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Bisogna rompere il recinto

Marco Fratoddi dirige La Nuova Ecologia, il più antico mensile ambientalista italiano che del 1996 è diventato la rivista di Legambiente. Giornalista professionista, insegna Teoria e tecnica dei nuovi media e Scrittura giornalista alla Facoltà di Lettere dell'Università di Cassino e collabora con diverse testate. Data la sua visione europea dei temi ambientali, gli abbiamo posto alcune domande sullo stato "tipicamente italiano" del rapporto informazione e ambiente

  • Emanuela Celona
  • marzo 2010
  • Martedì, 30 Marzo 2010

Perché i parchi non vanno sui giornali? E in quali occasioni, invece, fanno notizia?
Innanzitutto perché gli enti non dedicano sufficiente attenzione alle strategie di comunicazione con la stampa. Mi sembra che preferiscano produrre materiali divulgativi e promozionali piuttosto che concentrarsi sulle relazioni con i mass-media. Così le aree protette finiscono sui giornali sulla base delle regole generali che governano la notiziabilità: quando emergono le inefficienze, quando vengono violati dai bracconieri o quando c'è chi protesta contro i vincoli. Tutte le volte, insomma, in cui se ne possa evidenziare la criticità.
Che cosa dovrebbero comunicare i parchi per attirare l'attenzione dei media?
Bisognerebbe giocare d'anticipo, cercare d'imporre notizie costruttive, che spieghino il ruolo virtuoso che le aree protette svolgono nel territorio. Per esempio raccontando le nuove professioni che si creano intorno alla manutenzione ambientale, la qualità dell'indotto turistico, i risultati sul piano della coesione sociale. Una strategia interessante potrebbe essere quella di comunicare le "alleanze inedite": proporre alla stampa le esperienze di collaborazione con i cacciatori, di valorizzazione delle colture locali insieme agli agricoltori, di sinergia con alcuni costruttori che propongono riqualificazione dell'esistente anziché nuove cubature... Rompere, insomma, l'idea che il parco sia assediato da categorie che lo vivono come un ostacolo proponendo ai giornalisti, e di conseguenza ai lettori, una logica spiazzante: il parco ha molti amici, costruisce alleanze con realtà apparentemente in contrasto con i propri obiettivi. Produrre il comunicato stampa però non basta, bisogna costruire la notizia, cercare l'eccezione alla regola e proporla come materiale notiziabile.
Dalla comunicazione fatta dai parchi si capisce a cosa servono oppure viene voglia di gettarli nel calderone degli "enti inutili"?
Ci sono diversi casi interessanti che restituiscono un'idea dinamica della gestione, sarebbe interessante studiarli per condividere con il resto della rete i punti di forza e di debolezza. Nell'immaginario generale, come dimostrano anche alcuni sondaggi, prevale però l'idea che il parco sia una "riserva indiana", gestita con nomine politiche, piuttosto che un'impresa pubblica territoriale. Fortunatamente l'ambiente protetto, grazie anche al lavoro delle associazioni, viene comunque percepito come un bene di valore da parte della collettività e questo lo preserva dagli attacchi di quanti vorrebbero ridimensionarne gli ambiti di tutela.
È possibile comunicare il territorio al di là dell'emergenza?
Certo, con un po' di fantasia. Sapendo che questo obiettivo non soltanto con i mass media ma attraverso una strategia integrata che deve guardare anche agli strumenti più innovativi. Per esempio un versante al quale le aree protette potrebbero dedicarsi è quello del social network, presidiando con la propria cultura le reti sociali, da Flickr alla Wikipedia, con il risultato di svecchiare la propria immagine e veicolare contenuti in direzione dei nuovi target.

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