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Le finzioni del cinema al "naturale"

  • Bruno Gambarotta
  • giugno 2010
  • Domenica, 13 Giugno 2010

Il mio ricordo più antico si riferisce a una successione di sequenze che nel giro di pochi secondi mostrava semi in vaso che sbocciavano dal terreno, crescevano, mettevano rami, foglie, gemme e in ultimo i fiori. Un incanto, una magia. Com'era possibile? Nessuno, fra gli adulti seduti accanto a me, sapeva spiegarmelo. Anni dopo avrei scoperto che in certe cineprese esiste la possibilità di programmare uno scatto singolo per un determinato intervallo di tempo. Dato che la pellicola scorre alla velocità di 24 fotogrammi al secondo, se regolo la cinepresa per uno scatto ogni ora, avrò compresso in un secondo lo sviluppo della pianta nell'arco di 24 ore. Il passo successivo mi portò alla visione dei documentari di Walt Disney. Ne ricordo due in particolare, uno mi pare s'intitolasse "La valle dei castori" e l'altro "Il deserto vivente", girati entrambi negli Stati Uniti. Qui nascevano altre e più sofisticate perplessità, sempre in relazione alle tecniche di ripresa. In particolare i documentari mostravano la vita di castori e serpenti all'interno delle rispettive tane. Come era stato possibile piazzare delle cineprese e delle luci in quegli ambienti sotterranei senza alterare la pretesa di naturalità che il commento fuori campo sbandierava? Una rivista di divulgazione scientifica mi fornì la risposta, con un servizio sui dispositivi messi in atto dagli operatori per aggirare i molti ostacoli. Oggi diremmo che si trattava di un'inchiesta sul backstage del film. In pratica gli uomini della Walt Disney avevano ricostruito in teatro di posa un nido e poi l'avevano sezionato a metà, applicando sulla sezione un cristallo in modo che l'impianto reggesse. Avevano poi inserito castori e serpenti filmandoli in tutta tranquillità. Nella migliore delle ipotesi, il cinema è la vita meno i tempi morti e i gesti ripetitivi. Il cinema è sintesi: se voglio far sapere allo spettatore che il signor Bianchi è andato con la sua auto a far visita alla signora Rossi che abita in un'altra città, metto in fila le seguenti inquadrature: Bianchi che sale sulla sua auto, Bianchi in auto che esce dalla città, Bianchi che entra nella città della signora Rossi, Bianchi che parcheggia davanti a casa Rossi, il signor Bianchi e la signora Rossi che conversano nel salotto di quest'ultima. Cinque inquadrature di pochi secondi. Nei film naturalistici questa contrazione del tempo è ancora più drastica. Prendiamo il caso di un documentario sulle abitudini degli animali selvatici all'interno di un parco. Non ci sono sequenze che mostrano i giorni e le notti trascorse dagli operatori nella vana attesa del passaggio di un animale; tuttalpiù se ne fa un cenno rapido nel commento. Anche la sequenza che mostra un branco di predatori che riesce a catturare l'animale più debole della mandria in fuga, è montata in estrema sintesi rispetto al tempo effettivo. Molte volte nasce il sospetto che il film ci mostri come facenti parte di un unico episodio sequenze riprese in occasioni diverse. Non c'è un garante della correttezza scientifica. Nei film a soggetto con animali protagonisti (per esempio la serie di telefilm con Rex cane poliziotto), sono presenti sul set diversi esemplari simili tra loro, da alternare nelle riprese se uno mostra segni di stanchezza e di irritazione. Il caso più clamoroso di finzione si ha quando un film racconta un'impresa solitaria, per esempio la traversata di un deserto o della calotta polare. Quella solitudine è finta se non altro perché l'eroe è circondato da una troupe. In sostanza è un inganno far credere allo spettatore che lo spettacolo sia quello della natura senza filtri. Ragione per cui, se dovessi indicare un film dove il rapporto con la natura torna ad essere autentico perché viene usato palesemente come materia della narrazione, indicherei "Amarcord" di Fellini, con la sequenze di apertura e di chiusura del film che mostrano la diffusione dei pappi in primavera mentre avvolgono il paesaggio in una nebbia bianca e vaporosa.