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Comunicare l’ambiente al tempo dell’iperconsumo

Le difficoltà nel comunicare l'importanza dei parchi dipende dall'impossibilità di possederli, di trasformarli in merce, "sporcarli" e consumarli. Un'interpretazione originale per spiegare il deficit di "audience" delle aree protette

 

  • Erik Balzaretti
  • marzo 2010
  • Martedì, 30 Marzo 2010

Potrebbe sembrare un paradosso chiedersi oggi, poche settimane dopo la chiusura del vertice nominalmente dedicato ai temi dell'ambiente più inutilmente superseguito dai media, perchè si parla poco di ambiente o almeno perché se ne parla sui media e poco nella società reale. Eppure proprio questo esempio ci costringe a prendere atto, se ancora ce ne fosse bisogno, che l'ambiente e i suoi valori hanno uno spazio di agibilità sociale limitato dall'economia e dal modello di sviluppo. Quello che sta succedendo adesso è che l'ambiente è diventato una strategia di mercato evidente, che si può percorrere o meno, aldilà dei valori sostanziali e dei rischi per il Pianeta. Noi viviamo in un'area molto sviluppata e da qualche tempo il dibattito sull'ambiente, non solo in un'ottica di crisi, appare più presente sui media con una concomitanza quasi imbarazzante con l'approdo dei temi della salvaguardia dell'ambiente e della sostenibilità all'interno della comunicazione del mercato. La società occidentale è passata quindi da una consapevolezza tiepida figlia di un vero e proprio disinteresse mediatico, delegata a poche idee di valorosi ambientalisti e scienziati, a una società che non ha metabolizzato il tema ambientale in termini di scelta e di valori ma ne sta già consumando i cascami mercantili. È incredibile come i cittadini nella loro veste di consumatori, e non di soggetti sociali, siano diventati le possibili avanguardie dello sviluppo sostenibile e le aziende i cantori mediatici della nuova idea di un ambiente amico dello sviluppo e non ancora viceversa. In questa logica primeggia il consumo che produce politica e, allo stesso tempo, politiche di consumo. Quindi, tra ottimismo e pessimismo, i poli strategici di questo nuovo inizio millennio sono senz'altro l'ambiente e il consumo. L'ambiente trova la sua attenzione mediatica se inserito all'interno del sistema di sviluppo. Se ne sta fuori, diventa un elemento potenzialmente pericoloso per il sistema e quindi ne viene demonizzato ed espulso dall'area della comunicazione, di fatto facendolo scomparire come altri temi incredibilmente rilevanti quali la povertà e le disuguaglianze sociali. E ora, tracciato lo scenario senza il quale parlare di comunicazione e attenzione mediatica è solo un esercizio di stile fine a sé stesso, arriviamo ai parchi, alle aree protette e al loro deficit di audience pubblica. Si scorgono almeno due problemi di fondo che allontanano la società e i cittadini dai valori che innegabilmente sottostanno alla "vita relazionale" dei parchi. Il primo appare di natura, potremmo dire, filosofica e connaturata al modello di sviluppo, ai modelli di consumo e il relativo immaginario collettivo. Il secondo è di natura più squisitamente tecnica, legata alle strategie e agli strumenti del comunicare. Intanto bisogna dire che negli ultimi decenni il concetto di ambiente sempre di più si sta allontanando dal concetto di natura. L'ambiente nel tempo è divenuto un "concetto contenitore" di molte accezioni, tra le quali possiamo trovare anche quella di natura ma non solo, anzi moltissime altre si stanno sovrapponendo relegando, a torto o a ragione, l'equazione ambiente uguale natura incontaminata in uno spazio importante per l'immaginario ma relativamente trascurabile nella realtà. Si parla di ambiente in relazione ai rifiuti e alla raccolte differenziate o in relazione al tema dell'energia, delle catastrofi oppure in generale per il rapporto tra l'attività umana e il territorio. Nell'immaginario quotidiano collettivo e nella realtà i parchi sono quelli sotto casa, piccole aree verdi dove è possibile portare il cane per le sue deiezioni o farci jogging. Le aree protette, i parchi alpini o marini sono percepiti come zone distanti, ai margini della sfera del contemporaneo concetto di immaginario ambientale. La natura che queste aree preservano è percepita solo come immagine di un mondo che attiene all'evocazione narrativa oppure all'idea di natura cattiva e pericolosa che distrugge. Eppure la cosa che maggiormente trova ostacoli nella comunicazione dell'importanza "reale" dei parchi, quella "nominale" nessuno la mette in dubbio, è l'impossibilità di "possederli", di trasformarli in merce oppure di poterli sporcare, come richiama il filosofo francese Michel Serres nel suo saggio Il mal sano (Il Melangolo-2009), contaminandoli per dare il senso del possesso. In effetti, le aree frequentate maggiormente nei parchi sono quelle dove è permessa un'attività umana di consumo della natura in termini di fruizione del tempo libero, che lascia rifiuti e segni del passaggio e del seppur temporaneo possesso. Una natura che non è più ambiente e un'idea di possesso e di consumo che non si addice agli scopi per i quali sono nate le aree protette rendono estremamente difficile una comunicazione efficace perchè non basata su un immaginario "condiviso" tra offerta di natura e bisogno di consumo e possesso. Questo vale per il tema ambientale in generale e ancora di più per i "simboli" della natura da rispettare e salvaguardare.
Un secondo appunto va fatto, in termini generali, intorno alla comunicazione che esprimono queste entità aliene che sono i parchi. Negli anni si riscontra una sostanziale debolezza comunicativa sia dal punto di vista strategico sia da quello che riguarda gli strumenti da utilizzare. Il primo è senz'altro più importante, anche perchè il secondo discende direttamente dal primo. Cosa devono, se devono, comunicare i parchi e perchè? Quale cultura e su quale immaginario bisogna agire per affrontare un dialogo diretto con i cittadini-consumatori? La risposta a queste domande credo che sino a ora sia consistita in una forte dose di autoreferenzialità di fondo, segnale di un isolamento culturale e di una reale difficoltà di relazione e incapacità di costruire un grande racconto di interesse sociale intorno all'idea della salvaguardia della natura, e una discreta dose di non chiarezza negli obiettivi e nelle politiche che sottintendono ogni comunicazione. Nella situazione di scenario di cui abbiamo parlato tutto questo ha significato la non incidenza dei messaggi che il mondo delle aree protette ha sino qui deciso di inviare verso chi non è gia tradizionalmente attento al tema. La sedimentazione di decenni di non-comunicazione non aiuta la situazione. Se manca la strategia di comunicazione gli strumenti diventano irrilevanti ma è giusto anche dire che gli strumenti e la pianificazione dipendono in larga parte da risorse che non ci sono. Non ci sono anche perché nessuno avverte il bisogno che ci siano. Bisogna spezzare il circolo vizioso. Bisogna ripensare la comunicazione dell'ambiente, della natura, al tempo dell'iperconsumo.

 

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