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Bioalieni. Poco extra e molto terrestri

  • Chiara Spadetti Domenico Rosselli
  • novembre 2009
  • Martedì, 10 Novembre 2009

Anche chi faceva il tifo per i cow-boy nei film di John Ford, non poteva restare indifferente alla vista dei cavalli pezzati degli indiani d'America, da questi montati abilmente "a pelo" durante l'assalto alle diligenze dei coloni bianchi e negli scontri coi "visi pallidi" fino alla storica, quanto inutile, vittoria sulle truppe del generale Custer a Little Big Horn nel 1876. Ma tutt'altra impressione fecero tre secoli prima quegli stessi cavalli, montati dalle truppe di Pizzarro, allo strabordante esercito Inca di Athaualpa: 80.000 uomini sconfitti da poche decine di cavalieri e fanti spagnoli, grazie alle armi da fuoco, ma soprattutto al terrore seminato nelle file dell'esercito indigeno da questi incredibili animali che per la prima volta apparivano ai nativi di quelle terre, ricoperti di armature terrificanti quanto quelle dei loro cavalieri con i quali sembravano costituire un mostruoso tutt'uno. Il concetto di specie alloctona non era certamente noto allora, e senza dubbio l'arrivo del cavallo sul continente americano fu una delle introduzioni più importanti e rivoluzionarie che modificò drasticamente abitudini e usi delle popolazioni locali.

Ma cosa sono le specie alloctone? Per specie alloctone, o "aliene", si intendono tutte quelle specie animali e vegetali trasferite accidentalmente o intenzionalmente dall'uomo in ambiti geografici differenti da quelli di origine. Queste specie spesso non riescono a sopravvivere e a riprodursi, o lo fanno solo in condizioni controllate; oppure occupano nicchie ben definite e si inseriscono in modo tutto sommato equilibrato nell'ambiente. Vi è però una terza possibilità, ovvero che queste specie siano molto adattabili, trovino condizioni decisamente favorevoli (clima idoneo, abbondanza di cibo, assenza di predatori, ecc.) e dunque "esplodano" numericamente, arrivando a occupare i territori e sfruttando le risorse di specie indigene (autoctone), determinando la loro drastica riduzione e in molti casi la loro definitiva estinzione. Quest'ultima possibilità rappresenta una delle maggiori minacce alla biodiversità del nostro pianeta e una delle emergenze che la comunità internazionale sta oggi tentando di affrontare con costi economici molto rilevanti.

L'esempio della diffusione del ratto sulle isole di tutto il mondo è forse il più emblematico; questo roditore, trasportato accidentalmente dalle navi che attraccavano per rifornirsi di acqua e alimenti, è stato la causa diretta dell'estinzione di un numero elevatissimo di specie di uccelli e rettili, di cui preda le uova, e anche di insetti. La sua grande adattabilità e prolificità ha fatto sì che prevalesse rapidamente e facilmente su molte specie autoctone, modificando in modo drammatico i delicati equilibri ecologici instauratisi su queste realtà insulari. In molte parti del mondo come in Australia, Nuova Zelanda e più recentemente anche negli Stati Uniti, sono stati attivati progetti per lo studio e il controllo, e dove possibile l'eradicazione, di questo dannoso roditore peraltro vettore anche di pericolose patologie. Anche nelle isole del Mediterraneo il problema ha assunto dimensioni preoccupanti, arrivando a compromettere la nidificazione di specie come la berta maggiore e la berta minore, uccelli pelagici che nidificano in cavità spesso alla portata dell'azione predatrice dei ratti. Un esempio importante di intervento attivo coronato da successo è stato quello operato dal Parco nazionale dell'Arcipelago Toscano che grazie a un Progetto LIFE Natura "Isole della Toscana: nuove azioni per gli uccelli marini e habitat", finanziato dalla Comunità Europea e dalla Regione Toscana, ha collocato sull'isola di Giannutri oltre 1.000 erogatori selettivi di esche rodenticide, arrivando nel 2007 a eliminare il roditore, la cui presenza era stata stimata nel 2005 in 10.000 – 15.000 esemplari con un conseguente significativo incremento del successo riproduttivo delle popolazioni di berte nidificanti sull'isola.

In altre occasioni fu l'uomo a introdurre volontariamente specie poi rapidamente sfuggite al controllo e causa di gravi problemi e ingenti danni economici. Il 25 dicembre 1859 il continente australiano ricevette un bruttissimo regalo natalizio da Thomas Austin, colono inglese con l'hobby della caccia, che a tal scopo in prossimità di Merbourne rilasciò una ventina di conigli, specie fino ad allora sconosciuta in quella terra, che si era fatto spedire dalla madre patria. Nei primi del '900 la popolazione di conigli australiani superava i 500 milioni di esemplari, favorita anche da un processo adattativo della specie che determinò un cambiamento del peso e delle dimensioni delle orecchie e che rese questo animale molto più idoneo al clima caldo e secco dell'Australia. Per contenere il flagello che questa popolazione rappresentava per le colture si arrivò a erigere una rete lunga 3.000 chilometri, la rabbit proof fence, che tagliò un due, da costa a costa, il territorio dell'Australia dell'ovest con l'intento, fallito, di limitare la diffusione della specie. Fu tentata anche la strada del controllo tramite l'introduzione di predatori come la volpe, ma con scarsi risultati e nel 1951 si arrivò addirittura alla diffusione artificiale del virus della mixomatosi che falcidiò in pochi anni la popolazione, ma che più recentemente ha portato alla comparsa di nuclei di conigli resistenti o decisamente immuni e la prospettiva che il problema si ripresenti in tutta la sua drammaticità.

Anche nella vecchia Europa gli arrivi di specie alloctone sono, fin dai tempi più remoti, strettamente connesse alla presenza e all'iniziativa dell'uomo: il castagno, ad esempio, specie comune nei boschi di quasi tutta la nostra penisola, tale da identificare una precisa fascia vegetazionale, un tempo e ancora oggi anche se più raramente, coltivato per i suoi preziosi frutti, è in realtà di origine asiatica e si è diffuso alle nostre latitudini fin dalla preistoria al seguito delle migrazioni delle popolazioni umane.
Altra specie di origine asiatica è la carpa, ormai ospite apprezzato e spesso allevato nelle nostre "acque ferme" sull'esempio dei Romani, che per primi la introdussero a scopo alimentare, o come il fagiano, il cui arrivo a opera degli antichi Greci, ha radici ancora più remote. Anche il gelso, le cui foglie rappresentano l'alimento d'elezione per il baco da seta e la cui presenza era assai comune fino a pochi decenni or sono in tutta la pianura padana, fu introdotto in Europa nel XII secolo.

In tempi storici le popolazioni umane sono state vettori spesso consapevoli di specie alloctone, specialmente per quanto riguarda piante coltivate come il mais, il girasole, il riso, la patata, il pomodoro, la melanzana e il più recente kiwi, ormai facenti parte del nostro sistema agroalimentare. Quelle citate in questi ultimi esempi sono specie alloctone insediate in tempi ormai lontani, che si sono dimostrate spesso molto utili allo sviluppo delle comunità umane e che oggi sono considerate parte integrante della fauna o della vegetazione locale. Negli ultimi decenni la globalizzazione dei mercati, la rapida evoluzione dei mezzi di trasporto, i movimenti sempre più frequenti di merci e di uomini hanno aumentato in modo esponenziale la diffusione di specie alloctone con il rischio, incrementato dai cambiamenti climatici in corso, di una rapida naturalizzazione a scapito delle specie indigene. Nuove specie come la nutria, la tartaruga dalle guance rosse, il gambero rosso della Louisiana e lo scoiattolo grigio, naturalizzatesi negli ultimi decenni sul nostro territorio, rappresentano ormai una grave emergenza ambientale e un serio pericolo per l'equilibrio degli ecosistemi: il monitoraggio di queste specie è il primo passo di qualsiasi programma di gestione e in tal senso è stato strutturato un progetto LIFE (in attesa di approvazione) riguardante in particolare lo Scoiattolo grigio, promosso e co-finanziato dal settore Parchi e dall'Osservatorio faunistico della Regione Piemonte.

Le bioinvasioni, oltre a rappresentare una seria minaccia agli equilibri locali, hanno implicazioni molto pesanti anche in termini socioeconomici: un recente rapporto del 2008 stima che nell'ambito della Comunità Europea i costi annui relativi i danni causati dalle specie alloctone e le relative misure di controllo ammontino a circa 12 miliardi di euro, e si tratta di una stima decisamente in difetto considerando che molti paesi hanno iniziato solo ora a tenere un conto dei costi determinati da questi fenomeni. Dal 1992 a oggi, nell'ambito del programma LIFE, l'Unione Europea ha sostenuto oltre 187 progetti volti allo studio e al contenimento delle specie invasive, con un investimento di oltre 44 milioni di euro. Per cercare di ottimizzare e soprattutto organizzare le iniziative volte a evitare la diffusione delle specie alloctone, e in caso di loro penetrazione a produrre interventi tempestivi per la loro eliminazione o quantomeno misure di monitoraggio e contenimento, la Comunità Europea sta attivando banche dati e atlanti delle specie esotiche invasive attraverso progetti paneuropei come DAISIE (Delivering Alien Invasive Species Inventories for Europe) che ha costituito un inventario di tutte le 10.822 specie alloctone attualmente individuate sul territorio dell'UE che minacciano gli ambienti marini, terrestri e d'acqua dolce, o come il portale NOBANIS che fornisce informazioni sulle specie invasive sia "attuali" che "potenziali", con schede tecniche di dettaglio sulle 55 specie più pericolose. Nell'ambito del Piano d'azione dell'UE a favore delle biodiversità, il Consiglio europeo dei ministri ha promosso un sistema di controllo e di allerta anche tramite una sorveglianza costante delle aree più sensibili quali i punti di accesso turistici e commerciali (porti, aeroporti, stazioni, ecc.).

Un ultimo esempio. Minorca è una delle isole delle Baleari con una flora endemica importantissima, anche per questo classificata "Riserva della Biosfera" dall'UNESCO nel 1993. Negli anni '50 è stato introdotto a scopo ornamentale il Carpobrotus, pianta originaria del Sud Africa, apprezzata per i suoi fiori dal colore vivace, ma con la pessima caratteristica di essere un rampicante molto invasivo che si sviluppa sulle altre piante distruggendole. Risultato: dalla sua prima comparsa sull'isola si calcola che sia andato perduto circa l'80% della flora endemica. La presenza sull'isola di diversi Siti di Interesse Comunitario che fanno parte della Rete Natura 2000, in cui sono presenti 8 specie vegetali tutelate dalla Direttiva Habitat, ha favorito l'attivazione di una campagna di eradicazione, che ha visto il coinvolgimento anche di numerosi volontari e della popolazione locale, iniziata su larga scala nel 2001 e finanziata con un progetto LIFE Natura e che ha oggi determinato la scomparsa del Carpobrotus su gran parte del territorio di Minorca, anche se il lavoro continua per eliminare le piante residue e mantenere un monitoraggio per prevenirne l'eventuale ricomparsa.

Una serie di sfide difficili dunque, in cui giocano un ruolo importantissimo l'informazione e la sensibilizzazione di ogni singolo cittadino europeo e la volontà e capacità dei singoli Stati di "fare sistema" per attuare efficacemente le uniche azioni di "respingimento" giustificate dal punto di vista biologico e accettabili sotto il profilo etico.

Per saperne di più:
www.europe-aliens.org
www.nobanis.org

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