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La grotta di Ciota Ciara, una storia lunga 100mila anni

Si è conclusa la nona campagna di scavi archeologici sul Monte Fenera (Borgosesia). Le ricerche, dirette dall'Università di Ferrara con l'Ente di gestione Aree protette Valsesia, permettono di conoscere meglio le abitudini dei primi abitanti del Piemonte. Pubblichiamo un articolo realizzato dai ricercatori coinvolti negli scavi

  • Marta Arzarello, Gabriele Berruti, Sara Daffara, Julie Arnaud, Claudio Berto, Guido Montanari Canini, Davide Berté, Maurizio Zambaldi
  • settembre 2017
  • Martedì, 26 Settembre 2017
Ciota Ciara, i ricercatori all'interno della grotta parco valsesia Ciota Ciara, i ricercatori all'interno della grotta parco valsesia

 

La grotta della Ciota Ciara sul Monte Fenera (Borgosesia, VC) rappresenta la più importante testimonianza dell'occupazione preistorica di tutto il nord-ovest della penisola Italiana. Localizzata all'interno del Parco Naturale del Monte Fenera, ad un'altezza di 670 m s.l.m., la grotta è stata oggetto di indagine dalla prima metà del XIX secolo fino agli anni '70. Successivamente gli scavi sono stati ripresi per brevi campagne di indagini a partire dagli anni 90, ma veri e propri scavi sistematici sono iniziati nel 2009 ad opera dell'Università degli Studi di Ferrara in collaborazione e concessione con la Soprintendenza Archeologia del Piemonte.

La grotta della Ciota Ciara, formatasi a causa di fenomeni di erosione idrica, si apre all'interno della Dolomia di San Salvatore (datata al Triassico medio, circa 230 milioni di anni fa) ed è caratterizzata dalla presenza di due aperture, solo una delle quali ha ospitato l'occupazione preistorica. L'occupazione è attestata unicamente nella zona atriale della grotta per ovvi motivi legati all'inferiore tasso di umidità e alla presenza di luce naturale.

La grotta è stata occupata a più riprese e a differenti scopi: in alcuni periodi veniva utilizzata come rifugio per le battute di caccia, mentre in altri veniva probabilmente utilizzata come luogo di abitazione per periodi più lunghi. In alternanza con le occupazioni umane, durante i mesi invernali, la grotta veniva utilizzata dagli orsi (soprattutto Ursus spelaeus ma più raramente anche Ursus arctos) che la sfruttavano per andare in letargo.

Le datazioni radiometriche (U/Th) dell'occupazione preistorica sono in corso presso il Laboratorio di Datazioni del Museo di Storia Naturale di Parigi e pertanto, al momento, la cronologia è stata definita sulla base dell'associazione faunistica, ovvero delle specie di vertebrati (soprattutto micromammiferi come i topi) presenti all'interno del sito. Lo studio della microfauna ha permesso di collocare l'occupazione della grotta ad una data antecedente i 100 mila anni fa in un periodo in cui l'ambiente doveva essere abbastanza aperto (soprattutto nell'area al di sotto del monte) e il clima più arido di quello attuale. Da un punto di vista generale, andando dai livelli di occupazione più recenti verso quelli più antichi si può riconoscere un progressivo raffreddamento climatico fino ad arrivare a dei livelli sterili in cui probabilmente il clima era decisamente più freddo ed arido dell'attuale.

I resti umani (un pezzo di cranio ed alcuni denti) trovati nei depositi rimaneggiati durante la costruzione di un muro a protezione dell'entrata, sono stati attribuiti all'Uomo di Neanderthal e costituiscono, assieme ai denti rinvenuti nella vicina grotta del Ciotarun, le uniche evidenze dirette della presenza umana nel nord-ovest dell'Italia.

L'uomo preistorico ha utilizzato la grotta probabilmente per diverse ragioni: la presenza di un riparo naturale, la vicinanza delle materie prime scheggiabili, la presenza di acqua e la localizzazione geografica alla confluenza di più biotopi in cui era possibile cacciare diverse specie di erbivori come i cervi, i camosci e gli uri (tutte specie ben documentate all'interno dei diversi livelli archeologici).

L'occupazione preistorica della Ciota Ciara si colloca all'interno della tradizione tecnica conosciuta come Paleolitico medio (comunemente collocato tra 300.000 e circa 34.000 anni fa) e l'uomo ha sfruttato soprattutto materie prime locali per confezione i suoi strumenti. Ha raccolto selce e quarzo nelle aree limitrofe alla grotta e le ha scheggiate soprattutto con il fine di produrre schegge dai margini taglienti che venivano utilizzate direttamente o in seguito ad una modificazione dei margini funzionali tramite ritocco. I metodi di scheggiatura utilizzati sono quelli tipici del Paleolitico medio e prevedono la riduzione dei blocchi di materia prima secondo delle procedure più o meno standardizzate e ripetitive. Nei livelli in cui l'occupazione era meno intensa, l'uomo ha altresì portato nel sito strumenti già confezionati altrove in materie prime di origine più lontana. Questi strumenti venivano riaffilati via via che perdevano la loro funzionalità, come attestato dalla presenza, nei livelli archeologici, di numerose piccole schegge di ritocco.

Lo sfruttamento delle carcasse animali è attestato anche dalla presenza di alcune tracce di macellazione lasciate dagli strumenti in pietra sulle ossa. Al di là delle normali operazioni di depezzamento per il recupero delle masse carnee a scopi alimentari, sono state trovate anche delle tracce legate al recupero delle pellicce che probabilmente venivano utilizzate per la confezione di abiti e giacigli.

Le ricerche condotte nella Grotta della Ciota Ciara hanno permesso finalmente di far luce su quello che era sempre stato considerato come un periodo buio della preistoria dell'Italia del nord-ovest. Le campagne di scavo, possibili grazie al fondamentale aiuto logistico del Comune di Borgosesia, dell'ex-gruppo GASB e del Parco Naturale del Monte Fenera, continueranno anche negli anni a venire e permetteranno di ricostruire ancora meglio le abitudini e i comportamenti dei primi abitanti del Piemonte.

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