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Se il parco diventa location

Dall'armata Brancaleone a Robin Hood; da Cabiria a Yado; da Maciste a Sandokan. Molte sono le pellicole girate nei parchi: nel Lazio, soprattutto. ma anche nelle aree protette Piemontesi

  • Steve Della Casa
  • giugno 2010
  • Domenica, 13 Giugno 2010

Brancaleone e i suoi compagni di avventura sono tra i protagonisti più memorabili del cinema italiano. E le avventure di Brancaleone si svolgono tutte in Tuscia, una delle località più suggestive d'Italia. In particolare, la scena in cui Enrico Maria Salerno, sotto gli occhi attoniti di Vittorio Gassman e degli altri pellegrini sparisce trascinato da un torrente per il crollo di un ponte si svolge a Canale Monterano, oggi coperto da tutela paesaggistica (è una riserva naturale) ma all'epoca set privilegiato per tutti i western all'italiana grazie ai suoi boschi secolari e alle molte escrescenze del terreno rese pittoresche dalla presenza di zolfo. Canale Monterano è solo un esempio di un parco naturale che ha fornito al cinema preziose ambientazioni. Una delle caratteristiche storiche del cinema italiano è sempre stata quella di saper fare di necessità virtù, e quindi di saper utilizzare i posti per mille ambientazioni. Un altro esempio molto interessante ci viene sempre dal Lazio. Si tratta di Tor Caldara, oggi area protetta dal WWF nel litorale sud del Lazio (il comune di riferimento è Lavinio) ma negli anni Sessanta luogo per eccellenza della fantasia degli scenografi. Le sue dune sabbiose in parte ricoperte da macchia mediterranea e attraversate da un piccolo ma pittoresco ruscello che sfocia direttamente sul mare, sono state utilizzate per le ambientazioni più diverse. Sono state il Sahara in Maciste contro lo sceicco di Domenico Palella, il deserto dei Gobi in I predoni della steppa di Tanio Boccia, l'Asia Minore in La guerra di Troia di Giorgio Ferrosi, il Texas in Jim il primo di Sergio Bergonzelli, la foresta di Sherwood in Robin Hood e i pirati di Giorgio Simonelli, il rifugio di Diabolik in Diabolik di Mario Bava e anche il luogo della gita in Io sono un autarchico di Nanni Moretti. Oltre a molte altre ambientazioni: si calcola che dal 1957 al 1975, quindi nei vent'anni di maggiore fortuna del cinema italiano, Tor Caldara compaia in circa 400 film. Sempre in centro Italia è da sottolineare che il Parco Nazionale dell'Abruzzo è stato anch'esso teatro di ambientazioni importanti. A Campo Imperatore le gesta di Trinità e di Bambino, quindi dei divertenti Terence Hill e Bud Spencer, hanno trovato il luogo ideale e i paesaggi giusti. Poco più in là, nel massiccio del Gran Sasso, si è letteralmente sbizzarrito Riccardo Freda, il nostro maggiore regista di film d'avventure tanto amato da Giuseppe Tornatore, che gli ha anche dedicato un bel documentario. Un suo film, Il cavaliere misterioso, narra le avventure di Giacomo Casanova e segna il debutto sul grande schermo di Vittorio Gassman nell'immediato dopoguerra. Una delle scene più belle del film, la sua fuga da Mosca con una slitta trascinata dai cani e inseguita dai soldati dello zar, si svolge proprio nel Parco nazionale dell'Abruzzo ricoperto da una fitta coltre di neve. Naturalmente non è Vittorio Gassman a interpretare la scena ma la sua controfigura, visti i rischi di un inseguimento davvero mozzafiato. Ma anche la controfigura ha un suo quarto di nobiltà: si tratta di Raimondo D'Inzeo, all'epoca ufficiale di cavalleria e destinato nel 1960 a ricevere un meritato oro olimpico proprio nell'equitazione. Come si è visto, la maggior parte delle ambientazioni nei parchi naturali è legata alla grande tradizione del cinema italiano di avventura. Come vedremo, però, ci sono anche altri film a richiedere questa scelta di location. Ma va sottolineato come il cinema d'avventura sia a tutt'oggi il prodotto cinematografico italiano più noto, conosciuto ed apprezzato del mondo. Basta pensare a Quentin Tarantino e a quanto quel cinema, per sua esplicita ammissione, lo abbia fortemente influenzato. Ma Tarantino non è un caso isolato. I fratelli Coen hanno recentemente dichiarato che, quando stanno scrivendo le loro commedie surreali che tanto successo riscuotono in tutto il mondo, abitualmente amano proiettare un film italiano che narri le avventure di Ercole e di Maciste. Joe Dante, dal canto suo, adora i western italiani (non solo quelli di Sergio Leone, che peraltro sono stati quasi interamente girati in Spagna e in America, ma anche e soprattutto quelli piccoli e molto violenti che per questioni di costi erano girati proprio nella zona già citata di Canale Monterano). E anche Steven Spielberg adora il nostro cinema d'avventura: nella sua serie dedicata a Indiana Jones molte volte gli studios americani ricostruiscono una giungla molto simile a quella del Lago di Fogliano, altra zona oggi protetta da un parco nella zona del Circeo e sede negli anni Sessanta per tutti i film che ricostruivano le avventure tratte dai libri di Emilio Salgari (I misteri della giungla nera, Sandokan la tigre di Mompracem e così via) e che venivano realizzati a costi molto bassi per poi essere esportati in tutto il mondo con grande redditività per i produttori.

Tutte le località che abbiamo citato sono localizzate in centro Italia. Non è certamente un caso. Dagli anni Trenta in poi, infatti, il cinema italiano ha avuto in Roma la città pressoché unica di riferimento. A Roma ci sono gli studi di Cinecittà, che fino agli anni Sessanta sono stati quelli tecnologicamente più avanzati in Europa e inoltre dotati di grandi professionalità (tecnici, elettricisti, cascatori, comparse). Di conseguenza a Roma hanno avuto sempre sede le maggiori case di produzione, e sempre nella capitale avvenivano i casting, la scelta degli attori principali ma anche di tutte le comparse. Per evitare di pagare diarie (il termine tecnico con cui si definiscono nel cinema i compensi maggiorati per le trasferte), era necessario non doversi spostare molto dalla capitale. Sia il Circeo sia la Tuscia rientravano in questa casistica. Si potevano organizzare trasferte dal mattino alla sera per poi tornare i giorni successivi senza dover affrontare spese di viaggi e di alberghi. Ecco spiegato perché quei posti, peraltro bellissimi, erano così frequentati. Va ancora notato che tutto questo ebbe dirette conseguenze anche sulla vita dei posti stessi. Tutti gli abitanti al di sopra dei cinquant'anni si ricordano che a Canale Monterano e nelle località limitrofe, ogni sera sulla piazza si presentava un banditore che attirava l'attenzione facendo rullare un tamburo e poi scandiva le esigenze di chi stava girando in quel momento. «Per domani servono dieci a cavallo, trenta a piedi, dieci donne...». Inutile dire che queste convocazioni segnarono un deciso cambio nell'economia locale, fino a quel momento legata soprattutto all'agricoltura e (nel caso di Tor Caldara) alla pesca. E nel resto d'Italia? Il discorso è una precisa conseguenza di quanto si diceva precedentemente. Negli anni del cinema muto (fino al 1930), la produzione di film era diffusa in quasi tutte le regioni italiane. I trasporti erano ancora molto difficoltosi, lo stato italiano non aveva ancora una politica per il cinema (inizierà a sovvenzionare l'industria cinematografica a partire dagli anni Trenta, per precisa scelta di Benito Mussolini) e di conseguenza si girava un po' dappertutto e la produzione aveva un forte assorbimento sul piano locale. Torino, fino alla fine della prima guerra mondiale, è stato il centro produttivo di gran lunga più attivo e intraprendente. E questo non sarà privo di conseguenze anche per quanto riguarda i parchi. In particolare, il Parco nazionale del Gran Paradiso, accessibile dal Piemonte e dalla Valle d'Aosta, è stata la location fondamentale per alcuni dei kolossal del periodo muto, primo tra tutti Cabiria che è a tutt'oggi il film italiano del periodo più noto in Italia e nel mondo. Anche all'epoca si usava utilizzare le riserve naturali per ambientazioni di fantasia. Nel caso di Cabiria, tutto sommato, si restava sull'arco alpino attraversato da Annibale con tanto di elefanti per portare l'attacco al cuore della repubblica romana. Ma ci sono anche casi più eclatanti. Lo stesso Gran Paradiso, infatti, serve per ambientare Cenere, tratto da un racconto di Grazia Deledda e ambientato nella Sardegna cara alla scrittrice. Le montagne in questione sono piuttosto diverse da quelle della Sardegna, ma per il pubblico di allora la differenza non era così visibile. Con gli anni Trenta, come si è detto, si passa alla prevalenza romana o quantomeno laziale delle ambientazioni. Tale tendenza inizia nuovamente a invertirsi negli anni Ottanta. Da un lato il cinema italiano conosce un periodo di profonda crisi. Dall'altro si cercano scenari e ambientazioni nuove, e questo è reso possibile anche dal grande miglioramento dei trasporti e dalla possibilità di reperire sul posto aiuti finanziari che servono ad abbattere i costi. Da quest'ultima considerazione nasceranno poi in tutte le regioni le Film Commission, strutture che hanno come finalità l'attrazione sul proprio territorio di produzioni cinetelevisive. Il vento è decisamente cambiato e soprattutto il Piemonte diventa da subito, grazie a una Film Commission molto attiva e intraprendente, il luogo più ricercato in Italia. Dal punto di vista dei parchi naturali il film che segna una svolta è certamente Tutta colpa del Paradiso, dove il Paradiso è per l'appunto il parco naturale che prima veniva citato e che vede attuare le schermaglie amorose del protagonista Francesco Nuti (anche se il film è in gran parte girato in Val d'Ayas). Siamo nei primi anni Ottanta. Da allora sempre più frequentemente le troupes cinematografiche appaiono come funghi in città, campagne, parchi naturali lontani da Roma.

Anche perché non si girano solo film per il grande schermo ma anche lavori per la televisione, documentari, prodotti per i nuovi media. Fare un elenco sarebbe davvero molto lungo e forse anche un po' noioso. Ci limiteremo a registrare delle tendenze e a fornire degli esempi. Per quanto riguarda le grosse produzioni con gli americani, il parco nazionale degli Abruzzi continua a essere molto usato. Lì ad esempio ha girato anche Arnold Schwarzenegger, con il suo Yado che è sì una produzione americana ma porta pur sempre la firma del nostro Dino De Laurentiis che quel parco conosce molto bene. Ma va anche ricordato che una consistente troupe della Disney è stata a lungo in Piemonte nel 2008 per girare intere lunghe sequenze all'interno dei nostri parchi naturali, in special modo nell'Appennino ligure-piemontese. E il motivo è piuttosto curioso. Quelle riprese si svolgevano infatti senza attori, erano solo lunghe carrellate all'interno di quei bellissimi boschi. Saranno utilizzate come materiale d'archivio per gli effetti speciali. Il che significa che in tutti i film fantasy della Disney vedremo quei boschi modificati dal computer e utilizzati come sfondo sul quale aggiungere con i trucchi digitali i protagonisti dei vari film. Un sistema di lavorazione impensabile fino a qualche anno fa, ma adesso reso attuale dall'affermarsi delle nuove tecnologie. I documentari sono poi diventati uno strumento sempre più diffuso, molto apprezzato dal pubblico e ultimamente capace di ricavare anche qualche spazio nelle programmazioni televisive. E proprio di uno strano documentario vorremmo parlare, anche perché segnala un certo cambiamento nei tempi e nei costumi. Il documentario s'intitola Questo sceneggiato s'ha da fare, lo ha diretto nel 2002 Stefano Mordini e si svolge nel basso Piemonte, in quell'area che adesso è protetta dal bellissimo parco delle Capanne di Marcarolo. Una serie di interviste a coloro che nel 1967 hanno collaborato come comparse o come aiuti alla realizzazione di uno dei più famosi sceneggiati della televisione italiana, I promessi sposi, con la regia di Sandro Bolchi e con Paola Pitagora e Nino Castelnuovo come protagonisti. Tale sceneggiato utilizzava, in veste di castello dell'Innominato, il suggestivo castello di Casaleggio Boiro che nel passare degli anni non si è mai modificato. Quando fu girato lo sceneggiato la zona non era ancora parco naturale, quando è stato girato il documentario era da tempo diventata area protetta. Ed è significativo sentire raccontare dai protagonisti tutte le cose che allora venivano realizzate per girare le scene più spettacolari (tipo l'assalto dei lanzichenecchi), e cioè: costruzioni poi distrutte per esigenze sceniche, incendio di campi, cavalli lanciati in un galoppo sfrenato, persino una cappelletta costruita in muratura in mezzo a un bosco per il famoso incontro tra Don Abbondio e i bravi. Tutte cose allora possibili e oggi molto problematiche in quell'area, proprio a causa della sua trasformazione in zona protetta. Naturalmente, è giusto che sia così. E tutto questo non fa che sottolineare l'importanza della tecnologia, proprio come si diceva prima. Oggi le stesse scene sarebbero realizzate grazie alla tecnologia digitale, senza bisogno di alterare il territorio che potrebbe invece essere campionato e poi utilizzato come sfondo. Un esempio ulteriore, insomma, di quanto la tecnologia se ben usata può essere utile per il rispetto della natura.

Steve Della Casa è stato direttore del Torino Film Festival dal 1999 al 2002. Collaboratore del quotidiano La Stampa e delle riviste Film TV, Cineforum, SegnoCinema. Dal 1994 è conduttore del programma quotidiano radiofonico Hollywood Party (RadioTre). Nel 2004 è nominato consigliere d'amministrazione del Museo Nazionale del Cinema; dal 2006 è Presidente della Film Commission Torino Piemonte e dal 2008 è Direttore del RomaFictionFest.

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