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Biancospino, l'amico del cuore

Apprezzato per le sue proprietà benefiche sul cuore, fin dall’antichità era considerato l’albero di maggio

  • Loredana Matonti
  • maggio 2014
  • Martedì, 27 Maggio 2014
biancospino in fiore Loredana Matonti biancospino in fiore Loredana Matonti

Con i suoi fiori bianchi e profumati, ben protetti dai rami spinosi, il biancospino sembra simboleggiare un centro vitale e prezioso, un cuore delicato che si protegge dal contatto potenzialmente traumatizzante con l’esterno. Per questo la tradizione popolare lo indica come rimedio dei disturbi del cuore, sia in senso fisico che emotivo. Il nome scientifico del genere “Crataegus” deriva dal greco “kràtaigos” = forza e robustezza. Crataegus o crataegon o crategone, era anche il nome con cui i latini chiamavano il cuore, il cratere da cui esce il sangue per espandersi in tutto il corpo; ma anche il recipiente in cui mescolare il vino e l’acqua, configurabile con il flusso arterioso e venoso. Tutto ciò, secondo la teoria tradizionale della Signatura, che correlava l’aspetto alla funzione, era indice della proprietà principale di questa pianta, decisamente benefica per il cuore e per la circolazione. E’ curioso che anche nell’antica medicina cinese per esempio, tale pianta sia considerata quella della “pienezza del cuore e dell’intestino tenue”, indicata per calmare gli eccessi di fuoco-calore che iniziano nella “loggia del legno” (fegato, cistifellea) e colpiscono il cuore. E’ il messaggero della stagione calda, dell’estate, dei mesi in cui si iniziano a raccogliere i primi frutti di ciò che è stato seminato. Veniva associato ai riti di primavera, alla fertilità, al matrimonio, o più semplicemente all’amore puro che sboccia nell’unione degli opposti che si ravvedevano nell’albero stesso, ove si intrecciano armoniosamente e simbolicamente mascolinità e femminilità, rappresentate dalle spine e dalla delicatezza inebriante dei fiori.

Appartenente alla famiglia delle Rosacee, il biancospino è un arbusto o un piccolo albero dal legno durissimo, imponente non per le dimensioni ma per l’aspetto, dalla chioma fitta e intricata, con rami tortuosi, provvisti di spine lunghe e resistenti, con foglie di color verde brillante, fiori di colore bianco candido con sfumature rosa e frutti rossi, simili a minuscole mele, dal sapore dolciastro. In erboristeria si utilizzano le foglie, le sommità fiorite e i giovani getti. In Piemonte vegetano due specie, Crataegus monogyna, originario di Europa e Asia occidentale, piuttosto comune in tutta Italia e frequentissima in Piemonte e C. laevigata (Crataegus oxyacantha L.), molto meno diffusa nella nostra Regione. La prima la troviamo nei boschi xerofili, nelle siepi e nei cespuglietti, dalla pianura sino a circa 1600 m s.l.m., mentre la seconda si incontra molto più raramente, in genere in boschi di latifoglie (soprattutto querceti), fino a 1200 m circa s.l.m e si distingue da C. monogyna per la dentellatura regolare dei margini della foglia e perché nel fiore ha 2 stili anziché uno. Insolitamente longevo per essere un arbusto, supera la sfida del tempo; può vivere fino a 500 anni superando i 5 metri di altezza.

Un pò di storia

I semi dei suoi frutti sono stati rinvenuti presso siti archeologici risalenti al Neolitico; questo fa ritenere che fossero consumati come alimento. È sempre stato abbondantemente usato e, nel Medioevo, periodo in cui i cereali spesso scarseggiavano, dai frutti essiccati e macinati si otteneva una farina per la panificazione. Il legno, di colore rossastro, molto duro e compatto, veniva usato per attrezzature che dovevano essere sottoposte a grandi sforzi, per lavori al tornio e per la produzione di ottima carbonella. Nelle nostre valli era usato per fare il battente del coreggiato per battere le spighe), per le trottole, per il rastrello del fieno. Il biancospino trova posto in diversi miti e leggende antiche. Nella saga di Gilgamesh l’eroe sumero, re di Uruk, trova questa pianta sul fondo del mare e la coglie per avere l’eterna giovinezza, ovvero la perpetua efficienza del corpo. I Sumeri la consideravano una pianta dell’immortalità dell’anima, raggiunta attraverso l’entrata nel profondo del proprio l’inconscio, luogo dove immergersi per estrarre la propria forza e ritornare alla luce. In Egitto era conosciuta col nome di sirpati e se ne usavano i giovani getti, mentre per i latini era la pianta dedicata a Carna, ninfa amata da Giano, che con un ramo della pianta allontanava gli spiriti maligni. Nella nostra cultura era considerato l’albero di maggio: i romani lo dedicarono a Maia, dea di tale mese e della castità; perciò in tale periodo si sconsigliavano le nozze e, se proprio non si poteva fare diversamente, si accendevano cinque torce di biancospino fiorito per placare la dea. Sempre nell'antica Roma la pianta era dedicata anche alla dea Flora, che regnava sulla primavera trionfante. Accanto al simbolismo ascetico ve n'è un'altro a carattere più amoroso. I Greci per esempio, adornavano gli altari con i suoi rami fioriti proprio durante le cerimonie nuziali. I Celti lo ritenevano immune dai fulmini e in grado di proteggere dalle tempeste; era la dimora preferita delle fate e generalmente associato ai riti di fertilità della festa celtica di Beltane, i primi giorni di maggio e nel calendario indicava proprio tale mese. Arbusto dalle caratteristiche ambivalenti, come tutti quelli sacri alla Dea, era associato a forze elementari e caotiche generate dall’elemento femminile e pertanto solamente i druidi, profondi conoscitori delle sinergie cosmiche, potevano padroneggiarne la potenza. Sulla tradizione pagana si innestò quella cristiana, dedicando il biancospino alla Vergine: i fiori bianchi a simboleggiare la purezza, gli stami rossi, il sangue di Gesù, sul cui capo venne posta una corona di rametti. Secondo una leggenda del ciclo bretone, tra le sue fronde dorme Mago Merlino, trasformato in questa pianta da Viviana, dopo che ella gli ebbe carpito tutti i segreti nella foresta fatata di Brocelande.

Proprietà ed utilizzi tradizionali

La corteccia è febbrifuga e le foglie sono astringenti e antidiarroiche. I fiori costituiscono la parte più importante nell’uso terapeutico. Godono di proprietà cardiotoniche e antispasmodiche, ipotensivi e blandamente ipnotici. Essi contengono flavonoidi, bioflavonoidi e flavoglicosidi che volgono un’azione simile alla digitossina, principio attivo estratto dalle foglie di Digitalis purpurea. Il biancospino infatti è anche chiamato la "valeriana" del cuore, in quanto è un ottimo tonico stimolante cardiaco, provoca una vasodilatazione dei vasi dei vasi coronarici e anche di quelli cerebrali, con aumento del flusso sanguigno in tali zone. Regolarizza il ritmo del cuore ottenendo contemporaneamente una diminuzione dell’eccitabilità del sistema nervoso ed esercitando un’azione equilibratrice sulla pressione del sangue. È particolarmente utile quindi, nelle nevrosi cardiache, nelle angine, negli stati di ipereccitabilità con aritmie e nell’ipertensione arteriosa, arteriosclerosi, insonnia, nella prevenzione degli attacchi di panico. Può far riflettere la corrispondenza con la visione antica, secondo il quale il motivo di questi disturbi è una riduzione parziale o totale del flusso sanguigno diretto ad alimentare e nutrire il cuore, provocata da un conflitto che “ostruisce” il fluire delle emozioni, poiché si riteneva che il cuore, per mantenersi in perfetta efficienza, dovesse comportarsi come una condotta d’acqua, pervia da ogni ostacolo. Il che poteva essere raggiunto non sbarrando la porta al sentimento, ma imparando a vivere intensamente le esperienze di ogni giorno, per poi distaccarsene completamente.

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