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Cieli rubati, anche la luce può inquinare

In questo articolo, apparso sul numero 17 del 1987, Piero Bianucci rifletteva su un tipo di inquinamento che troppo spesso - ancor oggi - viene ignorato: quello luminoso. 

  • Piero Bianucci
  • Marzo 2023
  • Mercoledì, 22 Febbraio 2023
Immagine da Pixabay Immagine da Pixabay

Il cielo è l'altra meta del paesaggio. Sotto i nostri piedi c'è un pianeta formatosi quasi cinque miliardi di anni fa, sopra le nostre teste si apre uno sconfinato scenario di stelle, nebulose, galassie. Due aspetti della natura oggi minacciati.

Si parla molto, e con ragione, degli attentati all'ambiente che abbiamo intorno e sotto i piedi: l'asfalto e il cemento che invadono i prati, l'atrazina, il bentazone e il molinate che avvelenano l'acqua potabile, l'estinzione di centinaia di specie vegetali e animali, il peggioramento della qualità dell'aria e dei mari, l'eccessivo sfruttamento del terreno. Ma c'è anche un altro tipo di inquinamento, ancora quasi ignorato, ed è l'inquinamento luminoso del cielo notturno. Senza voler dire se sia più o meno grave degli altri, forse non è male riflettere un attimo sui suoi effetti. Annotava qualche tempo fa la scrittrice Anna Maria Ortese: «Quando si dice Natura, si tende a indicare, separandolo, ciò che germina da tutto ciò che non germina. Un albero, nella fantasia popolare, è Natura; una stella no». Ovviamente sono d'accordo con Anna Maria Ortese: le stelle sono Natura. Ma per vederle, e ancora più per vedere nebulose e galassie con il telescopio, come fanno astronomi dilettanti e professionisti, occorre una condizione elementare: il buio. Invece le città e le strade, ma ormai anche le campagne, sono sempre più illuminate, spesso molto più di quanto non richieda la sicurezza del traffico e della vita civile.

La società tecnologica tende a cancellare la notte, come se l'uomo moderno conservasse nel suo inconscio un'atavica paura del buio. Il risultato è che ci viene rubata la visione del cielo stellato. Le fioche luci dell'universo svaniscono in un eterno crepuscolo artificiale, e così va perdendosi quella «cultura del cielo», scientifica ed estetica, che un tempo portava tutti, anche i meno dotti, a conoscere bene le costellazioni, a orientarsi con le stelle, a «leggere», l'ora e la stagione con un semplice sguardo alla volta celeste.

A Tokyo per consentire ai giapponesi di vedere la Cometa di Halley, hanno spento per una notte tutte le luci. Non è servito a molto, perché la cometa era in ogni caso troppo debole per riuscire spettacolare. C'è tuttavia uno spettacolo che perdiamo regolarmente. Nelle nostre notti di città ormai non sono più di una dozzina le stelle che si riesce a vedere, anche quando il cielo è terso. E invece in un cielo buio dovrammo scorgerne circa duemila. Per non parlare della fioca Via Lattea, che è la nostra galassia, la nostra metropoli stellare.

Nessuno sembra accorgersi che il cielo stellato è una componente essenziale del paesaggio, non diversamente da una foresta, da un lago, da una montagna. Nessuno pare consapevole che il cielo è anche un aspetto importante della cultura. I ragazzi delle scuole medie leggono Omero e sentono parlare di «Orion che declinando imperversa», trovano in Dante nomi di stelle e di pianeti, studiano la geografia astronomica: ma poi non hanno praticamente la possibilità di vedere né Orione, né l'Orsa Maggiore, né la Stella Polare, nè i pianeti, nè tanto meno l'evanescente Via Lattea.

Per rendersi conto di che cosa sia un cielo stellato, ormai bisogna andare in certe regioni selvagge dell'Africa, nel deserto dell'Arizona, sulle vette delle Ande o in luoghi ancora più fuori mano. Persino Osservatori come quello di Monte Palomar ultimamente risultano disturbati dalle luci e dallo smog (in questo caso provenienti da Los Angeles); e infatti è proibito l'uso del telescopio da 5 metri quando l'inquinamento da smog supera un certo livello, per evitare che il pulviscolo si depositi sullo specchio. Tra l'altro lo smog incrementa l'inquinamento luminoso, in quanto le sue minute particelle in sospensione nell'aria diffondono ulteriormente la luce. In certi casi si sono prese le opportune precauzioni. Per esempio l'amministrazione della città di Tucson, in Arizona, a 50 chilometri dall'Osservatorio nazionale americano di Kitt Peak, ha emanato un'ordinanza per cui tutte le installazioni di luci all'aperto dal 4 settembre 1972 in poi devono essere schermate verso l'alto da un «cappuccio» che scenda al di sotto del centro della sorgente luminosa. E poiché sono sempre più diffuse le lampade a fluorescenza di vapori di mercurio, che emettono buona parte della loro energia nell'ultravioletto, la stessa ordinanza prescrive che quando più del 15 per cento dell'energia irradiata cade al di sotto di 44000 Angström si installi un filtro per ridurre a meno dell'un per cento il flusso ultravioletto.

Per strano che possa sembrare un extraterrestre potrebbe più facilmente convincersi che sulla Terra esiste una forma di vita intelligente osservando l'emisfero notturno del nostro pianeta piuttosto che quello diurno. Le modifiche portate dall'uomo all'ambiente sono tutto sommato modeste se viste dallo spazio. Persino i grandi laghi artificiali creati sbarrando fiumi con dighe gigantesche non potrebbero essere visti da un ipotetico astronomo marziano neanche con il più potente telescopio e d'altra parte metropoli come Londra, New York, Mosca e Tokyo, di giorno spiccano troppo poco rispetto al territorio circostante per essere visibili. Di notte, invece, il lato oscuro della Terra, in assenza di nuvole, appare come un delicato ricamo di punti luminosi corrispondenti alle città, e quindi direttamente proporzionali, almeno nei paesi tecnologicamente avanzati, alla densità di popolazione.

Immagini notturne di quasi tutta la superficie terrestre vengono riprese regolarmente dai satelliti meteorologici dell'Aeronautica degli Stati Uniti. Questi satelliti sono in orbita polare a 800 chilometri di quota e fotografano la Terra nell'infrarosso e nell'ottico con un telescopio da 12,5 centimetri di obbiettivo. Ogni quattro decimi di secondo il satellite esplora una striscia lunga tremila chilometri e larga tre. Thomas Croft, dell'Università di Stanford, ha utilizzato questo materiale per disegnare una mappa planetaria dell'inquinamento luminoso. Basta uno sguardo alle fotografie per rendersi conto che ormai pochissimi luoghi tra quelli accessibili sfuggono alle luci parassite. Tra le sorgenti più forti ed estese, a parte le città, ci sono gli incendi di gas in prossimità di pozzi petroliferi, gli incendi di foreste nel Terzo Mondo e, nei mari, le flotte dí pescherecci (quella giapponese emette più luce delle città americane!). Inutile dire che l'Europa è tra le regioni più intensamente inquinate da luci e smog.

In Italia, naturalmente, le cose non vanno meglio che in altri Paesi sviluppati. Uno studio compiuto anni fa dalla Specola Vaticana metteva già in evidenza come rimanessero nella nostra penisola pochissimi luoghi adatti all'osservazione astronomica. Oggi la situazione è nettamente peggiorata. L'illuminazione pubblica raddoppia in media ogni 10 anni e mancano totalmente norme che impongano una schermatura verso l'alto delle lampade o che regolino la lunghezza d'onda della luce da impiegare. Anche per questo il telescopio nazionale da 3,5 metri di apertura, che dovrà essere costruito con finanziamenti in gran parte già assegnati, non potrà trovare posto in Italia. Si è parlato dell'isola di La Palma, nelle Canarie, dell'Arizona, o addirittura delle isole Hawaii.

Quanto agli astrofili cittadini, potranno soltanto trasformarsi in esuli della notte e andare a cercare un po' di cielo veramente buio in alta montagna: sulle Alpi, in Lucania e in Sardegna - rivelano le fotografie dei satelliti americani - c'è ancora un cielo «da astrofili».

 

Piero Bianucci, nato a Torino nel 1944, già redattore capo scientifico de 'La Stampa', é autore di un considerevole numero di libri di divulgazione soprattutto in campo astronomico. Ha collaborato per anni con Piero Angela per la trasmissione Rai "Quark".

 

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