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Il camoscio nero (e lo stambecco bianco)

  • Andrea Deraglio
  • giugno 2012
  • Martedì, 12 Giugno 2012

A vederlo sembra solo un cucciolo inerme, eppure è un'autentica rarità.
È nato lo scorso maggio in Valle d'Aosta, nel Parc Animalier d'Introd. Il primo ad accorgersi di essere di fronte a una vera rarità, a un "caso" per la comunità scientifica, è stato il veterinario che assiste gli animali del parco, Alessandro Mosca: «Di camosci bianchi qui in Valle d'Aosta ne abbiamo già visti, ma neri, no. Questo è il primo in assoluto. Rispetto a tutti gli altri camosci, questo non ha le caratteristiche aree bianche sotto la gola, sul ventre e sullo specchio anale. Di bianco gli è rimasto solo la lista frontale e due puntini nella comminsura labiale». Il professore Luca Rossi della Facoltà di Medicina Veterinaria dell'Università di Torino, specializzato nello studio di malattie della fauna selvatica di montagna, spiega il senso di questa colorazione particolare: «Il fenomeno del melanismo si osserva in molte specie animali ed è stato particolarmente studiato nei felini. A volte costituisce un vantaggio e viene quindi premiato dalla selezione naturale. Il caso più famoso è quello della pantera nera che altro non è che leopardo melanico ben adattato ad ambienti di foresta. Altre volte, come nel caso del daino, è stato favorito dall'uomo con la selezione operata su soggetti in cattività in base a criteri estetici. Altre volte ancora il melanismo non costituisce né un vantaggio né uno svantaggio, ma solo un "capriccio" della natura, come ad esempio nel lupo e nella tigre. Nei ruminanti di montagna il melanismo è decisamente raro e, in Italia, di camosci melanici non ne erano mai stati segnalati». L'origine di questa particolare colorazione del mantello è genetica. Il caso ha voluto che due camosci con mantello normale ma entrambi portatori di un gene raro si incontrassero proprio in Valle d'Aosta. Già, il caso. Per una curiosa coincidenza, sullo stesso versante della Valle, a pochi chilometri di distanza, un'altra rarità genetica aveva fatto la sua comparsa nell'estate del 2006. Quella volta si trattava di un primato mondiale, "un pezzo unico al mondo". Il Bianco: primo e unico caso di stambecco albino (di cui Piemonte Parchi ha già scritto con Caterina Gromis da Trana ne Il bianco stambecco dell'Emiluis nel numero 178). Avvistato per la prima volta nel selvaggio vallone di Les Laures, ribattezzato Blanzet da Mauro Buvet, abitante di Brissogne che ne ha seguito le tracce, per via del Monte Blanzet, nel massiccio dell'Emilius. In realtà solo parzialmente albino: infatti gli occhi scuri lo hanno salvato da una morte praticamente certa che spetta a chi si deve muovere sulla neve e sulle rocce, in presenza delle rifrazioni del sole di alta montagna. Chi scrive si è imbattuto nella storia dello stambecco bianco durante la realizzazione di un documentario ambientato in quelle che forse si possono definire fra le ultime montagne incontaminate della Valle d'Aosta. Il Bianco infatti vive e si muove lungo crinali praticamente inaccessibili all'uomo. Attraversa le linee immaginarie dei confini delle aree marcate dall'uomo, alle volte creando perfino un po' di imbarazzo. Monitorato dall'attività della Direzione Flora e Fauna, Caccia e Pesca e dal Corpo Forestale delle Valle d'Aosta, si diverte a far perdere le sue tracce per lunghi periodi. «Sarà vivo? E dove sarà? E come starà?», si chiedono preoccupati gli abitanti dei paesi e tutti quelli che si sono interessati alle sue sorti. «Ora è da noi», dicono orgogliosi nella Valle di Cogne, quasi sentendosi rinfrancati per la presenza dell'animale, pur sapendo che domani potrebbe spostarsi in un qualsiasi altro posto. L'ultima fotografia del Bianco, scattata domenica 11 marzo da Fabrizio Truc, ispettore del Corpo Forestale della Valle d'Aosta, proprio nella Valle di Cogne, ci mostra un animale che pare del tutto in forze e in ottima salute. «Lo sviluppo del palco è davvero molto buono, simile agli altri animali della sua età. Nel 2010-11 il suo palco era cresciuto di tre anelli ornamentali, fra il 2011 e il 2012 di due», dice Fabrizio Truc. Tutta un'altra aria, rispetto alle immagini che l'avevano visto protagonista, suo malgrado, sulle pagine dei giornali nell'estate 2007, quando la notizia della comparsa dello stambecco bianco in Valle d'Aosta era stata riportata anche dai quotidiani nazionali e la sua fotografia aveva fatto il giro di numerosi siti web. E ovviamente allora erano circolate un sacco di dicerie, di chiacchiere. Ad esempio si diceva che aveva gli occhi azzurri. Che era più debole degli altri stambecchi. Che non era accettato dal branco. E poi erano state rispolverate antiche leggende sulle maledizione che colpisce chi uccide gli animali "bianchi". Si parlava di tradizioni antiche al limite fra magia e medicina sull'utilizzo degli organi interni dello stambecco e si richiamavano alla memoria anche irriverenti apparizioni cinematografiche (il famoso stambecco bianco di Tutta colpa del Paradiso di Francesco Nuti). Il Bianco è sopravvissuto oramai a lunghi e difficili inverni, contro i tanti pronostici sfavorevoli. E non è una cosa da poco, perché per gli stambecchi questi sono anni di strane malattie e di numerose morti "inspiegabili", soprattutto durante i mesi più freddi quando il gioco per la sopravvivenza in alta montagna si fa duro, durissimo. Qualcuno imputa queste morti alla debolezza genetica insita nella particolare storia di questo animale sull'orlo dell'estinzione a metà Ottocento e poi riprodottosi a partire da un unico ceppo genetico, e quindi fragile per natura. Al Nero tocca invece un destino completamente diverso. Nasce in cattività, all'interno di un parco. Sorvegliato speciale, tutti sanno sempre dov'è e cosa sta facendo. Coccolato dalla comunità scientifica, potrà usufruire di tutte le cure e i controlli necessari a garantirgli una lunga e sana esistenza. Ma a tutti i camosci della Valle d'Aosta è toccato in effetti un destino in apparenza più sereno. «A differenza degli stambecchi, sono più distribuiti sul territorio vocato e tutta la specie gode di un ottimo stato di salute generale», dice Alessandro Mosca. E per noi che siamo abituati fin dalla tenera età in cui ascoltiamo le storie sugli animali a identificarci e a trasferire loro i nostri desideri e le nostre paure, non è difficile fare del Bianco un simbolo di libertà vera che comporta l'assenza di ogni tipo di facilitazione e di controllo, e del Nero quello di una vita fatta di sicurezza e comodità, il più possibile al riparo dai pericoli della Natura.

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