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Il paesaggio: natura, tecnica, anima

La parola paesaggio, di significato diverso da territorio e ambiente, evoca la natura di un luogo ma anche l'interpretazione che l'uomo ne dà con i suoi interventi tecnici.

  • Piero Bianucci
  • gennaio-febbraio 2012
  • Sabato, 7 Gennaio 2012

VISITA ALLA MOSTRA Bulloni e Farfalle - 150 anni d'ambiente in Piemonte "Ambiente: sostantivo maschile. Materia liquida che circonda alcuna cosa; si dice comunemente dell'aria". Questo era il significato della parola "ambiente" sul vocabolario della lingua italiana Le Monnier nel 1881. Altri termini oggi di uso comune, come biodiversità, ecologia, ecosistema, ecocompatibile e habitat non erano neppure presenti. Da quei tempi, com'è cambiata oggi l'idea della natura e dell'ambiente nel pensiero dei piemontesi? Risponde alla domanda la mostra "Bulloni e Farfalle - 150 anni di Ambiente in Piemonte", allestita al Museo regionale di Scienze naturali di Torino fino al prossimo 6 luglio. Nata dalla collaborazione tra gli assessorati Ambiente e Cultura della Regione Piemonte, l'esposizone è una sorta di camera (o meglio, di camere) delle meraviglie dove si raccontano le diverse epoche storiche e la relativa concezione del tema "ambiente" in un'ottica squisitamente piemontese. La prima "camera" espone una serie di dati significativi tratti dalla Relazione sullo Stato dell'ambiente 2011 e relativi a: temperatura, trasporti, rumore, aria, rifiuti, energia, inquinamento luminoso, consumo del suolo, modificazione dell'ambiente montano, foreste, biodiversità. Dati che testimoniano, ad esempio, l'aumento della temperatura di due gradi rispetto alla media – dal 1980 al 2007 – nella nostra regione; oppure l'andamento della popolazione che ha visto lo spopolamento delle aree montane (un comune per tutti, Fenestrelle in val Chisone, è passato dai 3064 abitanti nel 1861 ai 572 nel 2010). O ancora "visioni" cittadine: come Torino con le sue 600.000 automobili responsabili del 90% di inquinamento acustico; o i rifiuti urbani – passati da 278mila tonnellate del 1986 a 1 milione e 666mila del 1995 con una raccolta differenziata, però, salita dal 15% del 1999 al 50% del 2009. Attraversata la "camera" introduttiva, la mostra continua con l'esposizione delle collezioni naturalistiche e bibliografiche del Museo regionale di Scienze. Il percorso prosegue poi con una serie di sale scenografie che ricostruiscono la situazione sociale, economica culturale del Piemonte fotografata in diverse epoche storiche. Il percorso prosegue poi in una serie di sale scenografie che ricostruiscono la situazione sociale, economica, culturale del Piemonte, fotografata in diversi momenti temporali: è con la letteratura, la didattica, la cultura, il territorio, la musica e l'arte che prendono vita le cinque epoche storiche passate in rassegna. La prima – definita "Il tempo dell'Unità d'Italia (1861-1900)" – con immagini, fotografie spezzoni di documentari ricostruisce il quarantennio; la seconda – "La trasformazione industriale (1900-1950)"– segna il trionfo dei variopinti pannelli pubblicitari; la terza – "Il boom economico (1950-1970)" – racconta gli anni della Fiat 500, della Vespa, del carosello in Tv, delle villeggiature dei piemontesi appena fuoriporta; la quarta epoca della mostra è dedicata agli anni 1970-1990, periodo in cui è aumentata la percezione dei problemi ambientali legati ai fenomeni di inquinamento si è affermata una nuova cultura ambientalista. Infine, i giorni nostri (dal 1990 a oggi): il titolo della quinta camera delle meraviglie è "Verso la sostenibilità" e se cerchiamo in questa stanza la definzione di "ambiente" – esattamente da dove eravamo partiti – scopriamo che oggi nel G. Devoto, G. Carlo Oli, Dizionario della lingua italiana, Le Monnier c'è scritto: «Lo spazio circostante considerato con tutte o con la maggior parte delle sue caratteristiche. L'insieme delle condizioni fisico-chimiche e biologiche che permettono e favoriscono la vita degli esseri viventi». Nel frattempo hanno fatto la loro comparsa anche le altre parole, un tempo sconosciute. Sono ospitate dal Museo di Scienze una serie di "conversazioni intorno all'ambiente" legate alla mostra. Prossimi appuntamenti: La scienza che soccorre la natura (con P. Bianucci il 15 marzo); lo spettacolo teatrale "Tutto solo di braccia e badile" (di L. Piagnoni il 22 marzo); il rapporto uomo e natura (con P. Grimaldi il 5 aprile). Emanuela Celona

Tra qualche settimana sapremo se l'UNESCO ha accolto nella Lista del Patrimonio Mondiale dell'Umanità il paesaggio vitivinicolo di Langhe, Roero e Monferrato. Le probabilità di una risposta positiva – si dice dopo l'ultima visita degli ispettori – sono molto alte. Il dossier della candidatura – 830 pagine consegnate il 21 gennaio 2011 alla sede UNESCO di Parigi – è il punto di arrivo di un'idea che risale al 2003 e ha fatto il primo passo ufficiale nel febbraio 2008, quando tutte le istituzioni coinvolte firmarono un protocollo d'intesa. La preparazione della candidatura ha offerto l'occasione per riflettere su che cosa sia un "paesaggio culturale", cioè, secondo la definizione che ne dà l'organismo delle Nazioni Unite, il "risultato dell'azione combinata dell'uomo e della natura". Langhe, Roero e Monferrato corrispondono geologicamente al fondale di un antico mare ricco di conchiglie fossili. Siamo tra Pliocene e Pleistocene, 2,6 milioni di anni fa. I 30.550 ettari che aspirano al titolo di patrimonio mondiale dell'umanità comprendono 74 Comuni, con intorno una cintura di altri 180 centri abitati. Su quei 30.550 ettari sono adagiati i vigneti che corrispondono a nove zone di eccellenza: Freisa, Asti Spumante, Barbaresco, Barolo, Dolcetto di Dogliani, Grignolino, Barbera, Moscato, Loazzolo. Il tiepido mare pliocenico è diventato una ondulata successione di colline, e le colline sono diventate una mirabile geometria di vigneti. L'uomo le ha colonizzate, plasmate, coltivate. Dove finisce la natura? Dove incomincia la cultura? Probabilmente stiamo parlando di un confine ingannevole. La natura dell'uomo sta nella sua artificialità, cioè nella sua naturale inclinazione ad adattare a sé l'ambiente con la scienza e la tecnica. Paesaggio, territorio e ambiente non sono sinonimi. Ambiente è parola generica: comprende tutto ciò che ci sta attorno. Territorio è un termine specifico: rimanda alla fisicità del suolo. La parola paesaggio invece evoca sia la natura di un luogo sia l'interpretazione che l'uomo ne dà con i suoi interventi tecnici. Bisogna evitare che il generico concetto di ambiente fagociti quello di paesaggio, riducendolo a semplice territorio. C'è nel concetto di paesaggio qualcosa di profondo che unisce interiorità ed esteriorità. Nel saggio Mente e paesaggio edito da Bollati Boringhieri Ugo Morelli, docente di psicologia all'Università di Bergamo, scrive: «Il paesaggio è dentro di noi prima di essere intorno a noi (...) il paesaggio è la prima immagine del mondo, dopo i volti familiari, che ognuno di noi si costruisce. (...) Nel paesaggio economia (le regole per il governo della casa e dell'ambiente) ed ecologia (le azioni, i pensieri e i linguaggi sulla casa e l'ambiente) tendono a coincidere e possono finalmente tornare a essere la stessa cosa». Il paesaggio è natura trasformata dalla tekné, dalla capacità di fare dell'uomo. Tekné nel significato che le dà Aristotele, un insieme inestricabile di arte ed esperienza. Il paesaggio è, appunto, "farfalle e bulloni". Senza giudizi di valore aprioristici. Esistono anche farfalle brutte, così come esistono bulloni che tengono insieme strutture belle. Certo vedere la natura deturpata è frequente, ma ciò non deriva dalla tekné, deriva da una carenza etica che a sua volta sta alla base di speculazioni economiche. L'articolo 9 della Costituzione italiana «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione»: è uno dei tratti più moderni dell'atto fondante della Repubblica, purtroppo appannato dal successivo coacervo di leggi e regolamenti contraddittori che – ignorati o applicati disonestamente – hanno permesso negli ultimi 50 anni oltre quattro milioni di abusi, circa 200 al giorno, periodicamente condonati. La frammentazione normativa spesso discende dalla pluralità discorde degli Statuti regionali. Lo Statuto del Piemonte, per esempio, non cita né il paesaggio né i beni culturali ma parla di «conservare e definire l'ambiente naturale». Oggi scienza e tecnica a molti paiono antitetiche alla tutela ambientale e ai "bei tempi andati". Ai nostalgici bisogna ricordare che l'arcadia da loro rimpianta è quella di un paese sottonutrito, minato da pellagra, tubercolosi e malaria, con l'80 per cento della popolazione analfabeta e una speranza di vita che nell'anno 1900 era di 45 anni, mentre oggi, grazie a scienza e tekné, siamo a 79 anni per gli uomini e 82 per le donne. Irrigazione razionale (Canale Cavour, 1866) al servizio dell'agricoltura, trasporti efficienti (il traforo del Fréjus, 1871), acqua potabile nelle case (legge del 1888), forza motrice elettrica distribuita capillarmente (a partire dalla fine dell'Ottocento), hanno reso possibile un radicale miglioramento della qualità della vita, ed è solo grazie a esso se oggi possiamo occuparci di ecologia e constatare che lo smog del "miracolo economico" si è dissipato. Alle spalle di queste trasformazioni ormai da guardare con distacco storico c'è il contributo decisivo della scienza e della tecnica piemontesi: Padre Beccaria, che nella seconda metà del Settecento introdusse lo studio dell'elettricità e fece una campagna di misure geodetiche sul territorio da Andrate a Mondovì; il matematico Luigi Lagrange, che contribuì a fondare il sistema metrico decimale; Amedeo Avogadro, che ispirò la fisica e la chimica moderne riscoprendo il concetto di molecola e di atomo; l'ingegnere Galileo Ferraris, che portò l'elettricità dai laboratori alle industrie. Ma anche il chimico Ascanio Sobrero, il biologo Giulio Bizzozero, il tecnologo autodidatta Alessandro Cruto, il fisiologo Angelo Mosso, il matematico Giuseppe Peano, ingegneri della metrologia come Gustavo Colonnetti e Mario Boella, fino a Sigfrido Leschiutta e ai suoi orologi atomici, usati per mettere alla prova la relatività di Einstein e far funzionare i sistemi di navigazione satellitare. E non dimentichiamo il torinese di adozione Ernesto Vallerani, uno degli uomini che hanno fatto di Torino una capitale della tecnologia spaziale. Tra tutti questi nomi, Galileo Ferraris è quello più presente nella nostra vita quotidiana. La corrente continua della pila di Volta aveva una controindicazione: è difficile farla arrivare a grande distanza. Cosa che invece diventa semplice trasformandola in corrente alternata, cioè tale che polarità e direzione si invertano decine di volte al secondo. Il motore elettrico a corrente alternata si deve a Galileo Ferraris e risale al 1885. Grande fu il contributo di Ferraris anche nel perfezionare i trasformatori e nel progettare le linee elettriche ad alta tensione: nel settembre 1884, alla presenza di una giuria internazionale, realizzò la trasmissione di energia elettrica da Torino a Lanzo, sulla distanza di 40 chilometri. Senza motori a corrente alternata, trasformatori e linee ad alta tensione il mondo moderno non esisterebbe. Ma Galileo Ferraris non si curò di chiedere brevetti. Voleva dare un contributo disinteressato al progresso dell'umanità. Risultato: Nicola Tesla si attribuirà l'invenzione del motore a corrente alternata. Il vero inventore era nato il 30 ottobre 1847 a Livorno Vercellese, ora Livorno Ferraris. Orfano di madre a otto anni, fece i primi studi presso uno zio medico e si laureò in ingegneria a 22 anni. Pare che l'idea del motore gli sia venuta a Torino mentre passeggiava sotto i portici di via Cernaia in una nitida giornata di sole. La scansione regolare delle colonne e delle loro ombre gli avrebbe suggerito la "gabbia di scoiattolo", il cuore del "motore asincrono a induzione". Sotto queste tre parole dal suono arcano si nasconde una delle macchine oggi più comuni. Motori a corrente alternata sono ben mimetizzati in vari elettrodomestici: tre nella lavastoviglie e altrettanti nella lavatrice, due o tre nel frigorifero, uno nell'aspirapolvere, uno nell'asciugacapelli, più quelli della cappa aspirante, quelli che fanno girare l'aria nel forno, quelli del frullatore e dello spremi agrumi. Per vent'anni docente di fisica al Regio Museo Industriale di Torino (embrione del futuro Politecnico), Galileo Ferraris fu anche un cultore dell'opera lirica. Morì di polmonite non ancora cinquantenne all'indomani di una rappresentazione di Sansone e Dalila. A buon diritto fabbriche, macchine e tralicci dell'alta tensione oggi fanno parte del paesaggio. Non lo deturpano, sono i "bulloni" che lo umanizzano.

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