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Il Piemonte che conserva antichi frutti

Frutti deliziosi, nutrienti, sani e alla portata di tutti i giardini: protagonisti di profumi, gusti, colori, forme, storie di uomini e varietà provenienti dai quattro punti cardinali. Vi proponiamo il racconto dei racconti, con il gusto di una filastrocca, perchè questa è la caratteristica dei frutti di una volta.

  • Laura Succi
  • Gennaio 2020
  • Martedì, 14 Gennaio 2020
Museo della Frutta "Francesco Garnier Valletti", Città di Torino  - Foto Archivio Museo Museo della Frutta "Francesco Garnier Valletti", Città di Torino - Foto Archivio Museo

Sulle vie dei pellegrini e pure dei mercanti sono arrivate varietà di frutta da tutt'Europa e anche oltre; il Piemonte è sempre stato una zona di passaggio, e con quell'andirivieni di genti sono arrivate nei secoli piante da frutto che hanno trovato qui l'angolino adatto in cui affondare le radici. "Traccia di questi viaggi è registrata ancora oggi nei nomi di alcune varietà di frutti" racconta Lorenzo Grasso, ricercatore della Scuola Malva Arnaldi "Non è difficile immaginare che le mele della varietà Calville, coltivata nei più importanti pomari della Parigi del Cinquecento, e Grenoble, siano in qualche modo arrivate in Piemonte dalla Francia. I Ramassin, i damaschini, diffusi quasi esclusivamente in Piemonte, furono portati da Damasco".

Nei nomi di questi frutti c'è l'indicazione della loro provenienza ma anche la traccia indelebile della vita di tutti i giorni di un mondo che fu, ci sono gli animali, i santi, i Re, le genti, i caratteri, i mestieri, i fenomeni atmosferici: Ca bianca, Pasarot (passerotto in piemontese), Caporal, Terra promessa, Ross bursëtta, Busiard (bugiardo), Fagnan (fagnano), Savoia, Maisina (medicina in dialetto piemontese), Muso da porchèt (maialino), Babi (rospo), Magna (zia), Ebrei (Pom d'j Ebrej), San Giovanni (Pom ëd San Gioan), Pustin (postino). Ci sono anche mele che suonano se scosse, il Ciochin, la Ciocarin-a del Monferrato e delle basse terre del Po, e la Sonaja del biellese.

Tutte queste piante si sono trovate talmente bene che nel tempo sono diventate di tradizione: di Barge e Saluzzo il Fico dall'osso, del cuneese la pera da cottura Martin sec, del Monferrato casalese le mele canditin-a, Ruscai-o e il Pom marcon, e così si potrebbe continuare a lungo.

Quanto alla varietà il confronto coi numeri è inesorabile: mentre sulle rastrelliere di qualsiasi supermercato sotto casa la scelta è obbligata a cinque o sei varietà industriali, le gala, le golden, magari le Fuji, o le più asprigne Granny Smith e renette, nei vivai dell'Ottocento erano a disposizione circa mille varietà di mele solo tra quelle piemontesi. Poi c'erano almeno altrettante varietà di altri frutti.

Polpe fondenti, burrose, croccanti, granulose, succulente, liquescenti, zuccherine o asprigne: mele all'aroma di finocchio o delicatamente profumate di muschio, sapori che ricordano la banana o la vaniglia, al profumo di rosa, sapori vinosi, dal retrogusto speziato o di lampone o di limone o di fragolina di bosco, dal vago sentore di melone, di cannella o di carruba, succhi all'aroma di moscato, tutte profumatissime. Albicocche fragranti di pesca, prugne asciugate al sole dal sapore di passito. Bucce rosso-ambra, rosa fucsia tendenti al ciclamino, rosso sangue, verde intenso con sfumature rosa. Il pum banana, ha appunto un retrogusto di banana e la mela Giansàn (Genziana in piemontese) una leggera punta di amaro, che ricorda la genziana. Una momentanea perdita di sensi affondarci i denti.

Un ben di Dio di cui ci si è disfatti attorno agli anni '50 del Novecento quando le nuove industrie della frutticoltura invitavano i contadini a sradicare le piante tradizionali promettendo loro meno lavoro e più reddito. Grasso spiega che "Era urgente salvare quante più varietà possibili da questa soppressione di massa; spesso è accaduto che i contadini non si rendessero conto di estirpare l'ultimo tipo di una varietà che fino a pochi anni prima cresceva in tutti i fondi della zona. Così si sono perse le piante insieme alle loro informazioni genetiche di resistenza alle malattie,di tolleranza alla siccità o al gelo, di minuta adattabilità ai terreni dove erano nate e cresciute durante i secoli".

Resistenti alle malattie e in grado di cavarsela da sole senza trattamenti chimici. Pure curative: una mela al giorno toglie il medico di torno, sì, ma bisogna capire di quale mela stiamo parlando. Dice ancora Grasso: "Queste vecchie varietà hanno anche delle caratteristiche nutritive e farmaceutiche importanti per i contenuti di vitamina C e polifenoli. Abbiamoanalizzato un campione di 7-8 varietà: paragonate a quelle commerciali le vecchie mele sono sempre più ricche di queste sostanze, in alcuni casi fino a otto volte più ricche".

La Regione Piemonte saggiamente si è dotata di un proprio conservatorio della biodiversità frutticola piemontese: la Scuola Malva Arnaldi di Bibiana in provincia di Torino. "Una residenza che custodisce più di 450 varietà di melo, 80 di pero, 80 vitigni e 100 varietà di susino, albicocco e pesco piantati sui suoi oltre dieci ettari di terreni, a cui si aggiunta di recente una collezione di noccioli" spiega Grasso. "Tutto è iniziato vent'anni fa con un progetto Interreg a regia pubblica proseguito negli anni, grazie anche a finanziamenti specifici, come quello della Regione Piemonte che con la misura 10.2 del PSR ha finanziato nell'ultimo biennio il progetto "RGMELOPERO - Conservazione, recupero e caratterizzazione delle risorse vegetali locali di melo e pero del Piemonte".

"Poi una quindicina di anni fa l'ideatore di Slow Food, Carlin Petrini, lanciò una sfida: 'questa è sempre stata una zona da sidro, perché non ripartire dalle mele antiche per recuperare una bevanda un tempo importante per l'economia locale?'. E così facemmo. Nel 2002, proprio qui nelle stanze della scuola, è nata l'Associazione dei produttori delle Antiche Mele Piemontesi che riunisce oggi una ventina di frutticoltori con una produzione di alcune migliaia di quintali l'anno. Oggi l'associazione lo produce e lo vende in molte varianti: sidro frizzante, secco e dolce, oppure fermentato in bottiglia come un brioso spumante".

Conservatori illustrati delle antiche varietà di frutti, dai quali abbiamo certezza dell'abbondanza delle antiche varietà, sono opere poderose come la Pomona italiana del Gallesio, punto di riferimento a livello europeo, che contiene stupende tavole dipinte con tutti i fruttiferi di mele, pesche e albicocche e frutti dell'Ottocento, e i cataloghi generali dello stabilimento vivaistico Burdin Maggiore & C., appartato nel boscoso quartiere di San Salvario a Torino, dal quale i fratelli Burdin inviavano piante 'd'ogni maniera' in giro per il mondo.

Altro conservatorio, e grande fonte di sapere, è la collezione di frutti artificiali plastici in tre dimensioni realizzati da Francesco Garnier Valletti nella seconda metà dell'Ottocento, più di 1000 pezzi, oltre al patrimonio storico scientifico della fu Regia Stazione di Chimica Agraria, costituiscono il museo omonimo di Via Pietro Giuria 15 a Torino.

All'associazione Frutteto di Vezzolano di Albugnano, nata in amicizia con l'architetto Leonardo Mosso e con lo scrittore Carlo Fruttero, la Soprintendenza ai Beni Architettonici ed Ambientali del Piemonte affidò nel 1996 il terreno retrostante alla canonica per ricreare un pomario simile a quello di cui conservano traccia gli antichi disegni. Mario Casalegno, presidente dell'associazione, spiega che "Il nostro frutteto è un conservatorio diffuso, si chiama per l'appunto Museo diffuso, perché non è limitato alle mura della canonica e ai terreni dell'Azienda sperimentale dell'Accademia di Agricoltura, ma include anche presenze fruttifere a carattere domestico, proprietà di privati, sparpagliate sul territorio collinare. Il Museo è in espansione e proprio tutti sono invitati ad aderire".

"L'aspirazione è di avvicinare le persone alla coltivazione e a un uso diversi della frutta: non si possono utilizzare prodotti chimici di sintesi nel giardino di casa perché non si possono mettere in pericolo i figli, i nipoti e gli animali che vivono quel giardino e i meli antichi sono robusti e non hanno bisogno di trattamenti chimici; perdipiù danno mele sane che si possono mangiare con la buccia: il piacere di un sapore tutto nuovo e squisito". Quindi prima di comprare un melo bisogna accertarsi che sia quello giusto.

Davvero strabilianti queste meravigliose mele: matte! A dire il vero la "mela matta" per eccellenza è il Pom matan, matan in piemontese significa proprio matta, senza la quale non esisterebbero i deliziosi agnolotti tradizionali di San Sebastiano da Po. Sarà anche pazza questa mela delle colline del Po, presidio Slow Food, ma una volta preparata crea una meraviglia del creato: una purea di pezzetti di mela cotti con un po' di burro, noce moscata, un trito di salsiccia oppure uova cavolo e pane raffermo, un pizzico di sale, avvolti da una sottile pasta, il tutto condito con sugo di pomodori insaporito ai gusti dell'orto; una tale prelibatezza la si può trovare solamente alla fiera paesana di settembre o nei mercati locali in stagione.

Queste sono le mele antiche: redditizie per chi le produce, sane, buone e curative per chi le mangia.

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