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Gingko biloba, fossile vivente

Albero antico e resiliente, dallo splendido foliage autunnale, si racconta sia la prima pianta tornata a germogliare dopo l'esplosione nucleare di Hiroshima.

  • Caterina Gromis di Trana
  • Novembre 2023
  • Martedì, 7 Novembre 2023
Foglie e frutto di un esemplare femminile di Gingko Biloba - Foto Pixabay Foglie e frutto di un esemplare femminile di Gingko Biloba - Foto Pixabay

La foglia di quest'albero, dall'oriente
affidato al mio giardino,
segreto senso fa assaporare
così come al sapiente piace fare.

E' una sola cosa viva,
che in se stessa si è divisa?
O son due, che scelto hanno,
si conoscan come una?

In risposta a tal domanda,
trovai forse il giusto senso.
Non avverti nei miei canti
ch'io son uno e doppio insieme?

(J. W. von Goethe)

 

Generalità, forma delle foglie a doppio ventaglio unica, storia antichissima, gimnosperma sola rappresentante della sua famiglia, fossile vivente capace di vivere migliaia di anni, resistente a tutte le calamità compresa la bomba atomica. A Hiroshima dopo la bomba i primi germogli di vita nacquero sugli alberi di gingko bruciati, che sopravvissero a meno di un chilometro di distanza dall'epicentro dell'espolosione.

Il gingko è uno straordinario albero deciduo, appartenente alle conifere. Unico supersitite di un antico ordine rimasto pressochè immutato per 200 milioni di anni, fa da ponte tra il presente e i dinosauri dell'era mesozoica. Minacciato allo stato spontaneo, è ampiamente coltivato: giardini e templi buddisti confuciani e shintoisti vantano esemplari millenari.

 

Oggi ho abbracciato un Ginkgo biloba

posate le palme

sulla corteccia dalle mille strade

ho inteso il suo cuore di creatura preistorica

palpitare lentamente

... don don don sussurrava rintocchi lontani

di un'antica campana fuori tempo.

Tese le orecchie all'ascolto del suo essere

intento tutto il mio corpo

a farsi antenna ricettiva,

ho affondato le dita dei piedi

tra le radici millenarie e ho scoperto

che erano piedi di giganti, intatti,

con dentro ogni passo della storia,

tenuta in serbo dallo spirito dell'albero

per ricordarci da dove siam partiti.

Appese al ramo più vicino

delicate farfalle di capelvenere

-le foglie bilobate-

mi hanno parlato, ancora,

ed era una lingua di fruscii- ventaglio

che non sono stata in grado di captare...

Eppure, ho compreso, nell'ascolto,

tutto il mistero della vita,

d'un altro mondo figlia e per esso generata,

io, viva e vegeta,

circonfuso di materia vegetale ogni mio palpito

e respiro, ho avvertito la solidità del seme

e la sua possanza. Oggi

ho abbracciato un Ginkgo e ogni mio pensiero

s'è fatto foglia e ogni foglia

anima del mondo.

(Valentina Meloni)

 

Il gingko produce un frutto simile a una ciliegia, giallo bruno, che matura in autunno sugli esemplari femminili ed è noto per la sua polpa viscida e maleodorante.

Piantato per la prima volta in Europa nel 700 come pianta ornamentale, si è duffuso come specie adatta all'alberatura stradale. Per evitare il frutto e il suo cattivo odore venivano coltivati solo esemplari maschili, e se capitava che qualche volta venisse incluso anche qualche esemplare femminile erano immancabili le lamentele dei residenti.

 

Una ricetta particolare: embrioni del seme di gingko saltati in padella

Noriko Miahara ha ideato la "cucina italzen" in cui applica la filosofia del cibo del suo Paese agli ingredienti che offre l'Italia, dove vive. I suoi piatti sono raffinatezze delle cui ricette non è gelosa, così scopro che gli stuzzichini di cui faccio man bassa durante una uggiosa serata novembrina sono gli embrioni dei frutti del Gingko biloba saltati in padella: una sorprendente delizia. In Giappone sono considerati leccornie e laggiù non è strano prendersi la briga di raccogliere quei frutti maleodoranti che qui consideriamo un fastidio anche solo calpestare. Si ritiene che combattano gli effetti dell'alcool e vengono spesso serviti nei bar. Noi occidentali amiamo l'albero del gingko per il suo valore ornamentale, che raggiunge il culmine a novembre nel giallo sfolgorante delle foglie, ma le sue proprietà sono viste con il sospetto dedicato a quelle piante che hanno virtù curative al limite del tossico. Io accetto la sfida, così, mentre Noriko batte i parchi di Torino raccogliendo frutti dall'odore nauseante sotto gli occhi esterrefatti dei passanti, io individuo due piante a Sommariva Perno, nel cuore del Roero, e mi dò da fare prima che arrivino gli operatori ecologici del municipio a far piazza pulita dal mio bottino. Ne riempio un secchio, poi in giardino, in apnea e munita di guanti, ne elimino la polpa sotto l'acqua corrente. Porto alla luce i semi chiari da cui ogni cattivo odore svanisce dopo alcune ore di esposizione all'aria, poi con l'aiuto dello schiaccianoci raggiungo l'embrione da torrefare per il piacere mio e dei miei ospiti. Unico suggerimento dall'estremo oriente è di non mangiarne più di una ventina alla volta, perché contengono neurotossine che possono far male. Superata la dura fase di preparazione, il risultato è un successo.

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