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Hollywood ai piedi del Monviso

Spuntano nuovi elementi sul giallo del vecchio logo della Paramount così simile alla montagna piemontese

  • Mauro Pianta
  • giugno 2010
  • Domenica, 13 Giugno 2010

Guardi il Monviso e vedi Hollywood. In tanti sono pronti a scommetterlo: il profilo piramidale della vetta piemontese assomiglia maledettamente alla montagna coronata di stelle raffigurata nel vecchio marchio della Paramount, la storica casa cinematografica di Los Angeles. E a dire il vero, insistono i possibilisti, pure il logo attuale – quello più stilizzato, carico di sfumature rosa, con la cima che affiora dalle nuvole – ricorda molto da vicino il maestoso e nostrano triangolo. Un caso? Una singolare coincidenza perché – come sostengono gli scettici – in fondo tutte le montagne hanno forme simili? Macché. Secondo i fautori del “plagio” la somiglianza è dovuta al fatto che gli autori del primo brand si ispirarono ai 3841 metri del nostro “Re di Pietra”. La storia circola da tempo, ormai. Appare anche inserita, pur se declinata al condizionale, tra le curiosità di alcuni siti internet istituzionali. Certo, a conferire autorevolezza all’accostamento contribuì non poco una frase pronunciata da Gianni Agnelli nel 1996 durante un volo in elicottero proprio sopra il Monviso, in compagnia di Gad Lerner. L’Avvocato scrutava preoccupato i riti leghisti alle sorgenti del Po e quando osservò il massiccio montuoso quasi sobbalzò: «Ha una sagoma così perfetta che si comprende bene perché la Paramount ne ha fatto il suo marchio». L’Avvocato, si sa, conosceva bene gli Stati Uniti.

Ma come nasce questa leggenda? In base a quali elementi si può supporre un’ispirazione piemontese rispetto al celebre logo degli studios americani? Una possibile soluzione al piccolo giallo arriva da Lorenzo Ventavoli. Lui, storico del cinema, esercente, produttore (fu tra i fondatori della Medusa poi ceduta al Cavaliere), distributore, sceneggiatore, nonché presidente del Torino Film Festival, getta sul piatto della discussione aspetti nuovi e poco conosciuti: «Agli inizi del Novecento molti registi italiani si trasferirono a Berlino, mentre le maestranze del settore sbarcarono soprattutto negli Stati Uniti. Fu proprio uno di questi operai specializzati in scenografie, un emigrante piemontese, a sottoporre ai creativi della Paramount un bozzetto raffigurante il suo Monviso». Ipotesi corroborate da Flavio Russo, scrittore ambientalista che vive a Bra (Cuneo) e che coltiva il gusto per la cultura materiale: «Sull’argomento c’è una tradizione orale ma ricordo anche di aver letto libri di storici locali». Secondo queste fonti, a due operai saluzzesi emigrati in America e assunti dalla Paramount, venne chiesto di trasportare un cartellone sul quale i boss della produzione avevano deciso di tratteggiare il simbolo della casa cinematografica. Racconta Russo che uno dei capi avrebbe esclamato: «E adesso come la facciamo questa montagna?». Per tutta risposta uno dei due operai avrebbe tirato fuori dalla tasca una fotografia del Monviso, scattata da casa sua e conservata gelosamente come prezioso ricordo della propria terra. E il logo fu. Eccola, dunque, la nascita del marchio che la casa di produzione utilizzò tra il 1914 e il 1952 (denominato “First Majestic Mountain” con un intervallo negli anni Trenta caratterizzato da un altro brand sempre molto simile al Monviso), tra il 1952 e il 1954 (versione “Twisted Mountain”), e tra il 1954 e il 1967 (versione “Vista Vision Mountain”). Un marchio nel quale le 24 stelle (poi divenute 22) che fanno da corona alla vetta rappresentavano gli attori (le star) della scuderia hollywoodiana.

Naturalmente, guai ad accennare la storia ai signori della Paramount. Gli uffici italiani della major californiana rimandano alla versione ufficiale della casa madre. Il logo originario, dicono, potrebbe essere basato su uno schizzo fatto a mano da William Wadsworth Hodkinson, uno dei fondatori della Paramount che nel 1914, durante una riunione con l’altro boss, Adolph Zukor, fece degli scarabocchi ispirandosi a una montagna della sua infanzia: il Ben Lomond Peak, nello stato dello Utah. Ma le immagini della cima in questione, la immortalano piuttosto tondeggiante e per niente simile alla piramide che conosciamo. Altri, come riporta il sito della stessa Paramount, sostengono che il famoso simbolo recente, quello stilizzato e realizzato con i computer, riproduca una montagna peruviana: l’Artesonraju.

E se due istituzioni torinesi come il Museo del Cinema e quello della Montagna ammettono di non conoscere la lettura piemontese della vicenda, l’argomento suscita divisioni tra gli addetti ai lavori. Baldo Vallero, storico del cinema, ha pochi dubbi: «Tutte le volte che vado al mare e guardo il profilo del Monviso – dice – mi viene in mente il celebre emblema hollywoodiano. È troppo evidente perché si tratti di una storia sballata. Del resto – prosegue - nel cinema delle origini tutto era piuttosto occasionale e capitava spesso che sceneggiatori e disegnatori si ispirassero a delle fotografie». Un regista come Fredo Valla, invece, si mostra più scettico: «Credo che in questa vicenda non ci sia niente di vero: molto probabilmente tutto nasce dalla frase contenuta nell’intervista rilasciata dall’avvocato Agnelli…».

Hervè Tranchero gestisce il rifugio Quintino Sella, giusto all’ombra di quella che i Romani ritenevano essere la vetta più alta delle Alpi. Anche lui appartiene al partito degli increduli: «L’accostamento non mi convince», dice. Giancarlo Fenoglio, guida alpina del Monviso, la pensa diversamente: «Ho sempre notato una certa somiglianza tra il marchio stilizzato e la nostra montagna. Per chi è del mestiere salta subito all’occhio». Resta il “giallo” della piramide piemontese che da quasi cent’anni potrebbe essere un sigillo della macchina dei sogni. Roba da Hollywood.

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