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Viaggio alla finis terrae sabauda

Sarà la Legge di Murphy, o non so cosa, fatto sta che il treno parte sempre dal binario più lontano...

  • Toni Farina
  • luglio 2010
  • Domenica, 4 Luglio 2010

Il viaggio in pillole
Necessari come minimo due giorni. Come minimo, perché non mancano certo i luoghi dove soggiornare senza limiti di tempo (splendida la Centovalli in bicicletta; info: www.vigezzina.com). Partenza al mattino di buon'ora per arrivare a Locarno a metà pomeriggio. Ritorno. Si consiglia la variante Domodossola - Novara con transito al Lago d'Orta. La ferrovia corre a balcone sul lago con scorci di indubbia suggestione. Citazioni tratte da Paesaggi della paura - Vita e natura nel medioevo, di Vito Fumagalli, ed. Il Mulino
E così si corre. Trafelati scansando viaggiatori e valige, tra annunci di ritardo e «ci scusiamo con i viaggiatori per il disagio». Ma alla fine il treno si prende, e il viaggio ha inizio. Per me, in realtà il viaggio è già iniziato da tempo. Come prospettiva almeno, ogni giorno alle 18 alla stazione di Porta Susa, quando, in attesa del mio treno pendolari, ascolto l'annuncio: «Treno 10421 per Domodossola in partenza al binario 3». Ogni giorno, cinque giorni alla settimana. Domodossola, il viaggio. Domodossola è ancora Piemonte? In ogni caso è un altro Piemonte. Domodossola come Punta Arenas, o Vladivostok. Un luogo alla fine della Terra. Finis terrae sabauda. È inevitabile: prima o poi, toccherà andarci.
Si cambia, a Santhià
Ma prima si attraversa per intera l'Area Metropolitana. Ma dove finisce? A San Mauro? A Settimo? A Chivasso? Arduo capirlo. Un'entità fisica che fagocita paesi e borgate, cascinali e campagna. Aiutata da paesi e borgate che si vanno incontro, si avvicinano, senza muoversi. Solo cascine e campagna se ne stanno immobili e si lasciano inghiottire. Chivasso è il limite (oggi). Lì si esce dalla forra di condomini e di schiere di casette, drappelli di guerrieri di una guerra già vinta contro i campi, contro l'aria. Dopo Chivasso però si respira. E si vede il Po, sodale di un frammento di viaggio. Sodali dell'intero viaggio sono invece le Alpi. Brezze permettendo sfilano a settentrione, prima le Graie di Lanzo e poi dell'Orco, le cime del Gran Paradiso canavesano. Dal Gran Paradiso valdostano, e dalle altre montagnes de la Vallée, giunge l'acqua della Dora, più meno cerulea a seconda della stagione. Il tempo di un ponte, di un saluto, e la si intuisce sfilare tra infiniti pioppeti verso il Po, verso il suo alveo accogliente. Scorre ai piedi del Monferrato, il Padre dei fiumi italiani. Rende omaggio ai castelli sul crinale, fiume in un mare di riso, un "mare a quadretti". È la pianura. Dove un tempo erano foreste di querce, popolate da cervi e orsi, ora lo sguardo si perde tra alberi di acciaio, tralicci e tralicci e pochi, solitari ontani. Ma la natura riserva sorprese, si adegua, le risaie sono anche luoghi di vita animale, in primavera migliaia di uccelli trampolieri vi sostano durante il viaggio verso i luoghi di riproduzione. Queste zone d'altronde erano un tempo coperte da boschi e paludi: «Di tali foreste abbondava la Pianura Padana, soprattutto lungo il corso del Po e degli affluenti maggiori, e si stendevano sempre più larghe verso il mare, finendo spesso in vasti specchi d'acqua cosparsi di canneti».
Santhià, si cambia
Da un treno a un trenino. Il cambio di mezzo è anche un cambio di stato d'animo, lo confermano i compagni di viaggio, più distesi, come se la lontananza dalla città consentisse altri ritmi. Si va, partenza lenta, e lento andare. Trenino diesel, motrice che sbuffa, esala aromi da corriera d'antan. E d'antan è il saluto: «Benvenuti a bordo del treno 4859 per Arona». Si va, barra a nord est, sulla rotta degli uccelli migratori, tra paesaggi finalmente più liberi. Brandelli di natura, ultimi e preziosi, ultime garzaie: Villarboit, Carisio, acqua dell'Elvo, acqua d'oro, aironi e garzette e cercatori. Elvo: il Klondike piemontese, acqua delle Alpi biellesi, Mucrone e Monte Mars, paggi di sua maestà il Monte Rosa. Colma l'orizzonte a settentrione la seconda montagna alpina, veleggia sopra ai tetti dei paesi, un grande veliero in perenne bilico tra bonaccia e burrasca. La pianura mostra segni di cedimento, dossi morenici ne sospendono la continuità. Filari di alberi, querce e carpini, subentrano ai tralicci, prati irrigui subentrano alle risaie.
Savana piemontese
«Solitudini cominciarono allora a essere definiti sconfinati territori, coperti da foreste o disseminati dalla povera vegetazione delle brughiere o dalle erbe delle steppe.» Baragge: dopo le garzaie, ecco altri e più vasti spazi di naturalità. Residui di ambienti che un tempo facevano da piede alle Alpi in tutto il nord della regione, sopravvissuti e oggi saggiamente tutelati. Un sincero grazie al trenino che si infila tra quinte di felci e betulle. È la baraggia di Rovasenda, non pare Piemonte ma Africa, "savana vercellese". Gattinara, porta della Valsesia, al limite fra il piano e le prime alture che obbligano il trenino a interrompere la retta e a farsi corriera sul serio. L'andare si fa sinuoso e, con una prima ansa, si va ad attraversare la Sesia. Al mattino e alla sera, con brezza di valle, se ti affacci a maestrale puoi sentire l'aria dei ghiacciai che il fiume porta al piano, a lenire le torride estati padane. «Scusi, può chiudere il finestrino?». «Abbia pazienza, il tempo di un alveo, di un ponte...». Il tempo di chiudere ed è Romagnano. Ed è di nuovo baraggia: Piano Rosa, dove con un po' di fantasia puoi vedere leopardi e gazzelle tra l'erba alta, con Ruwenzori e Kilimanjaro sullo sfondo. Un sogno breve, ma la realtà qui non è da meno: lepri e sparvieri li puoi vedere davvero, e sullo sfondo, fra roveri e betulle, c'è il Monte Rosa. Che in certe albe e tramonti di novembre non fa rimpiangere l'Africa. Borgomanero. Sulla congestionata piana bagnata dal Torrente Agogna scende l'aria del Cusio, leggera, malinconica aria di lago. E verso un lago è diretto il trenino, attraverso colline in anarchica sequenza e gallerie che rubano a tratti la luce. Quando riappare, la luce è diversa, è malinconica luce di lago Maggiore.
Arona, stazione di Arona
C'è tempo per un caffè. Ci sarebbe tempo, se in questa "turistica" stazione di questa turistica località ci fosse il bar. C'è una pettinatrice, c'è un'esotica araucaria sulla piazza ma il caffè è lontano e il treno per Domodossola incombe sul binario 4. «Il treno 20226 per Domodossola viaggia con 15' di ritardo, ci scusiamo per il disagio». Ci stava pure il caffè! Il disagio però è breve, e il treno nuovamente lungo. Treno che ora punta a nord alternando gallerie a fuggevoli vedute sull'acqua placida – e malinconica – del lago. Il viaggio ora è un film proiettato da un operatore bizzarro, dispettoso. Stresa, Isole Borromee, e quel ramo del Lago Maggiore che volge a mattino, a Locarno... Verbania. Dove l'acqua del Toce si fa lago e concede un lembo di natura vera: Riserva naturale del Fondo Toce, essenziale opportunità di "soggiorno" per i molti viaggiatori alati in migrazione sulla rotta del Ticino. La Riserva ospita gli ultimi canneti, residui di quelli che un tempo disegnavano quasi per intero le rive del lago. Il passaggio del Toce è la porta dell'Ossola. Sedersi sul lato destro del vagone, prego. Per apprezzare Mergozzo e il suo lago, proroga di gentilezza prima di addentrarsi in questa valle così profonda e rude, così granitica. Mergozzo, lago discreto, appartato, vicino ma distante dal caotico fratello Maggiore. La bassa Ossola è una forra, per vedere il cielo dal finestrino c'è da ledersi le cervicali, ma ne vale la pena: i Corni di Nibbio si alzano di botto a sfidare il cielo e a proteggere la Val Grande e la sua natura incalzante. La sede del Parco nazionale è a Vogogna, piccolo gioiello medievale riconoscibile grazie al castello arroccato ai piedi della montagna. Cambiare lato, prego. Per cogliere l'infilata della Valle Anzasca con la parete est del Monte Rosa, remota e lucente. Tutt'altro che remota è Domodossola, Domo per gli habitué. Domo e la sua conca, parentesi di spazio circolare con le valli che partono a raggiera. Bognanco, Formazza, Vigezzo... Domodossola, Finis terre sabauda, la fine del viaggio merita un premio. Il premio ha il nome di Vigezzina, che già pronunciarlo è bello. Sa di montagna, di piccoli paesi, di cioccolato. Impossibile resistere.
Non hanno fretta i viaggiatori della Vigezzina
Parlano molte lingue e viaggiano incollati al finestrino. Per molti il trenino è una giostra, e l'intorno un diorama. Si va a oriente. L'ingresso della Val Vigezzo è invitante, promette piccole meraviglie. Si sale a Trontano e poi tra boschi e vigneti con la conca di Domo che sgrana le sue valli. L'occhio passa dal mondo glaciale e lontano del Fletschorn e della Weissmies al mondo piccolo delle piccole case dai tetti di piode. Si viaggia nella Contea degli Hobbit. La colonna sonora è ferro su ferro, cigolio metallico, tranquillo e confortante. Si sale in lunghi tornanti (un treno a tornanti) e si entra nella valle, nel suo lato in ombra. A Druogno è fatta, inizia la piana e il treno "fila" verso Santa Maria Maggiore e Malesco, verso Re e il suo santuario, sul lato opposto della valle. Una valle strana, Vigezzo, un corridoio verso la Svizzera. Il confine è a Ribellasca e lo capisci non per le guardie ma per il diverso timbro degli annunci, marziale: Camedo, Intragna, Pontebrolla. Oltre confine la Vigezzo prende il nome di Centovalli e ti chiedi il perché, visto che le valli confluenti sono solo due. La ragione sta nella geologia: Centovalli è una gola, il treno sta appeso alla roccia, viaggia su ballatoi, da una parte il burrone dall'altra le vigne, case e orti appesi alla montagna. Paese degli Hobbit, treno degli Hobbit. A Intragna il mondo torna grande e là in fondo si vede il Lago Maggiore, quel ramo del Lago Maggiore.
Locarno! Stazione di Locarno!
Il timbro marziale dell'annuncio non lascia scampo: arrivati, si scende. Scendi... e non trovi "fiori diversi" (bello De Gregori), ma un diverso rispetto quello sì: il tempo di uscire dalla stazione, e intanto che sei lì a riflettere su quale direzione prendere, ignaro davanti a una zebrata (perfetta: le ridipingono tutti i giorni invisibili omini) un'auto si ferma, e ti tocca attraversare. Rispetto del pedone dunque, e del treno-viaggiatore. Nella Terra dei cantoni i treni sono un'istituzione, al pari dell'Emmental e del cioccolato con l'effige del Cervino. E dei gabinetti delle stazioni: quello della Vigezzina a Locarno pare una farmacia. È un piacere approfittarne, del gabinetto e del cioccolato. Approfittare per un'oretta almeno di quell'ordine, così noioso, ma così rassicurante: i marciapiedi senz'auto parcheggiate, non una carta in terra (le tolgono in continuazione invisibili omini), la postazione digitale alla stazione con orari e binari. Funzionante, ancora funzionante (l'avranno certo installata un'ora prima). Ora però basta con questi scontati confronti, basta con l'esterofilia, «W l'Italia... L'Italia dimenticata e l'Italia da dimenticare». W l'Italia e il suo essere paese eternamente esotico, ideale per viaggiare senza annoiarsi mai. La Vigezzina risale, sferraglia sinuosa incontro al tramonto.

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