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La parola ai fossili

Quando le tracce del passato rivelano l'antico quadro ambientale e climatico del Monferrato

  • Claudia Pezzetti
  • gennaio-febbraio 2012
  • Sabato, 7 Gennaio 2012


di Claudia Pezzetti

LO STUDIO DEI MICROMAMMIFERI Rapaci e altri uccelli accumulano resti di micromammiferi nei propri nidi o vicino alle fratture di una roccia: questi, cadendo nella spaccatura, possono essere trasportati dall'acqua permettendo la formazione di una breccia carsica riccamente fossilifera (come a Moleto). Nel XIX secolo francesi e inglesi intrapresero per primi lo studio dei micromammiferi, e dalla metà del XX secolo le tecniche di studio si sono rapidamente evolute. Lo studio è basato in primo luogo sull'analisi dei denti, in particolare di molari e premolari, perché lo smalto è costituito da apatite pura ed più resistente rispetto alle altre ossa. I denti permettono la determinazione dei resti di micromammiferi e sono utili perché aiutano lo studioso a risalire alla dieta dell'animale (per esempio, molari con la corona alta appartengono a animali che si alimentano di cibi coriacei). Si tratta di un'informazione molto importante nel caso dello studio di una specie estinta della quale non si conoscono direttamente le abitudini. Un altro elemento in favore dei micromammiferi è che nel record paleontologico i loro resti sono più abbondanti rispetto a quelli dei macromammiferi, per via del veloce ricambio generazionale e della vita breve. Il conteggio dei molari, inoltre, permette di effettuare accurate analisi statistiche delle popolazioni. C. P.

Il turista di passaggio nel Monferrato oggi può vedere le dolci colline che si inseguono tra loro a perdita d'occhio. Qui e là un casale di pietra, una chiesa in mezzo ad un prato, un paese arroccato su un rilievo, circondato da vigneti. Tuttavia, le colline del Monferrato non sono sempre state così come le vediamo oggi. Basti pensare che qui molto tempo fa c'era il mare. Anziché il paesaggio che vediamo ogni giorno, che cosa avremmo trovato? Per rispondere a questa domanda, possiamo cercare dei documenti o delle vecchie fotografie dei nostri nonni. Se vogliamo invece andare ancora più indietro nel tempo per conoscere una storia più antica, dobbiamo cercare una documentazione molto più remota. Esistono documenti che permettono di leggere storie vecchie milioni di anni, che parlano di mondi antichi e lontani: le rocce. Le rocce conservano memoria di situazioni ambientali diverse da quelle attuali, che possono essere comprese da chi presta loro ascolto con attenzione. In certi tipi di rocce sono conservati i fossili, resti di organismi vissuti in un passato remoto, oggi trasformati in pietra. I fossili sono dei veri e propri "archivi", custodi di molte informazioni sull'evoluzione del territorio. Nell'area del Monferrato orientale la roccia più diffusa è la Pietra da Cantoni: una roccia di colore bianco o giallo pallido, avente età di circa 20 milioni di anni, che contiene fossili tipici di ambienti marini. Se cerchiamo con attenzione, possiamo trovare molluschi, ricci di mare, coralli, denti di squalo, alghe verdi e rodoliti (masse tondeggianti di alghe calcaree prodotte durante il rotolamento ad opera delle correnti marine). I fossili ci raccontano che qui una volta c'era un braccio di mare profondo circa 60 metri, con acque limpide, agitate e povere di sedimenti provenienti dal continente. La Pietra da Cantoni è preziosa non solo perché racconta storie antiche, ma anche perché è stata utilizzata come materiale da costruzione o per la produzione di calce e cemento; il Duomo di Casale Monferrato e la sede dell'Ecomuseo della Pietra da Cantoni a Cella Monte sono stati costruiti usando proprio queste rocce. L'area monferrina è ricchissima di cave, anche se tutt'oggi nessuna è più attiva. In una ex-cava di Moleto, una frazione di Ottiglio Monferrato (Alessandria), sono stati di recente scoperti vertebrati fossili terrestri. La particolarità sta nel fatto che questi resti non si trovano nella roccia, ma si rinvengono nelle sabbie che riempiono alcune spaccature della Pietra da Cantoni. Per capire come questo reticolo di fessure si sia formato è necessario approfondire la storia geologica e le caratteristiche della Pietra da Cantoni. Si tratta di una roccia tenera e friabile, per questo quando il mare si è ritirato da questa porzione di Monferrato e l'area è emersa, la Pietra da Cantoni è stata erosa dagli agenti atmosferici e si sono formate le fratture. A partire dal Pleistocene superiore (circa 780 mila anni fa) in queste spaccature cadevano periodicamente piccoli animali, trasportati poi dall'acqua che scorreva nelle cavità. I loro resti si sono accumulati via via andando a costituire sedimenti ricchi di vertebrati fossili continentali. L'acqua circolava nelle fratture, infatti è stata ritrovata Pseudavenionia pedemontana, un piccolissimo mollusco d'acqua dolce che vive ancora oggi negli habitat ipogei, come ad esempio nella Grotta di Bossea (Cuneo). Gli accumuli di fossili di questo tipo e di questa età sono piuttosto rari in Piemonte, per questo sono così importanti da segnalare. Ma perché se nelle spaccature si ritrovano resti di rettili e in misura minore di uccelli, lo studio è volto in primo luogo ai mammiferi, e in particolar modo ai micromammiferi? I micromammiferi danno indicazioni molto più precise sul clima e sull'ambiente. Gli stadi climatici estremi sono due e i micromammiferi possono rispecchiare uno stadio glaciale (freddo) e uno stadio interglaciale (caldo). La fauna "calda" mostra un'alta varietà di specie e una complessa struttura comunitaria di strategie nutrizionali e spaziali; al contrario, la fauna "fredda" mostra una bassa varietà di specie e una struttura semplice della comunità. Entrambe dipendono dall'ambiente vegetale: nella fauna "calda" prevale un ambiente forestale con variazioni climatiche moderate, in quella "fredda" prevalgono gli spazi aperti dove i cambiamenti di temperatura e umidità sono più pronunciati. È curioso osservare come il turn over faunistico tra un periodo glaciale e uno interglaciale sia rapido e improvviso, mentre una comunità appartenente ad un periodo caldo si disgreghi con lentezza andando verso un peggioramento climatico. A Moleto sono stati ritrovati resti di macro e micromammiferi. Nel caso dei macromammiferi, dopo lo scavo, le ossa sono state portate in laboratorio, ripulite e "determinate", arrivando cioè alla definizione del genere e della specie dell'animale. Nel caso di micromammiferi, il sedimento raccolto sul terreno viene portato in laboratorio, lavato con acqua attraverso una batteria di setacci a maglie sempre più fini per non perdere nessun frammento (il premolare del ghiro è lungo 1 millimetro). Una volta asciugato, il sedimento rimasto intrappolato nel setaccio viene vagliato con il microscopio e i fossili isolati dal resto con pinzette e molta pazienza. Una volta determinati tutti i fossili si procede con l'analisi paleoecologica, che consiste nel ricercare le informazioni ambientali fornite dalle specie considerate. Tra i fossili di Moleto si trovano specie adattate a climi freddi e spazi aperti, come l'arvicola agreste (Microtus agrestis) e l'arvicola campestre (Microtus arvalis), oggi entrambe assenti in Piemonte; specie adattate a climi caldi, quali la crocidura ventrebianco (Crocidura leucodon) e il toporagno alpino (Sorex alpinus). Questi ultimi due danno anche indicazione rispettivamente di ambienti aridi e umidi. Si trovano specie adattate a spazi chiusi, quali lo scoiattolo comune (Sciurus vulgaris), il ghiro (Glis glis), il moscardino (Muscardinus avellanarius), l'arvicola rossa (Clethrionomys glareolus), il topo selvatico (Apodemus sylvaticus) e il topo selvatico dal collo giallo (Apodemus flavicollis). Nelle fratture sono inoltre state ritrovate l'arvicola sotterranea (Microtus (Terricola) subterraneus) che oggi non è più presente in Piemonte e l'arvicola di Fatio (Microtus (Terricola) multiplex) attualmente assente nell'area monferrina. I fossili rinvenuti nelle spaccature della Pietra da Cantoni sono dunque riferibili al Pleistocene superiore, in un intervallo compreso tra 135 mila e 35 mila anni fa. L'analisi paleoecologica indica che le specie vivevano in un ambiente relativamente fresco e piuttosto chiuso, simile alle attuali foreste temperato-fresche. Ecco come, partendo da piccoli indizi sparsi, prestando orecchio alle rocce e ai fossili siamo riusciti a dipingere un quadro abbastanza preciso degli antichi paesaggi, che sono la "chiave" per arrivare a interpretare e capire il mondo dove viviamo oggi.

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