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Una camminata in Val Grande, seduti al cinema

Torniamo a scrivere del docufilm A riveder le stelle di Emanuele Caruso, ma questa volta sveliamo come è stato girato un prodotto filmico a basso impatto ambientale, in soli sette giorni (e nella "wilderness italiana") con l'utilizzo di due telefoni cellulari e un drone alimentato a energia solare. 

  • Denise Giusto
  • Gennaio 2023
Martedì, 10 Gennaio 2023
Regista e attori del docufilm 'A riveder le stelle' | p.g.c. C. Morando Regista e attori del docufilm 'A riveder le stelle' | p.g.c. C. Morando

"Una camminata in Val Grande stando seduti in sala": così il regista Emanuele Caruso definisce il suo docufilm a basso impatto ambientale intitolato A riveder le stelle, girato in soli sette giorni, lo scorso agosto 2019, tra gli scorci mozzafiato del Parco Nazionale della Val Grande, 'wilderness italiana' e area di natura selvaggia tra le più estese d'Europa.

Caruso, regista di Alba, fondatore della casa di produzione Obiettivo Cinema, ha presentato la pellicola lo scorso 5 dicembre alla XVII edizione del Ponente International Film
Festival, rassegna cinematografica dedicata all'uomo, alla natura e alla Terra, organizzata dall'associazione culturale onlus La Decima Musa con il contributo di Mibact – Direzione
Generale Cinema e Audiovisivo, Regione Liguria e Città di Bordighera.

Il film, di cui su Piemonte Parchi abbiamo già scritto la scorsa primavera, è stato realizzato dalla società di produzione di Alba Obiettivo Cinema, con il sostegno della Film Commission Torino Piemonte – Piemonte Doc Film Fund e del Parco nazionale della Val Grande, ed è stato girato proprio all'interno della Val Grande. "Emanuele Caruso torna in Val Grande per farci riflettere sul destino del nostro Pianeta – ha dichiarato Massimo Bocci, Commissario straordinario Ente parco – e lo fa con un viaggio, con una sorta di compagnia dell'anello di tolkeniana memoria, attraverso la natura prorompente del nostro parco. Muoversi lentamente assaporando, passo dopo passo, il contatto con la natura: una natura che cura è dunque la ricetta, perché la nostra società recuperi quei valori e quelle attenzioni un po' dimenticate – fino a che il Covid non ce le ha brutalmente ricordate – che serviranno per lasciare ai nostri figli un mondo migliore".

Riprese a impatto zero

L'obiettivo del docufilm era quello di realizzare le riprese in modo non invasivo e discreto per essere in grado di seguire i protagonisti in un territorio remoto e impervio come la Val Grande.
Una valle abitata da pastori almeno dal XIII secolo e, dal XV secolo, anche da boscaioli, che con la fine della Seconda Guerra Mondiale, viene abbandonata mano a mano da taglialegna e alpigiani, tanto che il bosco riprende gradualmente il sopravvento. Nel giro di 50 anni, assume un aspetto così impervio e selvaggio che nel 1983 è stata individuata dall'Associazione Italiana per la Wilderness come una delle aree del settore più interessanti a livello internazionale.

"Sono centocinquanta chilometri quadrati di sola natura, racconta Caruso. Non ci sono case, non ci sono strade, pali della luce, non c'è nulla. Così, ci siamo avventurati per sette giorni a piedi in questo territorio e ci siamo chiesti sin da subito come potessimo riprendere senza rimanere a corto di energie. Alla fine, abbiamo optato per girare con due telefoni cellulari.
Eravamo solo due operatori, io e il direttore della fotografia. Il telefono era leggero, già di buona qualità anche se di cinque anni fa, ricaricabile con power bank a loro volta alimentati da piccoli
pannelli solari portati negli zaini", spiega Caruso. Il documentario è stato girato così in 4k con 2 iPhone di ultima generazione, uno stabilizzatore Gimbal e un Drone Mavic Pro 2: tutta
l'attrezzatura era contenuta in una piccola borsa del peso di 1,2 chili. La troupe disponeva anche di due piccoli microfoni portatili e di una serie di ottiche fisse per cellulare. Attraverso l'ausilio di power bank professionali, di peso inferiore ai 500 grammi, durante il viaggio è stato possibile ricaricare senza problemi tutti i dispositivi.

Il docufilm A riveder le stelle 

Ci piace ricordare che il docufilm A riveder le stelle è stato concepito come una vera e propria lettera al futuro dell'umanità per raccontare il desiderio di ritrovare il senso delle cose, l'equilibrio con la natura, il benessere perduto. La sfida, lanciata dal regista di Alba a un gruppo di sei viandanti d'eccezione, è stata quella di immaginare un mondo dove l'uomo non è riuscito a salvare il Pianeta e provare a rispondere, ognuno a suo modo, alla domanda che il nostro futuro ci impone: "Come abbiamo potuto permetterlo?".

Nel secondo luogo più piovoso d'Italia, al confine fra il Piemonte e la Svizzera, si sono "perse per ritrovarsi" sei persone molto diverse l'una dall'altra per formazione, gusti, età e scelte di vita. Tra questi, gli attori Maya Sansa (David di Donatello per Bella Addormentata di Bellocchio) e Giuseppe Cederna (Mediterraneo) e il medico epidemiologo Franco Berrino, luminare che opera nel campo della ricerca contro i tumori. 
Il gruppo ha trascorso insieme una settimana, percorrendo 36 chilometri con un dislivello di 5mila metri, a contatto con la natura selvaggia dei panorami montani della Val Grande (Vco). Luoghi incontaminati, in cui la società non ha messo le radici e dove le stelle, la sera, sono l'unica luce che l'occhio umano percepisce.

Chi è Emanuele Caruso

Nasce ad Alba (Cuneo) il 15 agosto 1985. Studia regia e produzione video all'Accademia Nazionale del Cinema di Bologna, dove consegue il diploma nel 2005. Lavora per
4 anni nell'Alba International Film Festival e nel 2012 fonda Obiettivo Cinema, società di produzione e distribuzione cinematografica. Nel 2014 esce E fu sera e fu mattina, primo film
prodotto e diretto da lui. Girato in 9 settimane fra Langhe e Roero in Piemonte con una troupe di 30 elementi e un budget di soli 70mila euro, il film diventa un piccolo caso nazionale staccando al botteghino, in completa auto-distribuzione 43 mila biglietti per quasi 300mila euro di incasso.
Vince il Premio Fice (Federazione Italiana Cinema D'Essai) come "Film indipendente dell'anno" e viene venduto in quattro Stati esteri. La Terra Buona, opera seconda prodotta e diretta da
Emanuele Caruso, ha avuto un budget di 205mila euro di cui 80 mila raccolti in crowdfunding in azionariato popolare sulla piattaforma Produzioni Dal Basso, che fanno, di questo secondo
film, il record italiano di raccolta fondi per un film per il cinema. 

"In questi decenni abbiamo sfruttato troppo questo Pianeta, abbiamo consumato troppo le sue risorse, abbiamo inquinato oltre ogni limite. Il nostro stile di vita, in qualche modo, farà sì che nei prossimi anni verrà a chiederci il conto, che lo vogliamo oppure no", conclude il regista.

 

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