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Quando l'acqua è alla gola

  • Claudia Bordese
  • giugno 2010
  • Domenica, 13 Giugno 2010

Gli eventi apocalittici hanno sempre affascinato il cinema, che su di essi ha costruito ricchi filoni che hanno gonfiato i botteghini. Terremoti, alluvioni, meteoriti, eruzioni vulcaniche, maremoti, tsunami. La fantasia degli sceneggiatori è sovente andata ben oltre la realtà naturale, anche se ultimamente i mutamenti climatici che stanno colpendo il nostro pianeta rendono drammaticamente reali alcune di quelle rappresentazioni virtuali. Probabilmente a causa dell'accresciuto riscaldamento registrato nell'atmosfera terrestre, molti eventi meteorologici hanno visto accrescere la loro intensità, causando repentini e violenti tifoni, uragani e nubifragi con conseguenti esondazioni e alluvioni. Non è certo necessario ricordare eventi recenti e purtroppo frequenti anche nel nostro Paese, che tanto hanno segnato popolazione e territorio. In conseguenza di esondazioni e alluvioni, ai danni umani e materiali vanno associati anche quelli conseguenti all'allagamento dei campi. La maggior parte delle piante necessita per vivere di respirare ossigeno atmosferico, esattamente come noi, e non è quindi in grado di sopravvivere sommersa dall'acqua. Alcune sono in grado di reagire, accelerando la crescita per riemergere almeno parzialmente a pelo dell'acqua e riuscire così a catturare sufficiente ossigeno da distribuire anche alle parti sommerse. Altre, tipico esempio è il riso, riescono a sopravvivere per lunghi periodi immerse grazie a una sorta di letargo che rallenta il metabolismo e il consumo di ossigeno, in attesa di emergere. Ma la maggior parte delle piante, se totalmente sommerse, subisce un rapido decadimento cellulare a cui segue la morte. Impreviste esondazioni e alluvioni portano così anche alla perdita di coltivazioni, pascoli e rare piante erbacee. L'équipe del professor Perata del Plant Lab della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa ha individuato il gene che permette a una pianta di tollerare il dramma di un'improvvisa alluvione. Si chiama HsfA2 ed è presente in tutte le piante, ma espresso in quantità non sufficienti a permettere di sopravvivere in condizioni di assenza di ossigeno. I ricercatori sono quindi intervenuti geneticamente su piantine di arabetta comune (Arabidopsis thaliana), la tipica cavia dei laboratori di fisiologia vegetale, nelle quali l'espressione del gene HsfA2 è stata aumentata di centinaia di volte. La pianta è stata così in grado di sopravvivere fino a due giorni in totale assenza di ossigeno senza riportare danni ai suoi apparati. Questa scoperta, pubblicata dall'autorevole rivista Plant Physiology, permetterà l'individuazione e la selezione di varietà di piante in cui il gene HsfA2 è maggiormente espresso, per permetterne la coltivazione anche in terreni argillosi e carenti di ossigeno, e forse anche garantire la sopravvivenza dopo allagamenti eccezionali.

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