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Se la martora torna in libertà

Era stata ritrovata riversa a terra, appena nata. Dopo sei mesi di cure è stata rilasciata nel bosco di Staffarda, nel parco del Po Cuneese. Davanti agli occhi sgranati dei bambini.

Le coperte che isolano l'animale dal mondo esterno vengono sollevate lentamente. La paglia dentro la gabbietta si illumina a metà, come per dare una dolce sveglia al mustelide. Il messaggio è chiaro: i sei mesi di degenza sono giunti ormai al termine. La protagonista della tenera storia è un esemplare adulto di martora femmina. «Un animale in via di estinzione», spiega il presidente del parco del Po Cuneese, Silvano Dovetta. Protetto dalla "Direttiva habitat" 43 del 1992 dell'Unione Europea e dalla legge 157 del 1992 per la normativa italiana, l'animale se ne va con uno sguardo a metà tra il curioso e lo spaventato, tra il riconoscente e il sorpreso. "Posso andare? Siamo sicuri?", sembra che dica simpaticamente volgendo gli occhi verso chi l'ha aiutato. La gabbia è aperta davanti a due classi di bambini delle scuole elementari, tutti lì pronti a registrare e scolpire nella memoria una tra le più belle sensazioni della vita: la libertà. Il mustelide non è però ancora convinto. Resta immobile, mentre gli occhi da che erano fissi su chi l'ha accolto scivolano su quel bosco dagli odori inconfondibili. Si acquatta un attimo, come se si volesse prendere il suo tempo, quasi consapevole che da lì a poco sarà libero. Annusa l'erba umida e la terra bagnata fino a che, semplicemente, se ne va. Dileguata nel bosco di Staffarda, oasi protetta dal parco del Po Cuneese e dalla Provincia di Cuneo. Da ora in poi sarà il suo istinto, la sua paura a salvarla dagli altri – uomini, animali selvatici e domestici. Sarà lei a doversi procurare il cibo cacciando e pensare a mantenere in vita la sua specie, riproducendosi. La Martes martes è stata trovata lo scorso maggio in strada nella frazione di Murazzo, a Fossano. Le primissime cure le ha ricevute da una donna che l'ha ritrovata riversa a terra, nata da poco e con gli occhi ancora chiusi. I piccoli della martora – animale lungo quasi un metro in età adulta con una lunga coda che serve a bilanciare il movimento, caratteristiche che lo rendono adatto alla vita sugli alberi - nascono ciechi e sono allattati per circa otto settimane, rendendosi indipendenti al terzo mese. Il mustelide, inserito nella lista rossa delle specie a rischio di estinzione, è un animale carnivoro, a cui però non dispiace cibarsi di bacche e frutti disponibili nel territorio in cui vive. Di solito, l'area in cui scorrazza da un cespuglio ad un altro, saltando su e giù dagli alberi, per una femmina di martora ha un raggio di circa 6-7 chilometri quadrati. Quanto più il bosco è vergine e selvaggio, tanto meglio è per lei che non deve avvicinarsi nelle prossimità delle fattorie, dove si dirige per far la posta ai colombi e alle galline come fa di solito nei grandi periodi di carestia. «Probabilmente la mamma ha perso il piccolo in uno spostamento veloce, forse perché spaventata da qualcosa», ipotizza il 75enne Luciano Remigio, direttore e fondatore del Centro recupero animali selvatici di Bernezzo. Dopo le primissime attenzioni della donna, Remigio e i volontari del centro si sono presi cura dell'animale: prima due mesi di incubatrice per permetterle di crescere e diventare forte, poi in gabbia da luglio fino a giovedì 15 novembre, data della sua liberazione nei boschi vicino l'abbazia di Staffarda. La gabbia in cui ha vissuto per quattro mesi era parzialmente oscurata. «Quando si curano gli animali selvatici, è importante che non abbiano influenze esterne, né dall'uomo, né dagli animali, soprattutto se domestici», spiega Remigio. Emerge quindi un tratto ben preciso del percorso di riabilitazione degli animali in cura al Cras: si tratta prima di un rinvigorimento fisico e poi psicologico-comportamentale. Gli animali devono sviluppare il "fiuto", l'istinto che gli permetterà di sopravvivere anche senza le attenzioni dei volontari. Se all'inizio della degenza il mustelide è stato coccolato sotto tutti gli aspetti, con l'avvicinarsi del giorno del suo reinserimento nell'habitat naturale, anche l'alimentazione diventa un fondamentale elemento da allineare alle più naturali abitudini selvatiche. «È importante che il cibo sia quanto più simile a quel che gli offrirà il bosco, che poi sarà casa sua», dice Remigio. Ma le difficoltà non saranno soltanto legate alla ricerca di nutrimento, ma anche direttamente proporzionali alla presenza o meno di predatori (al cui apice c'è l'uomo con la sua attività di bracconaggio per la pelliccia, che ha fatto finire l'animale nell'elenco delle specie protette, appunto) e quindi alla condivisione del territorio con altri animali. Un esemplare tra tutti con cui dovrà avere a che fare è la faina. Fino alla fine del 1800 i due animali vivevano in ambienti ben distinti, con la martora che occupava altitudini più elevate. L'antropizzazione delle aree boschive più vicine alle montagne, la contestuale e rapida scomparsa dei boschi di pianura, insieme al terzo deleterio elemento qual è stata la caccia alla martora hanno ristretto sempre più i rispettivi territori. Tanto che se da un lato possono essere ritenuti "concorrenti", secondo Remigio: «I due animali potrebbero anche incrociarsi prima o poi». D'altra parte le differenze dei "cugini" sono piccolissime: pelo che sfuma sul marrone e una macchia sottogola gialla con dei puntini rossi per la martora, pelo nero e una macchia sottogola bianca senza puntini per la faina. Tratti che emergono però soltanto con lo sviluppo, non certo nei primi giorni di vita. «Io stesso l'ho registrata come una faina appena ce l'hanno portata», spiega Remigio. Pur essendo difficile scoprire la presenza della martora, recentemente i guardaparco hanno rinvenuto un esemplare morto nella zona di Staffarda, che risulta particolarmente adatta alla vita della specie. Lì la martora rappresenta infatti un elemento di equilibrio naturale ed ecologico molto importante (basti pensare che nella sua dieta rientrano topolini, arvicole e uova di corvidi in genere). «Un'iniziativa molto importante, - ha affermato il Presidente Dovetta, intervenuto alla manifestazione - che va a favore della ricchezza della fauna e della biodiversità in generale, particolarmente significativo se si pensa che la liberazione è avvenuta nei boschi affidati in gestione dalla Regione all'Ente parco del Po Cuneese: un'area naturale di particolare importanza, anche perché è uno degli ultimi esempi di bosco planiziale». E, per dirla in altre parole, l'evento sarebbe la dimostrazione evidente che «l'istituzione parco funziona». Il legame tra l'uomo e la martora ritrovata non svanisce però qui. Dopo averla rimessa in piedi e restituita ai suoi territori, i volontari del Cras insieme ai guardaparco continueranno a monitorarne la presenza per ancora parecchio tempo. La chiave di volta sarà il codice a doppia elica che ogni essere vivente possiede, il Dna. Durante le cure, sono stati infatti prelevati ed analizzati campioni di feci. Saranno gli esiti ottenuti in quella prima occasione che, comparati con i risultati che daranno le prossime analisi sugli escrementi rinvenuti in futuro, ad attestare la presenza o meno del mustelide nell'area rilasciata. Mentre la martora assaggia la libertà, in prima linea, con gli occhi scintillanti e il sorriso a trentadue denti, i ragazzi delle due classi seconde della scuola primaria di Villafranca Piemonte sono lì, attenti ad ascoltare la storia dell'animale. È a loro che Dovetta rivolge i suoi complimenti: «I bambini hanno partecipato all'evento con estrema attenzione e hanno compreso quanto sia importante conoscere la vita naturale per poterla rispettare e difendere». Alla liberazione dell'animale, i bambini sono rimasti entusiasti, felici d'aver vissuto un'esperienza diversa e importante che probabilmente resterà tra i loro ricordi più belli. «Chiedevano perché la liberassimo, la lasciassimo scappare», racconta Dovetta, sottolineando l'importanza di trasmettere ed insegnare alle giovani generazioni il senso del rispetto degli animali e dell'ambiente naturale. Non è però la prima volta che il Cras retto da Remigio si prodiga nel salvare animali selvatici, restituendoli poi alla libertà. Civette, marmotte e ricci; un falco, un nibbio bruno, un biancone, due poiane e un'aquila minore. E ancora, un falco pellegrino, tre caprioli e un airone guardabuoi. Sono solo un incompleto elenco di oltre dieci anni di attività. Il grande valore dell'associazione creata da Remigio parla da sé ed è riconosciuto da parco e provincia che lo finanziano, insieme alle donazioni che i privati decidono di destinare attraverso il cinque per mille. «Il Cras svolge un lavoro importantissimo, con dedizione e tantissimo impegno da parte di tutto il personale», mette nero su bianco Dovetta. Inutile chiedere all'anziano fondatore dell'associazione se avesse dato un nome alla martora liberata. Lui, Remigio, è lì per aiutare gli animali, salvarli e quindi restituirli alla libertà, non per renderli domestici e trattenerli in habitat che non siano i loro. Il motto rimane quindi uno soltanto: «Dalla natura vengono e lì devono tornare».

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