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Biodiversità qua e là…

Montagne, colline, pianure, boschi, laghi e fiumi piemontesi ospitano un patrimonio di biodiversità: 3500 specie di piante, 400 di uccelli, 80 di mammiferi, 40 di anfibi e rettili, 60 di pesci. Il ruolo dei parchi è fondamentale, per conoscere e conservare

  • Caterina Gromis
  • agosto 2010
  • Mercoledì, 1 Settembre 2010

La flora piemontese soggetta a protezione assoluta
Un nuovo strumento per conoscere ma soprattutto riconoscere le specie floristiche sottoposte al regime di protezione assoluta sul territorio piemontese è il volume Le specie botaniche del Piemonte a protezione assoluta prodotto dal Settore Sostenibilità, Salvaguardia ed Educazione Ambientale della Regione Piemonte, con la supervisione scientifica del Dipartimento di Biologia Vegetale dell'Università degli Studi di Torino. Il testo è una versione aggiornata della pubblicazione Fiori del Piemonte (Dal Vesco, Mondino, Peyronel, Gulino) - la cui ultima edizione risale al 1999 - integrata di nuove informazioni per rendere più consapevoli i fruitori del territorio sulle norme di tutela floristica vigenti e prevenire quei danni dovuti a un prelievo indiscriminato della flora protetta. Il volume è scaricabile da questo link.
Sullo Zingarelli minore, tra "biodinamico" e "biofisica" ci si aspetterebbe di trovare il termine "biodiversità", e invece non c'è. Però se si scrive la parola al computer il controllo informatico non la segnala come errore, dunque la riconosce. Allora esiste ed è ufficiale, anche se per trovarne la definizione non è su un vocabolario che bisogna cercare. In un saggio intitolato "Il pasto gratis" (Ivonne Baskin, InStar libri 2005) la biodiversità è «una fitta rete di esseri viventi che operano di concerto per rendere abitabile la terra». Definizione azzeccata, anche prima della catastrofe di dimensioni incalcolabili nel golfo del Messico che, inquinando come mai prima il mare, sta funestando proprio quello che, neanche fosse una beffa, si chiama "Anno della biodiversità". Oggi si abusa di questa parola come di tutte quelle che hanno "bio" per prefisso, e forse sarebbe più corretto parlare di "varietà della vita": è molto più facile pensare alla "varietà" come sinonimo di "vita", che alla "diversità" come sinonimo di "bio". Si tratta di un semplice concetto di sopravvivenza, e dato che l'idea della vita come quella della morte è di immediata comprensione per tutti gli uomini, non è necessario usare parole complicate per intendersi, almeno su questo. Comunque in nome dell'abusato termine si lavora, e se ci si dedica alla biodiversità perché è di moda la parola, tanto meglio: si lavora per questioni di vita o di morte, e tra l'una e l'altra scegliere la vita è un nobile scopo. Chiunque si occupi di ambiente quest'anno porta avanti qualche progetto a salvaguardia della biodiversità, parchi in testa. Il Piemonte dal 2005 a oggi ha investito 2,5 milioni di euro in progetti realizzati dai Parchi regionali a tutela degli habitat e della varietà della vita. Sembrano tanti soldi, ma la nostra regione ha anche tanti ambienti. Montagne, colline, pianure, boschi, laghi e fiumi significano un bel patrimonio, fatto di 3500 specie di piante, 400 di uccelli, 80 di mammiferi, 40 di anfibi e rettili, 60 di pesci. All'interno dei Parchi naturali sono state possibili reintroduzioni che hanno avuto successo, di specie che poi hanno ripopolato le zone oltre i confini delle aree protette: dal gipeto nel Parco delle Capanne di Marcarolo e in quello delle Alpi Marittime, allo stambecco nel Parco della Val Troncea. Il lavoro dedicato all'educazione ambientale che i parchi sviluppano nelle scuole è importante, ma il vero nocciolo della questione biodiversità sta nei censimenti, nelle catalogazioni, nella certosina pazienza dei sistematici che ordinano per genere e specie piante e animali, e così facendo li portano allo scoperto come beni preziosi. I naturalisti di questo genere fanno un lavoro di valore pari a quello dello storico dell'arte che scopre un antico affresco, o dell'archeologo che riporta all'onor del mondo una necropoli: raccogliendo dati e organizzandoli in una struttura apparentemente da guida del telefono, mantengono un legame con la storia del territorio e ne rivelano vizi e virtù. Esempi qua e là: un cd-rom a cura del Parco naturale della Val Troncea, sugli insetti del suo territorio. Il lavoro rientra in un progetto che è un gioiello delle scienze naturali: le piccole faune d'Italia studiate e rese agibili attraverso un'operazione informatica divulgativa adatta a tutti i curiosi e non solo agli specialisti. Sono già in circolazione altri tre cd rom, dal 2003 a oggi, uno sui coleotteri buprestidi d'Italia, uno sui cerambicidi e uno sui tenebrionidi, reperibili presso l'Associazione Naturalistica Piemontese. Quello sugli insetti del Parco della Val Troncea, non dedicato a un singolo ordine ma a tutti gli insetti di un angolo scelto d'Italia, ha richiesto tre anni di impegno degli entomologi responsabili, che lavorano in nome di una frase di E. O Wilson, stampata anche sulla copertina del dischetto: «Se l'intera umanità dovesse di colpo scomparire, il mondo si rigenererebbe al livello del ricco equilibrio che esisteva 10.000 anni fa: ma se gli insetti venissero distrutti, tutto l'ambiente precipiterebbe nel caos!». Un altro progetto-atlante riguarda le colline del Basso Monferrato, dove grazie alla collaborazione tra Regione Piemonte e Parco Naturale del Sacro Monte di Crea, esiste una banca dati informatica sulla biodiversità della zona. Strutturata come un atlante, ha diverse chiavi di lettura e di ricerca, possibili per gruppi tassonomici o per ambiti territoriali: è uno strumento scientifico e tecnico di grande utilità nello studio di strategie per la conservazione e la gestione dei vari ecosistemi e delle singole specie animali e vegetali presenti. Una pubblicazione cartacea, "Nascitur in collibus Montisferrati – biodiversità del Basso Monferrato", stampata nel marzo del 2010 dal Parco di Crea, celebra l'anno della biodiversità offrendo al lettore un commento ai dati raccolti, per distinguersi dalla sua versione informatica che è banca dati nuda e cruda. Un volume a cura dell'Associazione Naturalistica Piemontese, intitolato "La biodiversità della Provincia di Asti", completa l'analisi del territorio con il patrocinio del WWf. Nel mondo scientifico sta prendendo forma un progetto ambizioso che fa capo all'European Distributed Institute of Taxonomy (EDIT), un consorzio istituito nel 2006 per incentivare la collaborazione scientifica tra istituti di ricerca, con l'obiettivo di arginare il declino della biodiversità. EDIT riunisce 27 enti di ricerca in Europa, Nord America e Russia. Propositi, per i cinque anni di durata del progetto: incentrare le ricerche tassonomiche nell'area di ricerca europea e creare una rete di competenze scientifiche ad alto livello nel mondo. L'obiettivo è riunire i maggiori istituti di tassonomia in Europa, che per ragioni storiche si sono sviluppati indipendentemente, e convogliarne le energie sulla via del confronto e della collaborazione. Il piano di lavoro prevede programmi di ricerca comuni, protocolli standardizzati e dati immediatamente disponibili in rete. Più della metà degli esemplari delle collezioni mondiali di storia naturale che costituiscono le basi della ricerca tassonomica appartiene agli istituti membri di EDIT: questo fa sperare che un tale centro virtuale di eccellenza permetta un accesso all'informazione sull'attività di ricerca sempre migliore. L'Italia è entrata a far parte di questo programma attraverso il suo parco di confine, quello delle Alpi Marittime, grazie al gemellaggio con il parco francese del Mercantour. La Francia è partner del progetto EDIT grazie alla collaborazione del parco del Mercantour con il Museo di Storia Naturale di Parigi. Anche il museo di scienze naturali di Torino è coinvolto nell'ATBI+M (inventario e monitoraggio) delle Marittime, con le competenze del suo personale scientifico, e diversi enti di ricerca, giardini botanici, università, parchi naturali, musei, collaborano al progetto pur senza farne ufficialmente parte. Sono il trampolino di lancio per una nuova maniera di lavorare: rendere disponibile il materiale conservato nelle collezioni serve a permetterne il controllo da parte di un buon numero di esperti e a ottimizzarne la gestione, oltre che a trovare spunti per nuove ricerche. I lavori sulla biodiversità dunque sono impegnativi e poco pomposi, alla faccia dei paroloni che iniziano per "bio". Riguardano piccole faune, animalini insignificanti, erbe selvatiche, fiori di campo... La fonte dei dati parte da rappresentanti di poco scalpore nel mondo naturale, ma sono queste creature quasi indistinte a darci la vera misura del vivere: se mancano loro spariscono anche i pesci e gli uccelli, gli anfibi e i mammiferi... E poi l'Homo sapiens da solo che fa, sul suo pianeta deserto?
Caterina Gromis di Trana
è biologa e collabora con varie testate di divulgazione naturalistica
Oltre il pascolo... la vita
Stefano Forneris
Rupi, pareti rocciose, ghiaioni: ambienti estremi che per la loro inaccessibilità diventano vere e proprie isole per animali e piante
A tutti sarà capitato durante un'escursione in montagna, superato il limite del bosco, di avere la sensazione di camminare in zone quasi prive di vita; rupi e relativi ghiaioni della fascia montana e submontana sono infatti ambienti aspri, all'apparenza quasi sterili e difficili da colonizzare, sia per gli animali sia per le piante. Ambienti quasi inaccessibili a causa della morfologia, spesso con pendenze elevate quasi verticali, non permettono il formarsi di substrati stabili e quindi di suoli ricchi e produttivi. Alla compattezza delle pareti rocciose si contrappone l'elevata instabilità dei ghiaioni e questo non aiuta certo animali e vegetali a sceglierli come ambienti ideali. Sovente crolli e frane modificano improvvisamente le superfici trascinando a valle intere comunità vegetali e animali. Insieme a questi caratteri morfologici, già di per sé impegnativi, altri hanno influito e influiscono con forza sui ritmi vitali e sulle strategie di adattamento delle specie viventi. L'escursione termica giornaliera e stagionale è elevata, cosi come l'esposizione alla radiazione solare, l'apporto di acqua è spesso variabile e improvviso e nonostante la buona riserva che potrebbe garantire il manto nevoso, le pendenze elevate e i substrati in larga parte rocciosi non ne permettono un accumulo stabile e continuo. Questi caratteri così estremi però sono stati e sono tuttora uno scudo naturale per svariate forme di vita. Lo sono state sin dal tardo Terziario, durante tutti i picchi glaciali che avvenivano periodicamente durante i cicli glaciali-interglaciali. Isole xerotermiche, dove hanno potuto sopravvivere, evolversi, specializzarsi e conservarsi moltissime specie. La pernice bianca può essere considerata il miglior esempio di adattamento a questi ambienti estremi: grazie al suo mimetismo, bianca d'inverno e dello stesso colore delle rocce d'estate, risulta praticamente invisibile ai visitatori delle alte quote. Pareti rocciose e ghiaioni risultano ancora fondamentali per la sopravvivenza di intere comunità, grazie all'"effetto siepe". Essendo infatti delle barriere fisiche, costituiscono zone di accumulo per comunità vegetali e animali (soprattutto insetti e uccelli) provenienti o scacciate da altre aree. Trovandosi inoltre spesso e fortunatamente in un contesto distante dai centri antropizzati (città, zone agricole, allevamenti), hanno garantito e garantiscono tuttora un rifugio sicuro e protetto per molti animali, uccelli rapaci soprattutto. Lo stesso gheppio, comune in pianura, sfrutta sovente questi ambienti rocciosi per nidificare e in condizioni favorevoli non è raro trovare più coppie anche poco distanti le une dalle altre. Ne fanno le spese arvicole e nidiacei di spioncelli e culbianchi. La risposta degli organismi a questo habitat, comprendente un buon numero di microambienti, inospitale e di difficile colonizzazione è stata la specializzazione. Spesso rupi e ghiaioni si trovano isolati gli uni dagli altri e separati da ambienti completamente differenti con una successione parete rocciosa-bosco-prato alpino-parete rocciosa. Quindi per una specie adattata a muoversi e vivere su un substrato roccioso o ghiaioso, non sarà affatto facile attraversare aree boschive o erbose. E poiché tutte le pareti rocciose, le rupi, i ghiaioni, le gole hanno caratteri esclusivi o quasi, ogni comunità animale o vegetale tenderà ad adattarsi a parametri molto variabili. Ad esempio la quantità di radiazione solare catturata è estremamente influenzata dall'esposizione del versante e i substrati variano in base alla composizione chimica delle rocce. L'influenza combinata di questi due fattori, isolamento e specializzazione, ha reso possibile la sopravvivenza di un grande numero di endemismi. A maggior ragione ora possiamo paragonare queste zone rocciose a delle "isole". Isole ecologiche in cui le comunità vegetali ed animali presentano caratteri peculiari, con pochi elementi ma altamente specializzati. Ovviamente il numero di specie legate a questi ambienti non è alto se paragonato ad altri, basti pensare a un bosco alpino con il suo sottobosco, ma notevole è la variabilità specifica e interspecifica. Isolamento e specializzazione hanno agito maggiormente sulle comunità vegetali: molte piante, che sono la memoria paleoclimatica e genetica del territorio, hanno un areale di distribuzione assai limitato e caratteristico, diventando così elementi estremamente preziosi e significativi dell'intera flora italiana. Infatti la maggior parte degli endemismi del nostro paese è strettamente legata alle catene montuose e in particolar modo a territori dove la presenza di rupi e ghiaioni prevale. Le pareti rocciose, pur avendo pendenze decisamente maggiori rispetto ai ghiaioni o agli accumuli in genere, garantiscono tuttavia un substrato stabile seppur molto compatto. Alghe, licheni e muschi, felci e angiosperme, con diverse strategie adattative, riescono a fissare le radici nelle rocce colonizzando anche le pareti verticali o sfruttare i microdetriti come substrato. Altre invece hanno sviluppato strategie che hanno permesso la conquista quasi esclusiva dei substrati incoerenti dei ghiaioni montani, riuscendo così a ricoprire rocce e massi con manti simili a croste o ciuffi colorati. L'inaccessibilità e la bassa competizione interspecifica ne fanno l'habitat preferenziale per molti uccelli. Pernici bianche, aquile, coturnici, sordoni, culbianchi, spioncelli e rari picchi muraioli trovano qui il loro ambiente d'elezione. Gli invertebrati (molluschi terrestri, coleotteri, lepidotteri, ditteri imenotteri e insetti fitofagi) sono il gruppo meglio rappresentato e specializzato, avendo masse molto ridotte e quindi richieste energetiche minori e maggiore facilità di adesione al substrato. Non è raro trovare colonie di molluschi terrestri al riparo in fessure della roccia o nei muschi. Anche per queste classi però gli aspetti ambientali limitanti, influiscono sulla distribuzione e sulla stabilità. Se le zoocenosi sono ridotte e instabili, lo saranno di conseguenza le biocenosi fitofaghe. E quindi anche i predatori maggiori, aracnidi, insetti, lucertole, marassi e piccoli mammiferi carnivori, si trovano in condizioni difficili. Scarsezza di risorse, maggiori difficoltà di movimento, minor tolleranza agli sbalzi temici, mimetismo difficoltoso fanno sí che ghiaioni montani e rupi vengano più che altro scelti come territori di caccia o come rifugio temporaneo. La scarsità d'acqua, o per lo meno il suo mancato accumulo, preclude la presenza di anfibi e solo la salamandra alpina, che ha modificato il ciclo riproduttivo con una fase larvale intrauterina per ovviare alla mancanza dell'ambiente acquatico, trascorrendo ibernata nel suolo i mesi freddi, è diffusa stabilmente nelle Alpi. Camosci e stambecchi sono i mammiferi più grandi tra i frequentatori delle falde detritiche montane e nei periodi caldi non è difficile osservare interi branchi di passaggio sulle pietraie. Cosi come è probabile sentire i fischi d'allarme delle marmotte, che al sopraggiungere di un pericolo svicolano velocemente tra massi e pietre per rifugiarsi nei loro cunicoli, o vedere i cunicoli scavati dalle arvicole, prede principali degli ermellini. Benché l'elemento dominante sia quindi la dura roccia e nonostante la loro scarsa accessibilità, questi ambienti e i loro abitanti sono estremamente delicati e suscettibili alle variazioni esterne. L'impatto antropico è spesso devastante; ambienti così specializzati difficilmente sopportano improvvisi mutamenti. Sfruttarli come cave per recuperare materiale da trasformare in ghiaia, sbancarne intere porzioni per farvi passare strade, o meno drasticamente eleggerli a palestre naturali per l'arrampicata, potrebbero sembrare azioni poco invasive e prive di conseguenze, in un insieme all'apparenza privo di vita. In realtà un minimo disturbo farebbe abbandonare a un rapace il suo nido e "spostare qualche masso" priverebbe di un intero mondo molti microinvertebrati. E di questo dobbiamo tener conto quando distrattamente passeggiamo in quota. E forse con un po' più di attenzione riusciremo a scoprire un mondo nascosto e inimmaginabile, in ambienti che a prima vista sembrano un deserto.
Stefano Forneris
è naturalista e ha seguito progetti di divulgazione scientifica collaborando con enti pubblici e privati. Appassionato di fotografia e sport montani, attualmente segue progetti di monitoraggio dei corsi d'acqua piemontesi.

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