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Il parco negli occhi del visitatore

Un luogo in cui recarsi per trarne "benefici" derivanti dal contatto con la natura e la contemplazione del paesaggio. È il risultato di una recente indagine condotta in sei parchi italiani: ne emerge un visitatore-tipo molto attento agli aspetti qualitativi della visita e favorevole all'introduzione di un biglietto d'ingresso

  • Salvatore Bimonte
  • marzo 2010
  • Martedì, 30 Marzo 2010

«Serit arbores quae alteri saeculo prosint (Pianta alberi che torneranno utili alla prossima generazione)». Questo verso di Cecilio Stazio, penso, racchiuda quello che si ritiene essere il senso più profondo del concetto di area protetta, ovvero: "mettere da parte" per il futuro. Investire nell'ambiente, naturale, storico-paesaggistico, culturale, affinché le prossime generazioni possano apprendere e goderne. Ma, a ben guardare, l'ambiente e, nello specifico, le aree protette, svolgono funzioni e forniscono beni e servizi intangibili utili anche alle generazioni presenti. Se la capacità di comprenderlo dipende dal proprio livello d'informazione e conoscenza, la capacità di goderne dipende dalle preferenze sociali e individuali.
Un qualsiasi oggetto diventa bene economico (risorsa) solo se è in grado di soddisfare un bisogno. Il concetto di risorsa è al contempo "funzionale" e "culturale". La percezione di qualsiasi risorsa non dipende dalle proprietà fisiche ma da un insieme di fattori che sono, al contempo, economici, tecnologici, psicologici e, in ultima analisi, culturali. Come afferma Mukaˇrovský «affinché i presupposti obiettivi di un oggetto possano farsi valere debbono trovare una risposta nella costituzione del soggetto». È, quindi, nella costituzione del soggetto, e nei valori che ne determinano le preferenze, che sta la chiave di lettura di molti problemi. È su di essi, quindi, che bisogna lavorare per risolverli.
In un'indagine condotta nei sei parchi italiani (Adamello-Brenta, Cinque Terre, Delta del Po, Maremma, Vesuvio, Alcantara) che hanno partecipato al progetto Europeo LIFE SelfPAs, Self-financing Protected Areas (progetto che, tra le altre cose, si proponeva di studiare il tipo di corrispondenza esistente tra gli obiettivi di un parco (oggetto) e il visitatore (soggetto) che lo percepisce), è emerso che il turista della natura, oltre a presentare un profilo socioeconomico diverso rispetto ad altre tipologie di turista (ha un'età, un reddito e una formazione più elevata), si distingue anche in attitudini e preferenze. La diversa sensibilità e i diversi comportamenti, più che dalle caratteristiche socioeconomiche, dipendono da quelle psicografiche. In altre parole, ceteris paribus: il turista della natura mostra una diversa struttura delle preferenze.
Nel nostro caso, per i visitatori intervistati, il parco costituisce "un beneficio" e "un'opportunità" per il territorio di riferimento e per la collettività. Per molti rappresenta un valore aggiunto tanto che, anche nei casi in cui la visita al parco non costituisce la ragione principale del viaggio, dichiarano che la sua presenza li ha influenzati nella scelta della destinazione. Ma il parco, per i visitatori, è anche un luogo in cui recarsi per godere di un beneficio che deriva dal passare un po' di tempo a contatto con la natura o a contemplare un paesaggio.
Per i visitatori, il godimento dei servizi prodotti dal parco, tipico esempio di "consumo non dissipativo", è fonte di benessere tanto che, per poter godere di tali beni non di mercato, essi sarebbero disposti a rinunciare a una parte del proprio reddito o a pagare un prezzo diverso per beni di mercato identici ma caratterizzati da un diverso livello di qualità ambientale (per es. l'acquisto di una casa in un'area incontaminata; un prodotto certificato dal parco): ne discende che un'area protetta contribuisce ad aumentare la ricchezza, almeno potenziale, dei possessori di tali beni. Il parco, quindi, genera esternalità pecuniarie (sia in termini di reddito aggiuntivo per i flussi turistici attivati che, per esempio, in termini di incremento del valore immobiliare) che andrebbero considerate qualora si volesse impropriamente equiparare i parchi ad imprese private.
Indipendentemente da questo, per una consistente percentuale di visitatori il parco deve rimanere fedele a quella che è la sua missione principale, cioè fare protezione e promuovere azioni di educazione ambientale. Solo pochi ritengono che il parco dovrebbe fare sviluppo turistico.
I visitatori sembrano essere consapevoli anche del fatto che i servizi forniti e le funzioni svolte da un parco hanno una dimensione eminentemente "pubblica", nell'accezione economica del termine, essendo beni non razionabili e non escludibili, e che la protezione, quindi, come suggerito dalla teoria economica, richieda l'intervento pubblico. Nonostante ciò, ritengono che le fonti di finanziamento non debbano essere solo di tipo pubblico, ma anche di tipo privato. Per questo, pur individuando nella fiscalità generale la principale fonte cui attingere, non escludono la possibile introduzione di un biglietto d'ingresso quale corrispettivo per il beneficio di cui godono i visitatori.
Lo stesso biglietto è considerato come possibile strumento per regolamentare gli accessi in un parco. La maggioranza dei visitatori ritiene che, oltre alle ricadute ambientali, un eccessivo numero di visitatori potrebbe rappresentare un disincentivo alla visita.
Dall'analisi, quindi, emerge un visitatore attento anche agli aspetti qualitativi della visita, un'attenzione che si estende alla qualità/integrità delle risorse visitate e dell'intero insieme di attività, anche quelle economico-produttive, del territorio di riferimento. S'impone, perciò, la necessità di prestare attenzione allo stato e alla qualità delle risorse di un'area protetta, e dei beni e dei servizi del territorio nel loro insieme. Ne discende l'esigenza di operare in un'ottica di sistema, uscendo da un approccio di tipo puramente concorrenziale per approdare a una visione di concorrenza cooperativa, vista anche la dimensione esperenziale (experience good) tipica del turismo che si esalta ulteriormente nei casi in cui la risorsa è fragile, individuabile e circoscrivibile.
Questo è tanto più vero e necessario per almeno due ragioni: primo, la maggioranza dei visitatori dichiara di aver scelto quella destinazione seguendo il consiglio di un amico; in secondo luogo, dall'analisi emerge che, ceteris paribus, la probabilità che un visitatore dichiari soddisfacente, rispetto alle aspettative, la propria esperienza di visita al parco, tende a diminuire in relazione al numero di giudizi negativi espressi sui servizi presenti sul territorio. Questa relazione è più evidente per i visitatori che hanno dichiarato che la visita al parco era lo scopo principale del viaggio. Da rilevare, inoltre, che la probabilità che l'introduzione di un biglietto o un suo aumento, ove esso già esista, sia ritenuto un disincentivo alla visita cresce al crescere del livello di insoddisfazione dei visitatori.
Queste considerazioni possono essere un buon punto di partenza per elaborare una più efficace ed efficiente politica (anche di comunicazione) dei parchi nella consapevolezza che se i simboli sono più reali delle cose che rappresentano (come sosteneva Lévi-Strauss), la sfida della protezione sarà vinta quando l'ambiente rappresenterà un "consumo" necessario, uno status. Allora, probabilmente, non avremo nemmeno più bisogno di parchi.

Gli utenti dei parchi

I dati dell'indagine riporati nell'articolo si riferiscono alla ricerca effettuata nel periodo luglio - settembre 2005 tra i visitatori dei sei parchi italiani: Adamello-Brenta, Cinque Terre, Delta del Po, Maremma, Vesuvio, Alcantara. Le aree protette coinvolte nella ricerca erano aderenti al progetto europeo LIFE III – Financial Instrument for the Environment , Self-financing Protected Areas (SelfPAs) che ha raggiunto l'obiettivo di acquisire una conoscenza finalizzata all'implementazione di idonee politiche di gestione e tutela delle aree protette. L'indagine è stata curata da Salvatore Bimonte e Caterina Pisani dell'Università degli Studi di Siena.

 

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