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Al lupo, al lupo!

  • agosto/settembre 2011
  • Martedì, 30 Agosto 2011


Dove si colloca il giusto mezzo? Forse nel punto tra due estremi che rispetta le esigenze di entrambi. Dopo quasi cent'anni di assenza, a inizi anni Novanta dell'ormai scorso secolo i lupi sono tornati a calcare le vallate alpine piemontesi, prima le Valli Pesio e Stura, sconfinando dalla Francia, poi avanti fino all'Ossola. La prima reazione, grazie al novello animo conservazionista di chi ha finalmente compreso il valore della biodiversità, è stata di sollievo: torna il grande predatore, si ristabilisce l'equilibrio originario delle reti alimentari, si riduce anche il rischio di trasmissione di patogeni e parassiti grazie al naturale controllo delle popolazioni esercitato dall'attività predatoria del lupo. Ma come tutte le medaglie, anche questa ha il suo rovescio. Le nostre montagne sono da secoli fonte di sostentamento per chi si dedica all'allevamento di ovini e di caprini. Nei quasi cent'anni di assenza dei lupi, la selezione operata dagli allevatori per incrementare la produzione di carne e di latte ha portato ad animali migliorati da un punto di vista zootecnico, ma molto meno adatti a difendersi dall'attacco di un grande predatore. Le stesse modalità di gestione delle greggi, che si tratti di transumanza, alpeggio, o pascolo brado non sorvegliato nei periodi in cui i pastori si dedicano alla caseificazione, sono conseguenze della tranquillità dettata dall'assenza del lupo. Con il suo ritorno la situazione per i pastori è pesantemente cambiata. Gli attacchi – circa 300 nella sola stagione d'alpeggio 2009 in Piemonte – generano danni che vanno ben oltre il numero dei capi uccisi. Si devono infatti mettere in conto anche i molti animali feriti e quelli dispersi, quelli che per sfuggire all'attacco sono precipitati in un dirupo, o che per la paura hanno drasticamente ridotto la produzione di latte. Lo scompenso psicologico, inoltre, indebolisce ulteriormente i sopravvissuti. I costi di gestione aumentano, perché gli animali non possono più essere lasciati soli, e sovente si deve ricorrere all'impiego di recinzioni elettrificate o all'uso di cani da guardiania. Le prime devono essere facilmente trasportabili, per permettere lo spostamento del gregge e una migliore conservazione del territorio; i cani, istintivamente preparati ad attaccare e respingere i lupi, possono a volte rivelarsi un problema per l'escursionista di passaggio. Al tutto si somma il disagio psicologico di operare nella costante aspettativa di un attacco. È evidente che non è sufficiente la compensazione economica dei capi uccisi per risolvere il problema. Con il finanziamento della Regione Piemonte e la collaborazione delle Comunità Montane, è dunque nato il progetto PROPAST, coordinato dal professor Luca Battaglini del Dipartimento di Scienze Zootecniche della Facoltà di Agraria dell'Università di Torino. L'intento è quello di individuare linee di supporto alla pastorizia che tengano conto delle nuove esigenze conseguenti alla presenza del lupo, sensibilizzando l'opinione pubblica sull'attività pastorale, nel rispetto dell'irrinunciabile biodiversità. Mettersi nei panni degli altri sarà fondamentale per trovare il prezioso equilibrio.

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