Stampa questa pagina

Se lo stagno scompare, dove si posa la libellula?

Il nome dell'ordine a cui appartengono, odonati, offre un'indicazione su una delle caratteristiche più interessanti delle libellule. Letteralmente significa "dentato", ma trattandosi di insetti la parola fa riferimento alla loro robusta mandibola capace di scattare in una frazione di secondo.

  • Martina Tartaglino
  • Novembre 2023
  • Mercoledì, 29 Novembre 2023
 Esemplare di Aeshna Isosceles, tra le specie più a rischio in Piemonte - Foto A. Eichler da Wikimedia Commons Esemplare di Aeshna Isosceles, tra le specie più a rischio in Piemonte - Foto A. Eichler da Wikimedia Commons

Queste creature volanti sono insaziabili carnivore in tutte le fasi del loro sviluppo: predano altri insetti, girini, persino piccoli pesci. A renderle significative è anche il loro ruolo di bioindicatore. Estremamente sensibili agli inquinanti nelle acque cui è legato il loro ciclo vitale, la presenza di libellule certifica il buono stato di un ambiente. La loro sorte è legata a doppio filo alla sopravvivenza delle aree umide, biotopi minacciati da un clima sempre più caldo e arido.

Il Piemonte ospita i due terzi delle specie italiane

In Italia sono 96 le specie di libellule censite (Dati da "Specie di libellula in Italia", Società per lo Studio e la Conservazione delle Libellule ODV), di queste 64 si trovano in Piemonte, rappresentando oltre due terzi della diversità nazionale. Questa ricchezza è attribuibile alla varietà degli ambienti acquatici e delle ecoregioni presenti nella regione. Le larve degli Odonati sono esclusivamente acquatiche, e le libellule si distribuiscono dalle pianure fino a un'altitudine di 2.500 metri, a patto che siano presenti ambienti acquatici.

A causa del riscaldamento generale osservato negli ultimi decenni, si sono verificati cambiamenti significativi nel comportamento delle libellule, con anticipi nell'emersione degli adulti, l'espansione di specie tipiche delle pianure e del Mediterraneo a quote più elevate e settentrionali, e la contrazione delle aree occupate dalle libellule boreali. Un esempio emblematico è l'espansione della specie mediterranea Crocothemis erythraea a nord delle Alpi: sostanzialmente assente fino agli anni '60, oggi si riproduce nelle isole della Manica e si trova fino a 50° di latitudine nord in Europa centrale, incluse località alpine in Piemonte.

Il volo delle libellule è influenzato dalla temperatura dell'aria, con conseguenze sulla durata e sull'intensità della stagione riproduttiva. Le specie che abitano regioni montane e alpine sono particolarmente a rischio di estinzione in caso di ulteriore riscaldamento globale, poiché potrebbero non trovare siti idonei per mantenere popolazioni vitali a quote più elevate.

Libellule in crisi tra risaie asciutte e inquinamento

Le libellule, oltre ad affascinare l'osservatore con acrobazie rese possibili dalle loro quattro grosse ali, svolgono un ruolo cruciale di sentinelle degli ecosistemi acquatici. Tuttavia, in molte aree non protette, sono minacciate dall'agricoltura intensiva, dall'inquinamento idrico e dei suoli, dalla perdita di habitat umidi naturali. In particolare, nelle zone adibite a risaie tra le province di Novara e Vercelli, le popolazioni di libellule stanno declinando. L'avvento di pratiche agricole caratterizzate da frequenti periodi di asciutta ha radicalmente mutato questi paesaggi. Questa trasformazione ha trasformato gli ex habitat acquatici in vere e proprie trappole ecologiche, minacciando la sopravvivenza delle specie che un tempo prosperavano in tali contesti. Questa diminuzione è percepita anche dalla popolazione locale, che ricorda con nostalgia la presenza di sciami di "libellule rosse" che coloravano le risaie.

La conservazione delle libellule richiede dunque azioni concrete per proteggere i loro habitat. La semplice protezione di singole specie minacciate non è sufficiente se gli ambienti che esse frequentano sono soggetti a degradazione o distruzione. Una soluzione efficace per contrastare il declino delle popolazioni di libellule è mantenere in buono stato di conservazione le zone umide naturali e, se necessario, crearne di artificiali.

Nel contesto delle risaie nella bassa novarese, esistono esempi positivi di oasi che fungono da "isole di natura". In queste aree, come nel comune di Borgolavezzaro, diverse specie di libellule, tra cui Calopteryx virgo, Aeshna isosceles e Cordulegaster boltonii, trovano rifugio e luoghi di riproduzione (Dati "Atlante degli odonati del Piemonte e della Valle d'Aosta", G. Boano, R. Sindaco, E. Riservato, S. Fasano, R. Barbero, Associazione Naturalistica Piemontese, Volume VI, 2007). Nonostante siano state ripristinate solo da pochi decenni, alcune di queste oasi mantengono popolazioni vitali in grado di espandersi e colonizzare nuovi habitat nelle vicinanze. Proteggere e preservare tali zone può contribuire significativamente a salvaguardare la diversità delle libellule e mantenere equilibrio negli ecosistemi locali.

La distruzione di aree umide, una pratica antica

Non è solo la crisi climatica a minacciare aree umide e le specie a esse legate. Dal 1700 a oggi, l'Italia ha subito una drammatica perdita di oltre il 75% delle sue zone umide, posizionandosi tra i Paesi del mondo con un primato negativo di declino di questi cruciali ecosistemi. Questo allarme emerge dal primo studio globale sulla perdita estesa delle zone umide, pubblicato sulla rivista Nature l'8 febbraio 2023. La trasformazione di queste aree, causata da grandi opere di distruzione e rettificazione dei fiumi, ha portato alla scomparsa degli anfibi da gran parte dei loro habitat naturali (Dati da "Extensive global wetland loss over the past three centuries", E. Fluet-Chouinard, B.D. Stocker, Z. Zhang et al., Nature 614, 281–286, 2023).

Per lungo tempo, le zone umide e i canneti sono stati demonizzati e ampiamente interrati per favorire l'espansione dell'agricoltura, riflesso anche nel pregiudizio linguistico attraverso il termine "bonificare". Questo atteggiamento ha contribuito alla distruzione di oltre l'80% degli ambienti umidi a livello globale negli ultimi tre secoli. Tuttavia, tali ecosistemi sono fondamentali per la ricca biodiversità che ospitano, la cattura e sequestro di carbonio, il filtraggio delle acque e la gestione delle piene dei fiumi.

Fortunatamente, a livello internazionale, le numerose evidenze scientifiche hanno ribadito l'importanza di ripristinare spazi per fiumi e zone umide, riconoscendone i benefici nella riduzione del rischio di alluvioni e nei miglioramenti ambientali. In Piemonte sono presenti circa 300 aree umide, concentrate principalmente nelle province di Torino, Cuneo e Alessandria. La conservazione e il ripristino di queste aree rappresentano una sfida cruciale per preservare la biodiversità, il ciclo del carbonio e il benessere ambientale in generale.

Fossili di odonati, una particolarità piemontese

Gli odonati rappresentano una categoria di insetti particolarmente antichi, avendo iniziato il loro processo evolutivo nel periodo del Carbonifero, circa 300 milioni di anni fa. In quel remoto periodo, le terre emerse erano concentrate in un singolo continente caratterizzato da un clima prevalentemente tropicale, con elevate temperature e umidità. Le estese paludi e la lussureggiante vegetazione contribuivano a una produzione abbondante di ossigeno, la cui disponibilità ha consentito agli animali del Carbonifero di sviluppare dimensioni eccezionali: specie estinte come la Meganeura monyi poteva arrivare a 70 centimetri di apertura alare. Libellule fossili di periodi ben più recenti sono state studiate in modo approfondito proprio in Piemonte. Carlo Sturani, paleontologo dell'Università di Torino scomparso nel 1975, ha lasciato un'impronta significativa nello studio dei resti di odonati risalenti a 5 milioni di anni fa. Il suo interesse si è concentrato sui sedimenti del Messiniano Evaporitico albese, che svelano il passato di lagune lungo il margine continentale. Attraverso i resti fossili, principalmente ninfe e ali di libellule, ha delineato il paleoambiente di queste creature, offrendo uno sguardo dettagliato sulla biodiversità dell'epoca. Sturani ha identificato un unico genere, Oryctodiplax, dotato di caratteri morfologici rilevati anche in organismi più antichi. Questo ha suggerito l'esistenza di popolazioni a bassa diversità specifica, simile alla situazione che possiamo ritrovare oggi nelle lagune salate dell'America settentrionale (Dati: O. Cavallo, P.A. Galletti, Studi di Carlo Sturani su Odonati e altri insetti fossili del Messiniano albese - Piemonte - con descrizione di Oryctodiplax gypsorum n. gen. n. sp. - Odonata, Libellulidae - Bollettino della Società Paleontologica Italiana 26,1-2, 1987, 151-176, settembre 1987). La prematura scomparsa di Sturani ha interrotto il suo lavoro, ma i suoi contributi pionieristici continuano a plasmare la comprensione degli odonati fossili del Piemonte.

Sullo stesso argomento:

Le libellule viste dai ragazzi (Piemonte Parchi dell'11/1/2021)

 

 

 

Potrebbe interessarti anche...

Questo parente del fagiano, dal comportamento gregario e dalla silhouette rotondeggiante, si è d ...
Pochi animali godono di fama peggiore nell'immaginario collettivo. I serpenti sono stati di volta ...
Fortemente sensibili all'innalzamento delle temperature, al prolungarsi dei periodi di siccità e ...
Mentre nella maggior parte d'Italia iniziavano i preparativi per il cenone di San Silvestro, a Ve ...