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Clarin, Armonis, Violoun...

La tradizione non è mai immutabile, così come gli organici strumentali della musica popolare delle Valli che negli ultimi 50 anni hanno subito inevitabili trasformazioni.

  • Dino Tron
  • marzo 2012
  • Domenica, 18 Marzo 2012


Le valli che si aprono a ventaglio sulla pianura piemontese si caratterizzano per una grande ricchezza di ambienti naturali, dialetti, feste e naturalmente musica e strumenti. Feste del Patrono, veglie, Bahio, Beò, Festa delle Leve sono solo alcuni degli innumerevoli momenti cerimoniali che hanno scandito e regolano oggi il trascorrere del tempo festivo di queste terre, in cui la musica ha sempre rivestito una grande importanza. Pratica musicale e un'"estetica" strumentale che, ispirandosi alle testimonianze ereditate dal passato, così come sono state fissate sui nastri dai primi ricercatori negli anni '70, ha saputo e voluto reinventarsi, ammettendo coesistere al suo interno forme più vicine alla tradizione e forme più estreme di evoluzione che hanno inglobato strumenti e musiche, prima dalle regioni dell'Occitania transalpina e poi, soprattutto negli ultimi venti anni, forme espressive caratteristiche di altre musiche, più moderne e più vicine al sentire comune di un "mercato" giovane. Le aree in cui la persistenza e la vitalità dei suonatori popolari erano più forti erano la Valle Vermenagna, la Valle Varaita e le cosidette Valli Valdesi (Pellice, Germanasca e Chisone). In Valle Vermenagna la tradizione musicale era ed è ricchissima e, nonostante alcuni momenti di flessione, seguiti da altrettante fasi di rinnovato e importante interesse, beneficia oggi di una completa e piena partecipazione. La musica di questa valle, se si esclude in questa sede il repertorio cantato, ha quasi esclusivamente la funzione di accompagnare le due danze locali: curenta e balet, in una copiosa quantità di varianti e micro-varianti melodiche venate di sottili differenze. L'organico strumentale che suona questa musica è costituito dalla coppia fisarmonica-clarinetto, la quale gode di una completa autonomia dal punto di vista melodico e armonico-ritmico. In quest'area le occasioni per il ballo sono essenzialmente legate ai Festin (Feste) delle borgate (Tetti) e alle Feste dei coscritti, tra le quali va annoverata, per importanza, la Festa delle Leve, che si tiene ogni anno il 16 agosto (giorno di S. Rocco) a Vernante. Altra area assai rilevante per la densa presenza di apparati festivi e cerimoniali e per la ricchezza del corpus coreutico e musicale si incontra alcune decine di chilometri più a nord: la Valle Varaita. Qui, nel comune di Sampeyre la Baìo (celebrata ogni cinque anni nel periodo di carnevale) hanno svolto l'importante funzione di conservatorio a cielo aperto per i costumi, le danze e le musiche di questa zona della valle. Le varianti coreutiche delle danze sono numerosissime: curento, gigo, countrodanso, tresso, vieio, boureo de San Martin e molte altre sono danzate incessantemente fino allo sfinimento durante i giorni di Baìo. La Valle Varaita annovera un'importante tradizione di musica per violino, nella quale si conservano prassi esecutive oggi obsolete (assenza del vibrato, forte preminenza della funzione dell'archetto con impugnatura al di sotto del tallone, postura dello strumento di tipo "barocco") quale strumento solista o affiancato agli organetti, alle fisarmoniche semidiatoniche e cromatiche con tastiera a piano. La terza area nella quale era sopravissuta una tradizione musicale autoctona è costituita dalle cosidette Valli Valdesi: Valle Pellice, Valle Germanasca o Sanmartin e Valle Chisone, con una maggiore persistenza del canto individuale e di gruppo nella prima e di uno straordinario corpus di musiche per il ballo, canti e danze nelle altre due. In quest'area, come nella maggior parte delle valli, la danza più diffusa era la Courento, seguita dalla Boureo tipica ed esclusiva della alta Val Sanmartin; più raramente era ancora ballata l'Espouzino, tra un uomo e due donne in occasione dei riti nuziali. Gli strumenti maggiormente presenti in questa zona erano lou violoun (il violino) e lou semitoun. Queste ultime, la cui persistenza in Val Sanmartin è stata maggiore rispetto alla contigua Valle Chisone, annoveravano decine di esecutori, tra cui emersero figure di suonatori, che per carisma e tecnica esecutiva si elevarono al ruolo di vere e proprie celebrità locali: Jan 'd Servelh, Bar' Falipin, Tot Paizan, Barbou Maic de Bourset furono gli instancabili animatori di centinaia di veglie, feste dei coscritti e feste nuziali. In seguito violoun e semitoun furono progressivamente sostituiti dalla fisarmonica cromatica (a bottoni e poi a piano) e da strumenti a fiato di estrazione bandistica quali il clarinetto, la cornetta, il bombardino, il trombone e il bassotuba. Nella seconda metà del secolo scorso si impose un modello analogo a quello della Valle Vemenagna (e a molte altre aree), con il clarinetto o il saxofono nel ruolo di strumento solista e la fisarmonica nel ruolo di accompagnamento armonico-ritmico. A questo sostrato straordinariamente ricco (presente comunque in varia misura in tutte le valli) attinse quel movimento di riscoperta e di riproposta della musica occitana delle valli che prese il suo avvio intorno alla prima metà degli anni '70. Seguendo più o meno fedelmente i modelli transalpini si formarono i primi gruppi, costituiti essenzialmente da giovani provenienti da contesti culturali anche profondamente differenti e animati da motivazioni altre in rapporto a quelle dei suonatori tradizionali. Questa musica per la verità in alcune aree in profonda crisi, fu estrapolata dal suo contesto, riletta e filtrata attraverso la sensibilità musicale di questi nuovi suonatori, che la riproposero in circostanze diverse, legate al nascente fenomeno del ballo folk o in ambiti di fruizione più legati a una dimensione concertistica da ascolto. Il modello clarinetto-fisarmonica cromatica o violino-fisarmonica (diatonica e cromatica) era divenuto di per sé insufficiente a rendere un repertorio che iniziava ad inglobare una serie di danze provenienti dall'area occitana francese, o per accompagnare complaintes e ballate, spesso costruite su ritmi capricciosi e scale ricche di tensioni modali. Nei nuovi gruppi di musica occitana si affermò quindi uno schema ricorrente, che, con le debite differenze e specificità, includeva generalmente l'organetto (nel modello a due file e otto bassi), la ghironda, il violino, una serie di strumenti a fiato e, occasionalmente, cordofoni di vario genere (mandola, mandolino, chitarra classica e folk) e qualche percussione (tambourin provenzale, toun-toun guascone e tamburo rullante), mettendo in relazione tra loro strumenti provenienti da aree diverse, alcuni con prassi esecutive radicate e altri legati a contesti e repertori anche molto diversi. La ghironda, divenuta il simbolo di questo fenomeno di rinascita musicale, era presente in Valle Maira fino agli anni '30, legata ad un pratica di tipo itinerante estintasi con la morte dell'ultimo suonatore di Lottulo avvenuta nel 1932. La ripresa della vioulo pose una serie di questioni tecniche, stilistiche e anche pratiche non di poco conto legate al repertorio, allo stile esecutivo e, non ultimo alla reperibilità degli strumenti, sciolte grazie al lungo lavoro del musicista caragliese Sergio Berardo che, dedicandosi in toto ad essa, ha definito uno standard, creato una scuola basata sull'accordatura in Re-Sol e una filiera di costruzione e manutenzione degli strumenti in collaborazione con il liutaio francese Jean-Claude Boudet di Jenzat. L'altro strumento emblematico è l'organetto (nel modello due file e otto bassi), che ha ereditato il repertorio del semitoun, un tempo maggiormente diffuso. Esso, nei principi generali di funzionamento non lontano dal modello semidiatonico, ha permesso ai nuovi suonatori di affiancare quelli anziani, acquisendo direttamente da essi il repertorio, con la trasmissione di alcune sfumature espressive altrimenti intraducibili sulla carta o dalle registrazioni. Diffusosi dapprima nei modelli più economici di produzione industriale della casa tedesca Honher e di alcuni costruttori riferibili al polo di Castelfidardo, oggi la stragrande maggioranza degli organetti proviene dal laboratorio di Sandro e Massimo Castagnari di Recanati e, in misura minore, dalla ditta Verde di Leinì. A fianco della vioulo e del semitoun, legati storicamente alla realtà delle valli, è cominciata a partire dall'inizio degli anni '80, l'importazione di strumenti proveniente dalle regioni dell'Occitania transalpina: dapprima flauti (galoubet, fifre, fresteu) e percussioni (tambourin provenzale, toun-toun, tamburo rullante), seguiti da cornamuse (bodega, boha, musettes, cabrette e chabrette) e oboi (clari e aboes). Questo fenomeno di "globalizzazione organologica", che oggi è possibile mettere in relazione alla crescita di interesse per la questione occitana nella sua interezza territoriale, ha da un punto di vista arricchito di suoni, repertori e strumenti la tradizione locale e per contro un po' appiattito le specificità espressive proprie di alcuni ensemble dell'area cisalpina. Il primo strumento ad essere stato assimilato nella nuova musica delle valli è stato il fifre: estrapolato dagli ensemble tradizionali fifre-tamburo-grancassa della regione nizzarda e provenzale questo piccolo flauto traverso a sei, sette o otto fori in canna o legno duro i cui rapporti con la musica militare sono indubitabili, raggiunge l'estensione di due ottave nel registro medio-acuto ed è uno stretto parente dei pifferi che accompagnano i vari momenti del Carnevale di Ivrea. Accanto al fifre ha fatto rapidamente la sua comparsa il galoubet, piccolo flauto a becco a tre soli fori. Questo flauto si suona con una mano sola, lasciando l'altra libera di percuotere con la maseto il tambourin, grande tamburo cilindrico bipelle che il suonatore porta, sospeso per mezzo di una cinghia, al braccio. L'oggetto musicale che, quasi certamente, ha avuto la maggiore rilevanza nell'immaginario collettivo è la cornamusa (o zampogna secondo l'organologia italiana): in area occitana ne sono presenti ben sette tipologie diverse, alcune a insufflazione diretta, altre a soffietto, ad ancia semplice e doppia. Nelle valli non sono state rinvenute attestazioni di una cornamusa locale, nonostante la presenza in alcune chiese1 di testimonianze pittoriche anche molto dettagliate. Gli ultimi strumenti in ordine di arrivo sono gli oboi. Tracce dell'uso di aerofoni ad ancia doppia sono conservate già nei registri della Baìa di Sambuco (Valle Stura) e in una fotografia scatta a Martiniana Po risalente a inizio '900 ma, come per le cornamuse, non è stato possibile identificare uno o più strumenti ascrivibili specificatamente all'area alpina. Anche in questo caso si è fatto ricorso al "prestito" da altre regioni occitane introducendo nell'uso l'Aboes, grave e possente strumento tipico del Couserans e il Clari, l'arcaico oboe dei Pirenei centrali. Oggi, lo strumentario dei gruppi occitani è assai più ricco che in passato: dalle essenziali accoppiate clarinetto-fisarmonica o violino-semitoun si è arrivati ad un inglobare e proporre musica attraverso una vasta orchestra, multiforme e colorata, in cui la ricchezza di timbri è seconda solo alla bellezza e alla raffinatezza degli oggetti musicali. Questo processo evolutivo non si è fermato e oggi continua a reinventarsi e sperimentare, introducendo suoni e strumenti nuovi appartenenti ad altri generi di musica: batteria, basso e chitarra elettrica, sezioni di fiati, archi, campionamenti digitali, pianoforte e tastiere sono ormai sonorità usuali, anche nelle più azzimate serate di curente e balet.

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