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Umberto Eco e il Sacro Monte di Orta

Nel'ultimo romanzo "Numero zero" il grande scrittore propone una suggestiva interpretazione del complesso monumentale dedicato a san Francesco.

  • Enrico Massone
  • maggio 2015
Lunedì, 4 Maggio 2015
Umberto Eco e il Sacro Monte di Orta

Una descrizione breve e intensa, logicamente intessuta con la trama del romanzo. Un'interpretazione originale del luogo, che non manca di stimolare emozioni e suscitare il desiderio di saperne di più, di conoscere personalmente, di confrontare le parole scritte con una realtà che si presenta così affascinante e bella. Il romanzo è ambientato a Milano nella primavera del 1992 e coinvolge un gruppo di redattori, intenti a simulare la pubblicazione del nuovo giornale 'Domani'. Tra il dottor Colonna, "uomo di grande esperienza giornalistica" e Maia Fresia "ventotto anni, quasi laureata in Lettere" fiorisce una tenue relazione amorosa, non in città ma ad Orta, nella vecchia casa che la nonna lasciò a Maia. Quasi sul finire del racconto, poche pennellate creano un potente contrasto tra il mondo oscuro e buio della massa d'acqua in basso, e lo spettacolare arcobaleno di gesti, forme e colori che anima la teatralità del Sacro Monte sulla sommità della collina.

"Io al crepuscolo guardavo incupito il lago che s'incupiva. L'isola di San Giulio, così radiosa sotto il sole, sorgeva dalle acque come l'isola dei morti di Böcklin. Allora Maia ha deciso di darmi uno scrollone e portarmi a fare una passeggiata sul Sacro Monte. Non lo conoscevo, è una serie di cappelle che s'inerpicano su un colle, e vi si aprono mistici diorami di statue policrome formato naturale, angeli ridenti ma soprattutto scene della vita di san Francesco".

Nella visita di quel luogo insolito e coinvolgente, scaturiscono in Colonna i sintomi della sindrome di Stendhal. Le immagini di statue e affreschi rievocano le vicende storiche e le esperienze mistiche del poverello d'Assisi con chiarezza didascalica, mentre nell'animo stupito, estasiato e anche un po' turbato del giornalista, realtà e finzione si mescolano in modo imprevedibile e bizzarro. Come bolle che risalgono da un magna pastoso e opaco, i personaggi che popolano le cappelle del Sacro Monte si confondono con loschi figuri della cronaca recente, paure, ansie e reminiscenze del suo vissuto personale:

"Ahimè, in una madre che abbracciava una creatura dolente vedevo le vittime di qualche remoto attentato, in una riunione solenne con un papa, vari cardinali e cupi cappuccini, indovinavo un concilio della banca vaticana che programmava la mia cattura, né bastavano tutti quei colori e le atre pie terrecotte per farmi pensare al regno dei cieli: tutto sembrava allegoria, perfidamente mascherata, di forze infere che tramavano nell'ombra. Arrivavo a fantasticare che di notte quelle figure s'inscheletrissero (cosa che dopotutto il corpo rosa di un angelo se non un in tegumento mendace che nasconde uno scheletro, sia pure celeste?) e partecipassero alla danza macabra di San Bernardino alle Ossa" (Umberto Eco, Numero zero, ed. Bompiani, Milano , 2015, pag. 206).

 

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