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Il gambero venuto da lontano

La Regione Piemonte ha pubblicato di recente una brochure sul Gambero rosso della Louisiana. Informazioni utili che si aggiungono a quelle già divulgate da un precedente artcolo di Piemonte Parchi che qui riproponiamo.

  • Francesco Tomasinelli Fabio Pupin
  • novembre 2009
  • Giovedì, 14 Maggio 2015
Il gambero venuto da lontano

È arrivato in Italia alla fine degli anni Ottanta. E, come spesso accade per molti organismi introdotti dall'uomo, per un buon motivo, almeno sulla carta: l'idea di allevare questo crostaceo in grandi impianti di acquacoltura e proporlo come piatto prelibato nei ristoranti del Nord Italia. Il gambero della Louisiana (Procambarus clarkii), originario del Sud degli Stati Uniti e adesso noto anche come gambero americano o "gambero killer", è infatti molto prolifico, di taglia adeguata (circa 18 cm di lunghezza) e tempra molto resistente. L'allevamento di questa specie sembrava avere un grande potenziale, e poteva anche risultare utile per ridurre le catture a scopo alimentare del nostro gambero autoctono, l'Austropotamobius, all'epoca non ancora protetto.

Non tutto però è andato come previsto e alcune centinaia di esemplari sono riuscite a scappare delle vasche e a disperdersi nel Fiume Banna, a Sud di Torino. Correva l'anno 1989 e all'epoca quasi nessuno notò i grandi crostacei che stavano lentamente colonizzando i corsi d'acqua della zona. Poi, nel 1993, un altro incidente avvenne in provincia di Lucca. Questa volta un'esondazione consentì a un buon numero di gamberi di fuggire nel Lago di Massaciuccoli da un altro allevamento, nei pressi di Massarosa. Da questi primi nuclei il crostaceo della Louisiana si è diffuso a macchia d'olio in tutte le regioni centro-settentrionali. Nella seconda metà degli anni Novanta aveva già "conquistato" gran parte della Pianura Padana e all'inizio del 2000 era sotto assedio anche il Centro Italia, secondo un copione già visto in molti paesi europei. I primi Procambarus, infatti, giunsero nel nostro continente nel 1972, destinati ad alcuni allevamenti in Spagna. Da qui sono stati introdotti in Portogallo e poi, per vie non sempre chiare, sono finiti anche a Cipro, in Inghilterra, Francia, Germania, Olanda e Svizzera. Più a nord per ora non si spingono. Il freddo, infatti, sembra essere il maggior fattore limitante per questa specie.
Già poco dopo "l'invasione" si è capito che il gambero della Louisiana avrebbe avuto un impatto consistente sugli ecosistemi acquatici. Il Procambarus è infatti un predatore generalista: mangia praticamente tutto quanto riesce a catturare, oltre a consumare organismi morti e piante acquatiche. E dove arriva il gambero la biodiversità cala sensibilmente. Matteo Siesa, dottorando presso la Facoltà degli Studi di Milano, sta cercando di capire quale sia l'impatto di questo crostaceo sulle altre popolazioni animali, in particolare su gruppi che contano diverse specie protette, come le libellule e gli anfibi: «Avere informazioni precise non è semplice e il mio studio deve ancora concludersi. Però alcune cose sono già evidenti. Per esempio, che i Procambarus consumano un gran numero di girini e di uova di rana e di tritone e spesso catturano anche i giovani. In massima parte si tratta di rane verdi, le più comuni, ma se si presenta l'occasione aggrediscono anche la rana dalmatina e la protettissima rana di Lataste». La lista degli individui aggredita dall'invasore è piuttosto lunga: ci sono anche chiocciole come Limnea, Planorbis (specie endemica toscana con sole 7 popolazioni relitte), piccoli pesci di fondo, ogni tipo di insetti e invertebrati acquatici, senza contare la vegetazione.

Così una volta raggiunto un habitat adatto, come sono la maggior parte dei nostri corsi d'acqua di pianura e collina, il gambero inizia a pasteggiare con i suoi abitanti, aumentando incredibilmente di numero. Le femmine di Procambarus possono produrre anche centinaia di uova per ogni stagione riproduttiva in autunno. Lo sviluppo è diretto (come negli altri membri della famiglia, i Cambaridae): manca uno stadio di larva e i piccoli rimangono qualche settimana con la madre, attaccati sotto l'addome, prima di disperdersi nell'ambiente. Ma cresceranno in fretta, raggiungendo la taglia adulta in circa due anni. In pratica il Procambarus è un invasore perfetto - fanno notare i ricercatori del laboratorio di Francesca Gherardi all'Università di Firenze che studiano il gambero invasore da quando è apparso in Italia. Può contare infatti su crescita rapida, maturità precoce, una prole numerosa, abbinate a una grande adattabilità alimentare e una notevole resistenza. Tutti ingredienti ideali per sopravvivere in ambienti diversi, dai torrenti di collina ai canali di scarico attorno alle nostre campagne e città.

Questa capacità di colonizzare nuovi habitat mette in difficoltà anche i crostacei autoctoni, soprattutto i gamberi di fiume nostrani come Austropotamobius pallipes e italicus che sono più piccoli e meno prolifici. Uno studio interessante, condotto sempre dalla squadra di Francesca Gherardi nel 2004, ha dimostrato che il nostro gambero è sempre perdente, a parità di taglia, nelle interazioni con il Procambarus. Il meno noto granchio di fiume Potamon fluviatile, invece, ha dimostrato di poter tenere testa all'invasore americano. Ma lo scontro diretto è il minore dei problemi: il Procambarus è infatti il vettore di malattie che colpiscono i gamberi europei autoctoni come la "peste del gambero" causata da un oomicete (Aphanomyces astaci) che aggredisce l'esoscheletro degli sfortunati crostacei causando fortissimi crolli di popolazioni.

Ai danni alle altre specie animali si aggiungono anche quelli sull'ambiente. I gamberi americani sono in grado di scavare profonde gallerie negli argini per mettersi al riparo dal caldo, dal freddo, dalla siccità o dalla carenza di cibo. A volte, però, il numero delle cavità è così elevato da provocare indebolimenti delle strutture con relativi crolli e allagamenti. Se poi l'habitat è davvero ostile, i gamberi possono cambiare rapidamente zona. Le migrazioni avvengono generalmente di notte o nelle giornate piovose. Nel 2003 migliaia di Procambarus si spostarono in massa dai canali dove vivevano attraversando lo svincolo di Firenze Nord dell'A1. La Società Autostrade fu costretta a recintare la zona con reti alte e installate in profondità nel terreno: i gamberi, infatti, sanno scavare buche e sono in grado di arrampicarsi. Ancora oggi non è affatto raro che un automobilista sorprenda piccoli gruppi di gamberi durante i loro spostamenti notturni alla ricerca di habitat più favorevoli.

Nonostante tutti questi assi nella manica si potrebbe pensare che eradicare questa specie non sia troppo difficile. In fondo il Procambarus è grande, visibile e buono da mangiare, quindi alla fine basterebbe pescarlo in grandi quantità adottando qualche precauzione: per la sua capacità di adattarsi ad acque di bassa qualità può infatti accumulare nelle sue carni gli inquinanti, soprattutto i temuti metalli pesanti. Ma nonostante se ne peschi una grande quantità, c'è quasi sempre un piccolo gruppo di individui che sfugge e ricolonizza rapidamente gli habitat dove era stato temporaneamente rimosso. Ed è per questo che il crostaceo della Louisiana è ritenuto da molti la specie alloctona più dannosa in Italia. Ancora oggi la rimozione dei singoli animali sembra essere il sistema migliore di contrasto a livello locale. I nostri predatori non fanno un grande lavoro: il gambero è predato solo da alcuni uccelli, come gli aironi, e i pesci grandi e voraci, come il siluro e il persico trota, anch'essi invasori. Ma c'è una tecnica, quasi fantascientifica, messa a punto nel 2009 sempre nei laboratori di Firenze che porta un po' di ottimismo per il futuro. «La strategia consiste nell'irradiare i maschi di gambero con i raggi X, riducendone la loro capacità riproduttiva - racconta Laura Aquiloni che ha condotto lo studio. Le femmine si accoppiano comunque con questi individui senza sapere che il numero delle uova fecondate sarà molto inferiore». Nei test si è osservata una riduzione del 40% della prole prodotta da femmine accoppiatesi con i maschi irradiati. «Abbiamo visto che la tecnica funziona – continua la ricercatrice - ma i risultati non sono clamorosi. Con molti insetti nocivi si arriva a un abbattimento del 90% del numero delle uova fertili. La sfida per il futuro è sviluppare un procedimento di semplice applicazione che aumenti ulteriormente il numero delle uova colpite».

Scarica la nuova brochure sul gambero della Louisiana

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