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I colori dell'Africa

Nostalgia dell'estate appena trascorsa.

  • Claudio Rolando Gilberto Rolando
  • novembre 2012
  • Lunedì, 5 Novembre 2012

L'autunno avanzato ha ormai rubato il verde dalle foglie degli alberi e ha cancellato il ricordo dei colori caldi, quasi sfacciati, dei migratori che a settembre ci hanno lasciato per tornare al caldo dell'Africa, dove trascorreranno l'inverno. Li rivedremo con i primi tepori primaverili, viaggiatori instancabili, disposti a ripercorrere quelle migliaia di chilometri per tornare alle terre dove cresceranno nuove nidiate. Non tutti si fermano da noi. Alcuni sostano solo qualche giorno, giusto il tempo per rifocillarsi e ripartire verso nord. Altri, invece, restano fino a tarda estate per allevare i piccoli prima di riprendere il lungo viaggio di ritorno. I migratori sono le avanguardie di quelle gigantesche bolle di calore che dall'Africa si misurano con i venti freddi del nord per conquistare il continente europeo. Una lotta continua, che si svolge con alterne fortune, ma quando dilagano gli eserciti africani ai meteorologi non resta che sbizzarrirsi battezzando ogni puntata con nomi epici: Scipione, Caronte, Ulisse e altri personaggi che evocano gli studi liceali. Un tocco di colore lessicale che ben si accompagna con la livrea dei migratori che portano con sé i toni delle terre d'Africa, dal deserto ai tropici. Così per noi, infreddoliti abitatori del 45° parallelo nord, vedere un'Upupa, un gruppo di Gruccioni o una coppia di Codirossoni significa la certezza che le giornate si stanno allungando e l'inverno è solo un ricordo. Per chi ha attraversato il deserto del Sahara dalla Tunisia al Golfo di Guinea, o ha anche solo avuto occasione di vederne le immagini trasmesse in televisione o riportate su un libro, viene spontaneo accostare il colore delle piume del capo di un Codirossone col blu del turbante dei Thuareg, o il beige delle montagne algerine dell'Assekrem alla livrea dell'Upupa. I Gruccioni, invece, portano impresso nel piumaggio il ricordo del loro viaggio che mescola il rosso infuocato delle montagne di El Golea alla sabbia gialla delle dune di Nefta e al verde delle oasi, per tingersi infine col blu delle acque del Mediterraneo. Non a caso molti lo ritengono il più bello fra gli uccelli italiani. Perciò la vista di un migratore transahariano non è solo un'osservazione interessante per un appassionato ornitologo, ma diventa un modo per catturare un pezzo d'anima dell'Africa, anche solo per un breve istante. Un'esperienza ancor più emozionante perché incontrare questi uccelli, che rimangono da noi meno di sei mesi, non è un fatto così comune. Tra le tre specie, quella più facilmente osservabile è certamente l'Upupa (Upupa epops), che giunge in Piemonte tra marzo e inizio maggio e si trattiene fino a settembre. Il suo corpo, esile ed elegante, è ricoperto da un piumaggio di un caldo color beige, in cui spiccano il bianco e il nero delle ali, del dorso e della coda. Caratteristica è poi l'inconfondibile silhouette del capo, col becco ricurvo, lungo e sottile, adatto a cercare sul terreno i grossi insetti di cui si nutre, ornato da una cresta di penne che l'uccello solleva quando è eccitato o allarmato. Pur non raggiungendo densità elevate, l'Upupa è distribuita su un vasto territorio, che va dalla pianura alla collina e fino ai 1000 metri di quota, lungo i versanti soleggiati. Da sola, o in coppia, la si può osservare mentre si muove a caccia sul terreno nudo: campi arati, frutteti, vigneti o strade di campagna. Un'attività che l'Upupa svolge muovendosi continuamente e, diffidente com'è, si allontana al primo sospetto. Perciò, per poterla ammirare più a lungo, il modo migliore è trovarne un nido, dove da giugno a inizio luglio si è certi che tornerà per allevare la nidiata. In genere l'Upupa utilizza le cavità degli alberi e spesso sfrutta i nidi abbandonati dai picchi, ma non disdegna anche gli anfratti nei muretti a secco o negli edifici poco frequentati. La cova è compito esclusivo della femmina. Settimane in cui il maschio si presenta di rado, giusto per portare qualche boccone succulento, ma quando i pulcini cominciano a crescere le visite al nido di entrambi i genitori diventano continue. D'altronde, tutte quelle bocche da sfamare, e a volte arrivano a sei, richiedono un lavoro incessante. Per scoprire un nido non è necessario seguire uno dei genitori; spesso basta lasciarsi guidare dall'olfatto perché dall'ingresso trapela un odore forte e sgradevole, prodotto dalle secrezioni dei giovani, che qualcuno ritiene sia un modo per allontanare i predatori. Più difficoltoso è invece osservare il Gruccione (Merops apiaster), ma non perché sia una presenza rara in Piemonte. Al contrario i Gruccioni sono numerosi, come dimostrano i grossi stormi che si formano in settembre per la partenza verso sud. Vivono però in colonie e per nidificare hanno bisogno di scarpate di terra, in collina, lungo i fiumi o nelle cave dove scavano gallerie profonde fino a un metro. Inoltre sono uccelli che amano il caldo ed evitano le aree più piovose. Tutto ciò ne limita la diffusione ad aree ristrette anche se, dagli anni '80, in Piemonte si sono espansi dall'astigiano verso nord raggiungendo il canavese e lo sbocco della valle di Susa. Ciò nonostante, a differenza dell'Upupa abbondantemente diffusa ma con basse densità, per osservare i Gruccioni è quasi giocoforza trovarne una colonia. Tipico uccello tropicale, grande poco più di un merlo, il Gruccione si muove in gruppi la cui presenza è segnalata dal chiacchiericcio sonoro e vivace con cui si richiamano in continuazione. In genere questi piccoli stormi si muovono esplorando il terreno aperto alla ricerca del loro cibo preferito, costituito dagli insetti volanti che catturano con incredibile maestria. E poco importa se siano inoffensivi Bombi o pericolosi Calabroni; col suo becco appuntito il Gruccione è in grado di "disarmare" qualsiasi boccone. Infine il Codirossone (Monticola saxatilis), uno degli uccelli più belli che abitano le nostre montagne. Nonostante sia diffuso sull'intero arco alpino, è forse il più difficile da osservare tra i tre migratori transahariani. In primo luogo perché giunge da noi solo tra fine aprile e inizio maggio, quando la fascia che occupa, compresa tra i 1300 e i 2200-2400 metri d'altitudine si libera dal manto invernale. E poi, alla fatica di raggiungere i suoi territori, si somma la difficoltà di trovare l'ambiente in cui si stabilisce, perché il Codirossone è un uccello piuttosto esigente e cerca i pendii montani soleggiati in cui si alternano prati o pascoli interrotti da rocce. Difficile, ma non basta perché pur grande quanto un merlo, anche in condizioni ottimali non si trova più di una coppia di Codirossoni per chilometro quadrato. Valli a scoprire! Eppure, quando si vede planare attraverso la radura la macchia rugginosa del maschio, quasi un fantasma opaco sul mantello scuro, tutto sembra fermarsi. Lui vola dritto e basso fino a una pietra colorata dai licheni, si posa e intona la sua dolce melodia. Immobile, la sua sagoma si staglia contro il verde che ammanta i pascoli d'alta quota. Tiene la testa sollevata e il becco è puntato verso l'alto. Ma questo accade in maggio quando il maschio, pur di far colpo sulla compagna, non bada ai nostri sguardi... almeno per qualche settimana. I Codirossoni hanno un evidente dimorfismo sessuale e la femmina, dal piumaggio bruno-grigiastro, macchiettato di scuro e la coda rossastra, è poco appariscente. Al contrario, il maschio sfoggia una splendida livrea con le parti inferiori rosso-rugginose, capo e dorso blu scuri e groppone bianco. Se si dovesse definire il Codirossone con un aggettivo, il più adatto sarebbe probabilmente: rapido. Infatti, appena dopo l'arrivo trova una cavità, o una fenditura, dove costruisce il nido e dopo metà maggio già inizia la cova delle 5 o 6 uova di colore azzurro chiaro. Dalla deposizione alla schiusa trascorrono appena tredici giorni e i piccoli lasciano il nido dopo un paio di settimane. Ecco perché un Codirossone lo si osserva o per un colpo di fortuna, o perché lo si è andato davvero a cercare. Upupa, Gruccione e Codirossone, tre specie, tra le tante migratrici, che arrivano da noi per riprodursi e quando ripartono portano appresso i caldi estivi e i gradevoli tepori settembrini. È il loro modo per avvisarci che il freddo sta arrivando... fino alla prossima primavera.

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