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Chi lascia la vecchia Via Aurelia tra Donoratico e Cecina, per salire verso Bolgheri e gli aspri colli della Maremma livornese, incontra un'immagine che tutti abbiamo conosciuto a scuola. «I cipressi che a Bolgheri alti e schietti / Van da San Guido in duplice filar / Quasi in corsa, giganti giovinetti / Mi balzarono incontro e mi guardar» ha scritto nel 1886 Giosuè Carducci, uno dei più celebri poeti italiani di sempre.
Fin dal bivio, e per cinque chilometri, i "giganti giovinetti" del poeta accompagnano nel rettilineo che sale alle mura e alla torre di Bolgheri. All'interno del borgo, dalla primavera all'autunno, centinaia (e a volte migliaia) di turisti passeggiano ogni giorno tra i ristoranti, le botteghe che vendono vino, olio e formaggi, le viuzze che si aprono all'improvviso verso i colli.
Molti visitatori si fermano per una foto di fronte alla statua di nonna Lucia, morta nel 1842 e sepolta nel piccolo cimitero del borgo, che compare più volte nella poesia. Accanto agli italiani sono inglesi, tedeschi, olandesi, e viaggiatori arrivati da ogni parte d'Europa e non solo. Per loro Giosuè Carducci non è un ricordo di scuola. Tutti, però, apprezzano che siano i versi di un poeta ad accompagnarli in uno degli angoli più belli della Toscana.
Quello di Castagneto Carducci, che include il viale dei cipressi e Bolgheri, è il fiore all'occhiello dei Parchi letterari italiani. Qui la storia di un grande personaggio della cultura (Carducci visse per dieci anni a Bolgheri, e per un altro a Castagneto), e una delle sue opere più note (Davanti a San Guido, scritta nel 1886 a Bologna), si fondono in maniera ideale con le architetture di due borghi che da allora sono cambiati ben poco, e con un paesaggio che è rimasto quasi immutato.
Offrono emozioni analoghe i due Parchi letterari che ricordano il pittore e scrittore torinese Carlo Levi ad Aliano e a Grassano in Basilicata, dov'era stato esiliato dal fascismo e dove scrisse Cristo si è fermato ad Eboli, una delle testimonianze più note sull'arretratezza del Mezzogiorno in quegli anni.
«Spalancai una porta-finestra, mi affacciai a un balcone, dalla pericolante ringhiera settecentesca di ferro e, venendo dall'ombra dell'interno, rimasi quasi accecato dall'improvviso biancore abbagliante - ha scritto Levi dopo essersi insediato nella sua piccola casa di Aliano. Sotto di me c'era il burrone; davanti, senza che nulla si frapponesse allo sguardo, l'infinita distesa delle argille aride, senza un segno di vita umana, ondulanti nel sole a perdita d'occhio, fin dove, lontanissime, parevano sciogliersi nel cielo bianco».
Altrettanto vere, e riconoscibili sul territorio, sono le immagini del Montefeltro, la parte più settentrionale delle Marche, che compaiono nell'opera di Paolo Volponi, scrittore e poeta (ma avvocato di formazione) nato a Urbino. Ne Le porte dell'Appennino, del 1960, compaiono la magia dei piccoli centri come Peglio («Queste case noi le abbiamo tutte abitate da centinaia d'anni per ogni lunga estate o breve, del tempo; vissute ed animate come membra e fiato delle nostre giornate»), e il rapporto più difficile che lo scrittore ha avuto con il capoluogo, soprattutto durante la Seconda guerra mondiale («La nemica figura che mi resta, l'immagine di Urbino che io non posso fuggire, la sua crudele festa, quieta fra le mie ire»).
In altri casi il rapporto tra i Parchi letterari e i territori che li ospitano è più tenue, e gli scenari si sono modificati non poco negli anni. Omero, l'autore dell'Iliade e dell'Odissea, è una figura la cui reale esistenza non è mai stata provata. Se fosse esistito davvero, il poeta legato alle isole dell'Egeo non avrebbe certamente visitato l'Agro Pontino, da Sperlonga al Circeo, dov'è nato il Parco letterario che lo ricorda.
È altrettanto arduo ritrovare, tra le industrie di Pomezia, l'aeroporto militare di Pratica di Mare e la disordinata edilizia balneare di Torvaianica i luoghi selvaggi dell'approdo di Enea, cuore del Parco letterario dedicato al poeta latino Virgilio (nativo di Mantova, però), e ambientato nella pianura al confine tra le province di Latina e di Roma.
Esistono parchi letterari "puntiformi" come quello di Sordevolo, presso Biella, che si riduce alla ottocentesca Villa Cernigliaro che servì da buen retiro a Franco Antonicelli, saggista, editore e antifascista nato a Voghera e vissuto a lungo a Torino, negli anni bui del ventennio e della guerra. Come quello di Anversa degli Abruzzi dedicato a La fiaccola sotto il moggio, una delle opere di Gabriele D'Annunzio. O quello di Valsinni, ai piedi del Pollino, dove visse una vita breve e infelice la poetessa cinquecentesca Isabella Morra.
Si ispira a un momento di dolore anche il Parco letterario di Ostia, dedicato a Pier Paolo Pasolini, qui assassinato nel 1975. Originario di Casarsa della Delizia, in Friuli, il regista di Il Vangelo secondo Matteo e Decameron era arrivato a Roma nel 1950, e aveva dedicato pagine a Ciampino, sulla via Appia, e al quartiere di Monteverde dov'è ambientato il romanzo Ragazzi di vita.
Differenze e confusione non sorprendono se si considera che i Parchi letterari italiani non sono stati creati dal Ministero dei Beni Culturali o da un altro ente dello Stato sulla base di criteri precisi – fama e caratteristiche dell'autore, rapporto tra il territorio e le sue opere, estensione –, ma sono una creazione individuale.
A farli nascere, negli ultimi anni del Novecento, è Stanislao (nel cinema si firma Stanis) Nievo. Viaggiatore, scrittore, zoologo dilettante, regista, è il bisnipote di Ippolito Nievo, lo scrittore e patriota friulano che partecipò alla Spedizione dei Mille e morì nella notte tra il 4 e il 5 marzo 1861, nelle acque del Tirreno, a seguito del naufragio del vapore "Ercole".
Nel 1974, a quarantasei anni, Stanislao Nievo dà alle stampe Il Prato in fondo al mare, una inchiesta in forma di romanzo sulla morte del prozio Ippolito che un anno più tardi vince il Premio Campiello. Nel 1976 il terremoto del Friuli, che devasta Gemona e molti altri piccoli centri, colpisce duramente il castello di Colloredo di Monte Albano, a lungo dimora dei Nievo, dove Ippolito scrisse Le confessioni d'un Italiano e altre opere.
L'angoscia per i danni causati dal sisma, le lentezze della ricostruzione, una lunga (e persa) battaglia legale per far rinascere il castello come luogo di memoria e cultura spingono Stanislao Nievo a riflettere sul rapporto tra la letteratura italiana in senso lato (prosa, poesia, saggistica, critica letteraria, teatro) e il territorio di un Paese che di testimonianze culturali è ricchissimo, e che spesso se ne dimentica.
È l'idea dei Parchi letterari, che prende forma in una serie di volumi curati dallo stesso Stanislao, e poi nella Fondazione Ippolito Nievo, costituita nel 1992 per «salvaguardare e promuovere l'anima di tanti piccoli paesi d'Italia, rendendoli protagonisti di una nuova economia». La proposta a centinaia di Comuni di fare dei loro territori delle «vere e proprie riserve di cultura» viene accolta con entusiasmo dalla critica e dalla stampa, ma trova dei problemi concreti sul territorio.
Alcuni Parchi letterari - oggi ne esistono diciassette - nascono con tutti i crismi, altri vengono istituiti senza un rapporto con la Fondazione Nievo. In decine di altri luoghi d'Italia il ricordo di artisti e scrittori viene promosso e tramandato senza riferimento ai Parchi letterari ufficiali e al suo ideatore. Quando nel 2006 Stanislao ci lascia, nemmeno intorno a Colloredo e al suo castello è nato un Parco letterario in memoria di Ippolito Nievo e dei suoi scritti. È l'ennesimo paradosso dell'Italia. Una terra ricchissima di natura e cultura ma che riesce a valorizzarla (e a valorizzarsi) solo in parte.