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Carnevali tradizionali del Piemonte, tra parchi e dintorni

Il Carnevale è una festa comunitaria di purificazione e propiziazione dai significati ancestrali, anche nei parchi e dintorni piemontesi

  • Loredana Matonti
  • febbraio 2017
  • Martedì, 14 Febbraio 2017
Il selvatico di Laietto Foto A. Molino Il selvatico di Laietto Foto A. Molino

Non si può che non essere d'accordo con l'etnologo Alexis Bètemps, quando asserisce che "il carnevale esisteva in tutte le parrocchie, con forme in parte simili: una questua rituale effettuata da gruppi mascherati".
L'osservazione si riferisce alla Valle d'Aosta, ma può essere senz'altro estesa a buona parte dell'area alpina e agli ambienti rurali in particolare.

Nel calendario liturgico cristiano il "carnevale" è il periodo compreso fra l'Epifania e l'inizio della Quaresima. Si svolge quindi in un periodo lasciato vuoto dal calendario agrario, che impone con il suo periodo di penitenza e di astinenza una vita più riflessiva e morigerata.

Nella tradizione popolare, tuttavia, copre in senso stretto soltanto i giorni detti "grassi": dal giovedì al martedì prima del Mercoledì delle Ceneri, che segna l'inizio della quaresima (secondo il rito ambrosiano-Milano-per secolare concessione in quella diocesi, invece, i giorni "grassi" si protraggono fino al sabato, dato che la quaresima inizia la domenica).

L'origine della parola Carnevale non è certa. Due i possibili etimi: "carmen levare", ovvero "intonare un canto", oppure "currus navalis" che designava uno dei carri su cui si sfilava nelle parate durante la festa.
Successivamente il termine venne reinterpretato con la locuzione "carne-levare" che significa "astenersi dalla carne" e indica l'obbligo di non mangiare carne e di evitare rapporti sessuali durante il periodo penitenziale della Quaresima.

Il modello carnevale-corteo questuante, nasce da un'unica modalità comunicativa, si trasforma e si adegua alle singole realtà. Inglobando, quando funzionali, prestiti dall'esterno, modificando certi modi di manifestarsi, storicizzandosi e localizzandosi.

Ma se il "carnevale dei carri" come lo conosciamo oggi è l'ultima trasformazione della reinterpretazione medievale di riti pagani e manifestazione tipicamente urbana, altri riti e modalità espressive qua e là nelle feste riproposte sull'arco alpino in questo periodo, conservano al loro interno molti elementi riconducibili ad archetipi dell'immaginario collettivo.
Quella mitologia che, seppure in altre forme, continua a strutturare il nostro modo di pensare.

Nello stesso periodo infatti, altre ritualità nel mondo alpino vanno in scena, intrecciandosi e confondendosi: S. Antonio, i Tre Re, le Giubiane, i Fantome, i cortei mascherati, gli orsi, le Baìo etc.

Relativamente recente poi, è la convinzione che il carnevale sia cosa "da bambini", quando in passato a "far carnevale" erano soprattutto i maschi adulti celibi, quasi mai le donne. Le donne del carnevale erano spesso oggetto, mentre i bambini si preparavano al mondo degli adulti "giocando al carnevale con modalità a loro proprie.

Come festa ha sicuramente i suoi antesignani nei "saturnalia" dei romani, festa invernale che cadeva intorno a Natale e che con il suo mondo alla rovescia e l'usanza di farsi i regali è anche all'origine del Natale stesso.

Come rito invece si ricollega direttamente ai cerimoniali propri del mondo agricolo e del ciclo agrario al tempo stesso, rinascita e purificazione. Una festa della fecondità, di iniziazione e propiziazione, che esorcizza l'inverno e attende speranzoso la bella stagione. Anzi, il momento propiziatorio per eccellenza.

"Facevamo carnevale", racconta un informatore, "perché poi la segale cresceva più bella...Oppure:"se era crisi allora facevamo carnevale perché così forse le cose sarebbero andate meglio" aggiunge un altro.

C'è sicuramente un fondo di verità pratico in queste affermazioni. Se "l'unione fa la forza" come recita un famoso proverbio, il carnevale, necessitando per la sua messa in scena dell'intera comunità e delle sue energie, in qualche modo cementa e rende più coeso il contesto sociale, rendendolo più adeguato ad affrontare compiti più gravosi.

Il Carnevale in senso stretto quindi, reinterpreta gli antichi riti, rifunzionalizzandoli, anche a costo di perderne il significato cosciente originario. Così facendo diventa festa "altra", concorrente con i relitti del passato. Pur sovrapponendosi a una molteplicità di altre manifestazioni, da queste viene in qualche modo fagocitato, trasformandosi in una sorta di palinsesto polisemantico.

Al di là dei molti significati  pare importante considerarne alcuni aspetti sui quali vale la pena di riflettere: fare "carnevale" non è la stessa cosa che assistere al carnevale.
"Fare" significa relazioni sociali, partecipazione, autocoinvolgimento, sinergie per raggiungere un obiettivo comune, ma anche per liberare la creatività ed autorealizzarsi.
Significa anche integrazione sociale tra gente di provenienze ed estrazioni diverse, ma tutte con la medesima motivazione.

Ancora, è una riappropriazione degli spazi e del territorio, che sfugge alla perversa spirale del consumo e della produzione. E' convivialità e capacità di ridere di se stessi.
Infine, è anche un modo per liberare energie telluriche e ctonie in momenti di passaggio. Più semplicemente, un occasione per togliersi il classico..."sassolino dalla scarpa".

Carnevali tradizionali

Sopravissute e rifunzionalizzate solo nelle aree più conservative, sono poche comunque le feste rituali che hanno resistito all'omologazione e all'oblio. Negli ultimi decenni abbiamo assistito a numerose riprese, ma anche ad abbandoni vecchi e nuovi o a trasposizioni in altri momenti dell'anno. Ma dove trovare ormai tracce delle antiche feste?

Nel nostro territorio non c'è che l'imbarazzo della scelta. Tutti gli anni vanno in scena, l'Orso di Mompantero, il carnevale di Salbertrand, la Lachera di Roccagrimalda, il Portè a morì Genì di Groscavallo, l'Orso di Segale di Valdieri, il Lupo di Chianale, il Fantome di Torrette, le Barboires di Chiaves, il Brënlou di Mezzenile, il Mercu scurot di Borgosesia, altre come le Baìo della val Varaita (Bellino, Sampeyre, Becetto, Frassino), il carnevale di Laietto vengono riproposte a intervalli più o meno regolari.

Elementi comuni e caratteristici: i costumi dei personaggi caratteristici. Alcuni particolarmente complessi, sempre cuciti dalle donne. I diversi accessori vengono imprestati da una famiglia all'altra e poi restituiti al termine della festa. Altra componente essenziale sono i preziosi nastri di seta, cascata variopinta di colori, conservati in scatole di cartone e gelosamente custoditi da un anno all'altro.

Ma i carnevali tradizionali, in definitiva, non costituiscono una categoria a se stante, omogenea culturalmente, bensì rappresentano residui di allegorie un tempo diffuse in tutte le culture agrarie dell'emisfero settentrionale, luoghi dove il ciclo delle stagioni e la circolarità del tempo acquistano, ancora, un senso.

E, oggi, diventano sempre più un'occasione per rilanciare il territorio dal punto di vista turistico. Preziosa si rivela spesso la presenza di enti gestori dei parchi e degli ecomusei regionali (come nel caso del Parco Alpi Cozie o dell'ecomuseo della segale) come elemento di traino, assieme ad associazioni locali o alle pro loco, nel promuovere le feste stesse.

Assecondando così un bisogno dell'uomo, sempre più sentito in questi anni, che è quello di riappropriarsi di tradizioni e di natura, unendo metropoli e campagna, passando dall'addomesticamento al "rinselvaticamento".

 

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