Pare che il Cardinale Richelieu, già nel V secolo, si facesse spedire in Francia delle bottiglie del pregiato vino Ramìe, dalle Valli Germanasca e Chisone. Poi negli anni '20 del Novecento arrivò l'infezione da filossera che distrusse le viti e la gente se ne andò via, abbandonando la vigna. Come se non bastasse ci pensò poi la Grande Guerra a portare via i ragazzi, e ancora negli anni '80 del '900 sembrava tutto perduto, se non fosse per i pochi "amatori" che hanno tenuto duro, tra vigna e lavoro, e grazie a loro qualcosa si è conservato dell'antica cultura della vigna eroica di montagna tra Pomaretto e Perosa Argentina.
I discendenti di questi "amatori" si sono fatti imprenditori e ripartono dal passato, dalla storia di un'attività gloriosa, e da un prodotto sempre migliorato negli anni, capace di attirare un numero crescente di ospiti amatori della montagna e del buon vino. Si chiamano Coutandin, Pons, Ribet e insieme al sindaco Danilo Breusa, accolgono oggi i curiosi presso Il Ciabot, nelle "vigne eroiche" del Comune, per raccontare la straordinaria storia recente del "riscatto" del vino Ramìe. Un ricupero architettonico realizzato dal Comune di Pomaretto di un'antica struttura in pietra rimasta abbandonata per anni, che oggi si erge a guardiana e promotrice dei 1500 mq di muretti a secco ripiantati a vite nel corso degli ultimi dieci anni. Al Ciabot, oltre all'accoglienza dei turisti, ogni anno si festeggia la vendemmia del Ramìe. Produttori, residenti e appassionati si trovano a brindare nella struttura rimasta per anni completamente abbandonata, coperta dalla vegetazione, e diroccata, all'interno di un'area sorretta da muretti a secco, recuperata, ripiantata e riportata alla produzione, attraverso la creazione di un vigneto didattico con i quatto vitigni che caratterizzano il locale vino Ramìe: Avana, Avarengo, Becuet e Chatus.
Una storia esemplare di tradizione e innovazione alpina, esemplificata dalla "reinvenzione" di un vino raro, difficile e prezioso, che grazie al luogo fisico del Ciabot oggi ha una sua casa dedicata. Sindaco e vignaioli di Pomaretto, terra di pumarè ("meleto" in occitano) ma anche di vigneti, si impegnano quotidianamente nel mantenimento e sviluppo della produzione naturale, senza diserbanti e additivi, del vino Ramìe, un vino di montagna dal colore rosso rubino, profumato di frutta, con una gradazione alcolica di 13 gradi e mezzo, che nasce fin medioevo dai locali vigneti coltivati a terrazza a 700-800 metri di altezza, in un sorprendente microclima mediterraneo che fa crescere accanto alle viti anche piante di fichi d'india e di capperi. Qui, tra i vigneti eroici di montagna, la parola d'ordine è «qualità», prima ancora che quantità. Perché, come spiega il vignaiolo Daniele, «con queste pendenze e queste altitudini bisogna lasciare pochissimi grappoli sulla pianta». Ma non è solo al vino buono che si punta. Difendere l'integrità (fisica, culturale e storica) del territorio è un'altra responsabilità sentita dai vignaioli. 'Tirar su' le vigne per custodire storia e paesaggio, sottraendo terreni all'abbandono, preservandoli da smottamenti, rimodellandoli al bello, cercando sempre, rigorosi, un equilibrio con la natura circostante. Per il resto, dicono i produttori: «Lasciar fare all'aria, ai fiori, alle piante e agli insetti 'amici', intervenendo il meno possibile».
Oggi una nuova attenzione verso i paesaggi terrazzati, un'amministrazione attenta e una comunità fiera della sua cultura vitivinicola hanno posto le basi per la rinascita di quelle che i locali chiamano "Le Cinque Terre di Pomaretto". Si tratta di una tradizione vinicola antichissima, risalente all'epoca medievale, che dopo gli eventi nefasti dell'800-900, nel secondo dopoguerra raggiunse dei livelli qualitativi discreti tanto da essere citata dal grande critico Luigi Veronelli che scrisse: «Bel colore rosso rubino, delicato profumo. Sapore giustamente asciutto, fine, gustoso». Erano quelli ancora tempi in cui la maggior parte dei terrazzamenti giacevano abbandonati e alcune sparute famiglie coltivavano le vigne per passione, producendo il vino prevalentemente per l'autoconsumo. Bisogna arrivare al 1996 per vedere una vera svolta, quando il Ramìe ottiene la prestigiosa denominazione Doc, all'interno della famiglia "Pinerolese". Poi nel 2003 l'allora Provincia di Torino finanzia la costruzione di una monorotaia per facilitare il lavoro e la vendemmia. «E finalmente – spiega il sindaco di Pomaretto Danilo Breusa - nel 2009 quando sono stato eletto, abbiamo deciso di dare una svolta più decisa alla situazione riunendo i piccoli contadini che ancora coltivavano le terrazze sopravvissute all'interno di un consorzio». Nasce così il Consorzio produttori vini del Ramìe.
Il Ramìe di Pomaretto è uno dei prodotti tipici della vitivinicoltura "eroica" di montagna in Piemonte, che insieme ad altre produzioni enologiche di Valle d'Aosta e Savoia, è stato valorizzato dal progetto europeo ALCOTRA Strada dei Vigneti Alpini, di cui è capofila la Città Metropolitana di Torino. Progetto grazie al quale è stato possibile recuperare il Ciabot, e realizzare un vero e proprio itinerario dei vini tra le vigne. «Quando sono diventato sindaco, nel 2009, – racconta il Primo cittadino Danilo Breusa – Pomaretto aveva due produttori di vino. Oggi, sono diventati otto, e quasi tutti giovani: un ottimo segnale, che fa pensare al futuro». E l'attività vitivinicola di Pomaretto non si limita al recupero della produzione del vino tradizionale, ma si sta innovando, seguendo le richieste del mercato: a fianco al Ramìe da un paio di anni a questa parte vengono prodotte anche le "bollicine", con uve bianche e rosé, una novità assoluta per la valle. «Quando parlo di futuro – conclude Danilo Breusa – mi riferisco al fatto che le bollicine prevedono 36 mesi di invecchiamento, e che quindi questa vendemmia 2023 sarà in vendita fra la fine del 2026 e l'inizio del 2027».
Arrivederci al Ciabot di Pomaretto!
Foto Archivio Comune di Pomaretto