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Le spade della fertilità

La piccola Fenestrelle, oltre alle superbe fortificazioni ed agli invitanti paesaggi montani, custodisce un tesoro millenario: il Bal da Sabre, ovvero la danza delle spade

 

  • Bruno Usseglio
  • gennaio 2010
  • Giovedì, 28 Gennaio 2010

Risalendo la valle del Chisone, giunti a Fenestrelle, lo sguardo del viaggiatore, anche quello più distratto è catturato dalla gigantesca cascata di muraglioni traforata da una moltitudine di cannoniere e feritoie che costituisce le fortificazioni settecentesche più imponenti d'Europa. Questo straordinario complesso è stato eretto col lavoro di migliaia di mani capaci di dare forma a pietre, ferro e legno, un caleidoscopio di professionalità e capacità ormai quasi perdute. Al posto delle sentinelle di guardia, oggi si trovano i collaboratori dell'Associazione San Carlo che, prendendo per mano il turista, lo conducono alla scoperta del ciclope fortificato con visite che durano anche per un'intera giornata.
A chi poi si avventurasse sul far della sera nelle stradine del borgo, potrà capitare improvvisamente di sentire vibrare nell'aria fresca dell'imbrunire un suono cadenzato simile a una marcia militare; il rullio dei tamburi tuttavia non proviene dal vicino forte, come si potrebbe pensare, ma proprio dall'abitato. L'interessato visitatore, se si lascia condurre dalla propria curiosità, si potrà avvicinare al luogo dove le grancasse suonano. Qui potrà vedere diversi adulti, giovani e bambini eseguire strane figure e movimenti acrobatici, uniti tra loro attraverso sottili attrezzi luccicanti; un mondo pressoché incomprensibile e arcaico si apre davanti agli occhi del nuovo venuto.
Oggi è possibile assistere liberamente alla rappresentazione in atto, ma un tempo non era così: riprendendo quanto scritto da Estella Canziani a inizio del XX secolo si scopre che «dopo che tutte le porte e tutte le finestre erano state accuratamente chiuse per tener lontani l'aria e i curiosi, si diede principio alla danza». Davanti alla scrittrice si stavano infatti esibendo diversi giovanotti fenestrellesi «che l'avevano appresa da venti anni, quando essi non ne contavano che cinque o sei, spiando pel buco della serratura di una certa porta dove erano soliti eseguirla degli uomini già vecchi, finché giunsero ad impararla anche loro». Ora allo spettatore tutto è chiaro: quelle figure e quei movimenti rappresentano una danza armata, un ballo delle spade. Da quanto descritto dalla Canziani emerge inoltre che un tempo la conoscenza e la pratica della danza delle spade facevano parte molto probabilmente di un rito di passaggio fra classi di età di una stessa comunità. Attualmente invece è la stessa comunità che insieme si diverte, si confronta e si trova unita nella rappresentazione di questo antico rito. Si tratta infatti, secondo l'ipotesi più accreditata, di una manifestazione esteriore di una cultura arcaica che trova le sue origini in un tempo precristiano, dove il contatto con l'ambiente circostante era quotidiano con significati concreti di vita o di morte. È in questo contesto che si andrebbe a inserire la danza delle spade, sinonimo di un rito collegato alla fertilità della terra, alla ciclicità del tempo agreste che ripete anno dopo anno gli stessi gesti vivendo le stesse fatiche e le stesse speranze nell'attesa che il Sole faccia maturare i prodotti necessari all'esistenza delle comunità. Questi aspetti vengono sottolineati dalle varie figure che di volta in volta gli spadonari compiono: i movimenti circolari che si rifanno al culto solare, la figura dell'arlecchino che, circondato al collo dalle spade, sembra morire per poi rinascere a nuova vita così come è necessaria la morte dell'inverno per introdurre la primavera, il ritmo della danza stessa, ripetitivo, con un'alternanza di movimenti lenti e veloci ricorda la ciclicità del tempo agricolo. Rifacendoci nuovamente a quanto riportato dalla Canziani «tutti gli esecutori si dispongono su due file e tutti pestano per tre volte, colla punta della spada, sul suolo». Sembra di assistere allo sfalcio dei prati, movimento propiziatorio per una buona annata agricola.

Grazie sempre alla stessa autrice si scopre che la danza veniva svolta alla fine dell'inverno; la Canziani ricorda come gli spadonari «durante il carnevale, si divertono andando in giro pei diversi villaggi a dar saggio della loro abilità e i giovani vengono a gara con loro». Filippo Seves, studioso di fine Ottocento delle tradizioni locali, conferma quanto prima descritto, riportando inoltre nella sua preziosa testimonianza come fra i divertimenti carnevaleschi il più originale e suggestivo era il ballo delle sciabole che da tempo immemorabile si costumava con grande spasso dei fenestrellesi negli ultimi tre giorni carnevaleschi». Il ricercatore narra come si svolgeva la festa: «Il corteo, preceduto dal rullio del tamburo, percorreva, tra due ali di curiosi, la via principale della città e, dopo questo tradizionale giro, si dirigeva verso la piazza gremita di pubblico accorso anche dalle vicine borgate». La folla presente ascoltava poi l'arlecchino con i suoi aneddoti, le trovate spiritose, le allusioni indirizzate a questo o a quel compaesano «di cui sapeva cogliere qualche lato debole o ridicolo, narrando un saporito aneddoto di cronaca locale». In questo passaggio sembra quasi di cogliere nel rito un aspetto di "purificazione" della vita comunitaria nella quale le tensioni paesane venivano parzialmente risolte attraverso la satira in piazza. Il Seves continua nella sua descrizione della danza arricchita dalla presenza di un albero (oggi si usa un palo): «ognuno di essi prendeva in mano il capo dei nastri che pendevano dal tronco; a un segnale del tamburo una parte di essi giravano in un senso, l'altra parte nel senso opposto, fino a che il tronco era avvolto dai nastri che, pur sovrapponendosi, non si aggrovigliavano e venivano a prendere la forma di una lunga treccia». A portare il palo è la figura del Turco individuabile dalla mezzaluna che adorna il suo copricapo. Questo personaggio dimostra come il ballo delle spade, espressione di una più radicata e profonda cultura agreste, sia vivo, disponibile ad arricchirsi durante il suo percorso storico di nuove figure e significati. Il Turco sarebbe infatti un'aggiunta ascrivibile alle incursioni saracene che alla fine del X secolo interessarono anche il territorio delle Alpi Cozie incidendo non poco nelle rappresentazioni collettive dei secoli successivi (leggende, storie, modi di dire, maschere carnevalesche, toponimi, ecc). Allo stesso modo la figura dell'Araldo (o gendarme) è quasi sicuramente da attribuire a un periodo storico più recente. E oggi, anche per permettere una positiva trasmissione dell'antica tradizione, il ballo vede la presenza di diverse fasce di età mentre il periodo della sua rappresentazione è traslato di diversi mesi tenendosi in Fenestrelle il 25 agosto durante i festeggiamenti di san Luigi IX, Santo a cui è intitolata la chiesa parrocchiale del luogo. In questa occasione le ragazze già dal mattino presto preparano il pane adornandolo con fiori multicolori. Le donne indossano il costume tradizionale e insieme agli spadonari sfilano a metà mattinata, per le vie del paese, raggiungendo la chiesa dove, durante la funzione religiosa, il pane viene benedetto. Quest'ultimo viene poi solennemente distribuito alla fine della messa. Al pomeriggio la festa continua con la rappresentazione del Bal da Sabre e con i balli locali danzati dalle ragazze. Da oltre cinquant'anni, infatti, accanto al gruppo maschile degli spadonari, si è affiancato un gruppo femminile che mantiene viva, attraverso il simbolismo del vestito tradizionale fenestrellese, l'importanza della donna nella comunità agreste di montagna.
Terminata l'osservazione, avvenuta certamente non attraverso il buco di una serratura come i bambini di un tempo, ma magari battendo leggermente il piede a terra, seguendo il ritmo dei tamburi, il viaggiatore, soddisfatto della scelta di fermarsi la sera in quel di Fenestrelle, ritorna silenziosamente sui suoi passi, conscio dell'importanza e del valore per la comunità locale del Bal da Sabre.
Gli spadonari continueranno a provare le movenze della danza per tutto l'anno in modo da poter dare ancora una volta, nel mese di agosto, come scrisse il Seves, «bella prova delle loro snellezza e abilità».
Altri riti carnevaleschi
Durante il carnevale, a Fenestrelle e nelle comunità vicine, è documentato fino alla fine dell'Ottocento il gioco del "taglio del pollo". L'animale sacrificale era legato testa in giù a una corda. I contendenti, a dorso di muli e asini, si sfidavano bendati nel tentativo di tagliare la testa del pollo con una sciabola. Una variante consisteva nell'interrare l'animale lasciando fuori solo la testa. In quel caso i partecipanti bendati procedevano a piedi. La sera, terminato il gioco, si festeggiava in osteria mangiando l'animale mozzato.
Riguardo alla tradizione saracena, alcuni ipotizzano l'esistenza, un tempo, del processo al saraceno. Costui, dopo il corteo carnevalesco per le vie cittadine, veniva processato e purificato da tutti i suoi peccati.
Si segnala inoltre quanto già indagato da Diego Priolo riguardo Mentoulles (frazione di Fenestrelle), dove un uomo durante il carnevale veniva mascherato da orso, incatenato, dileggiato e bastonato durante la sfilata.

Per saperne di più:

Seves F., Divertimenti carnevaleschi nella Valle del Chisone, manoscritto databile 1894
Canziani E., Piemonte, 1913
Piton U. F., La joi de vioure de ma gent, GB Grafica Valchisone 1985
Grimaldi P. (a cura di), Le spade della vita e della morte, Omega Edizioni, 2001
www.vecchiopiemonte.it
www.atlantefestepiemonte.it

 

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