Stampa questa pagina

Il gracchio, proiettile dei ghiacciai

Sgraziato, schiamazzante, un po’ cialtrone: l’allegro verso di questo uccello rende più domestico il silenzio dell’alta montagna
  • Caterina Gromis
  • dicembre 2012
  • Venerdì, 3 Dicembre 2010
Per chi fa di ogni erba un fascio quando parla di corvi, in quel calderone ci mette gracchi, cornacchie, taccole e corvi imperiali. E invece no: sono tutti un po’ sgraziati e più o meno schiamazzanti, ma ce n’è uno speciale, abitante dell’altitudine, capace di ridimensionare i silenzi dell’alta montagna con un verso che rende più domestico persino il ghiacciaio. In quel santuario al di sopra della vita, che chiede ogni tanto lo scotto di un’anima a chi lo sfida, il volo del gracchio che si getta a valle piroettando come per gioco è un guizzo di allegria che incoraggia chi arrampica e fatica. Gli alpinisti sedotti dalle altitudini inospitali lo riconoscono complice: il gracchio è l’ultimo vivente un po’ cialtrone che si avventura lassù. Gli altri animali delle vette sono piccoli, mimetici, silenziosi, fin troppo adattati alle condizioni estreme; sembra si scusino di disturbare, in quei luoghi che paiono durare in eterno. Il gracchio no, lui chiacchiera, curioso e intelligente come tutti i corvidi, e fa tesoro delle novità che la civiltà gli offre: bivacchi e rifugi sono luoghi interessanti, dove trovare prelibatezze indicibili nei resti di semplici pasti consumati dai viandanti. Alle stazioni di seggiovie e funivie che sputano turisti gli è facile inscenare un teatrino da animale semi-domestico, ed estorcere qualche pezzo di pane a quelli che amano guardarsi un po’ intorno prima di scaraventarsi nell’imbuto della pista di sci. Si fa notare, il nostro gracchio alpino (Pyrrhocorax graculus): la livrea nera smagliante, il becco giallo, l’occhio vigile, il saltellare curioso come se fosse sulle spine, i voli in gruppi petulanti. Ancora più elegante è il suo primo cugino, il gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax), più raro, dotato di un bel becco rosso lucente. Le due specie hanno anche altri caratteri distintivi: il gracchio corallino ha la coda più corta, è un po’ più grosso del compare e in volo tiene le remiganti primarie ben aperte verso l’esterno, come se volesse dar sfoggio di eleganza. I gracchi sono animali sedentari, che d’inverno formano grandi stormi erratici: fanno comunella, tutti per uno nelle avversità, muovendosi verso valle come un enorme sciame rumoreggiante. Nella bella stagione i nidi sono posti tra gli anfratti e gli inghiottitoi delle rocce, talmente poco accessibili che i gracchi della conca del Breuil, abili nel volo veleggiato, ci mettono anche un quarto d’ora a raggiungerli dai pascoli di alimentazione, sfruttando le correnti ascensionali a ridosso delle pareti rocciose delle Grandes Murailles. Per tornare ai prati circostanti bastano tre minuti, spesi in spettacolari tuffi ad ali chiuse, come proiettili viventi. I corvidi sono capaci di sorprendenti manifestazioni di psichismo: tra i pochi nel mondo animale in grado di usare strumenti, lo fanno con azioni non stereotipate ma finalizzate alla soluzione di problemi di volta in volta diversi. Nelle aree più frequentate dai turisti i gracchi danno prova di saper far tesoro dell’“urbanizzazione” della montagna, imparando rapidamente ad avvicinarsi all’uomo per ricevere cibo. Tutto resta nei limiti: ai tempi della cova smettono di frequentare i luoghi abitati, non per snobismo ma probabilmente perché l’apporto energetico-nutritivo offerto dal turista, per lo più mollica di pane, non è sufficiente a garantire un regolare allevamento della prole. Allora i gracchi si danno da fare come madre natura ha insegnato, cacciando insetti: coleotteri e cavallette sono proteine, ideali per i giovani da allevare. In inverno gli insetti spariscono, la dieta cambia e i gracchi si adattano a diventare vegetariani, prediligendo le bacche di ginepro, senza disdegnare qualche ghiottoneria quali resti e interiora di ungulati abbattuti durante la stagione di caccia. Quando nascondono il cibo nelle crepe e nelle fessure delle rocce, non più gregari ma individualisti, il loro comportamento ha un altro significato adattativo: è lungimiranza, messa in atto in vista di gravi avversità atmosferiche, prevedibili nei lunghi inverni di montagna. In un bel libro dedicato alla conoscenza dei comportamenti animali (Guida allo studio degli animali in natura, Bollati Boringhieri, 2004) Sandro Lovari e Antonio Rolando raccontano come sia possibile ottenere grandi risultati con tecniche di indagine sempre più sofisticate, dalla telemetria alla fotografia digitale alla bioacustica alla modellistica. I gracchi sono tra gli animali prescelti nei campi di studio degli autori. Affascinanti uccelli pieni di risorse, per cercare insetti possono smuovere sassi e sterco di vacca, o camminare appaiati per ottimizzare lo spazio tra un individuo e l’altro e rendere più efficace la ricerca del cibo. Li hanno visti scavare, conficcando più volte il becco nel terreno, a caccia di invertebrati, o librati a mezz’aria, immobili, intenti a catturare le cavallette al volo. Hanno applicato un metodo di campionamento detto “primo attore” (focal animal), secondo il quale un individuo particolare riceve la priorità di osservazione all’interno del gruppo di cui fa parte. Registrandone le azioni e le interazioni, si ottengono informazioni su tutto il gruppo. Questo metodo applicato ai corvidi ha permesso di chiarire come le attività trofiche siano condizionate dal contesto sociale in cui si svolgono. Gracchi alpini e gracchi corallini convivono pacificamente sulle Alpi. L’analisi dei loro escrementi ha saputo spiegare il perché di questa mancanza di rivalità: hanno diete differenziate che non si sovrappongono. Osservando i grandi gruppi misti che formano le due specie e il nervosismo che serpeggia quando un individuo prende il volo per un nonnulla, seguito a ruota da tutto lo stormo, pare che perdano un mucchio di tempo a rincorrere ansie inutili. In tal modo si nutrono disordinatamente e male, ma in termini adattativi lo stress è compensato dai vantaggi antipredatori che il gruppo garantisce. L’aquila reale e il falco pellegrino non lasciano scampo a un individuo isolato, ma dal gruppo petulante stanno alla larga. E che dire del canto? Non è un granché quello dei gracchi per l’orecchio umano desideroso di usignoli e capinere, però anche la voce dei gracchi ha un senso e merita la sua bella analisi spettrografica, utile per studi di ecologia, etologia e zoogeografia. L’esame della variabilità dei canti negli areali delle varie specie permette di spiegare i meccanismi che controllano l’evoluzione spazio-temporale della comunicazione sonora. Apposite missioni di campo sono state organizzate per registrare i canti del gracchio alpino e del gracchio corallino in varie regioni europee, in Marocco, Etiopia, Kirghistan (Asia centrale) e alle isole Canarie. Le caratteristiche del repertorio sono influenzate dalla frammentazione geografica dell’habitat e dal grado di isolamento di alcune popolazioni: anche tra i gracchi si parla il dialetto, come si conviene a veri montanari fieri della propria identità. Per saperne di più · Antonio Rolando, I corvidi italiani: sistematica, faunistica, eco-etologia, problemi di conservazione e controllo, Edagricole 1995 · Sandro Lovari e Antonio Rolando, Guida allo studio degli animali in natura, Bollati Boringhieri 2004

Potrebbe interessarti anche...

Questo parente del fagiano, dal comportamento gregario e dalla silhouette rotondeggiante, si è d ...
Pochi animali godono di fama peggiore nell'immaginario collettivo. I serpenti sono stati di volta ...
Fortemente sensibili all'innalzamento delle temperature, al prolungarsi dei periodi di siccità e ...
Mentre nella maggior parte d'Italia iniziavano i preparativi per il cenone di San Silvestro, a Ve ...