo viaggio devono spesso attraversare strade asfaltate. Tutti quanti sappiamo delle morìe di centinaia o migliaia di rane, rospi, tritoni e salamandre che avvengono ogni anno in occasione delle piogge primaverili o autunnali.
Proporre progetti di salvaguardia ad hoc non è così semplice: il più delle volte è dispendioso e, spesso, ritenuto poco interessante dalle amministrazioni pubbliche. Oggi sono disponibili fondi sui progetti LIFE che investono finalmente anche su anfibi e rettili. E' importante che questi progetti si prolunghino su un arco temporale medio lungo e non si interrompano bruscamente, come invece spesso accade.
Il quadro è quindi preoccupante e variegato ed è auspicabile una nuova legiferazione a favore della conservazione della biodiversità.
L'autore ringrazia sentitamente Matteo Di Nicola per la concessione delle fotografie
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