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Dal mais alle paste di meliga, metti il parco in pasticceria

Dal misterioso Yucatan ai boschi di Stupinigi, il granoturco si propone come ambasciatore del territorio.

  • Loredana Matonti Aldo Molino
  • dicembre 2011
  • Mercoledì, 28 Dicembre 2011


In barba al mais Non solo alimento, ma vero e proprio rimedio: il granoturco che nel cinquecento era fresco di importazione, venne subito utilizzato a livello terapeutico anche in Italia. Castore Durante, nel suo Herbario Novo, consigliava infatti l'uso del succo delle foglie verdi per le infiammazioni cutanee e l'erisipela. Nel mondo contadino poi è sempre stato un valido alleato della salute. Nelle zone alpine piemontesi, dove d'inverno i malanni da raffreddamento imperversavano, il piatto di polenta veniva sottratto dalla tavola per essere rovesciato sulla schiena. Sì, perché per la bronchite non c'era di meglio che un buon impacco, realizzato cuocendo la farina di mais, poi versata ben calda, ma non troppo, su di un panno poggiato sul petto. Nella medicina popolare piemontese, all'epoca della spannatura, un pò di "barbe di meliga" (filamenti che fuoriescono dall'involucro che racchiude la pannocchia e che sono gli stigmi dei fiori femminili) venivano messe da parte e impiegate come diuretico e per "pulire i reni", utilizzo giustificato anche da più moderne ricerche. Questi filamenti, inizialmente giallini, con il passare del tempo diventano rosso-bruni e, una volta seccati, costituiscono infatti uno dei più potenti diuretici che la natura ci offre, poiché ricchi di sostanze minerali sotto forma di sali di potassio, calcio, magnesio e ferro. Molto utili quindi come depurativo generale dell'organismo, soprattutto nelle affezioni delle vie genitali ed urinarie, specialmente nelle forme croniche di cistite e prostatite degli anziani. Grazie alla presenza di allantoina, esplicano anche azione sedativa contro i crampi della vescica e dell'utero. I fitoterapeuti raccomandano il decotto anche nelle coliche renali, negli edemi di origine renale, cardiaca e in tutte le forme di ritenzione idrica localizzate, come nella cellulite e negli edemi post-traumatici. Questo cereale, rivalutato come alimento, grazie alla sua alta digeribilità (meglio se di varietà autoctone non transgeniche) è utilizzabile anche dai celiaci per l'assenza di glutine. Contiene vitamine del gruppo A e B, fosforo, sodio, ferro e calcio, indicato quindi per migliorare l'attività mentale, ma anche per rimineralizzare le ossa. Inoltre, essendo un ottimo alimento energetico è adatto a chi deve ristabilirsi dopo una fatica o una degenza e aiuta la motilità intestinale, combattendo la stitichezza, abbassa il colesterolo cosiddetto "cattivo", quello che va ad ostruire le arterie, aiuta i diabetici a tenere sotto controllo la glicemia. Inoltre l'olio di mais applicato sulla pelle con un leggero massaggio, la rende più morbida ed elastica grazie alla vitamina A. Dalla tavola al talamo il passo è breve: uno cibi ritenuti più afrodisiaci è proprio l'insospettabile polenta, senza nulla invidiare ai ben più noti (e costosi) caviale, ostriche e affini. Esperimenti condotti sui topi, alimentati con polenta, hanno evidenziato come fossero particolarmente attivi in fatto di accoppiamento. L'effetto afrodisiaco del mais sembrerebbe dovuto alla mancanza in questo alimento (più unico che raro, sotto questo aspetto) del triptofano, un aminoacido che dà origine alla serotonina, detto l'ormone "anti-incendio", nemico dell'erotismo. Consumare mais significa assorbire, quindi, la dopamina (il suo opposto) che "scatena" il desiderio. Però il mais va consumato regolarmente, altrimenti... non fa effetto! Inutile illudersi comunque: i ricercatori non assicurano se ciò valga quando, alla polenta, si abbini anche l'immancabile bottiglia di barbera ...
Info: Azienda Agricola F.lli Bertola Via Case arse 5 Candiolo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Il suo nome scientifico è Zhea mais, una robusta graminacea, in Italia conosciuta principalmente come "Grano turco", forse per le sue origini straniere ed esotiche, forse perché la sua coltivazione si è diffusa da est, dall'areale balcanico. In Piemonte è semplicemente la "melia", da melica o meliga, che specificatamente individuano il sorgo o saggina, un tempo coltivati, il cui pennacchio conferiva una vaga somiglianza con il mais. Trovato a Cuba nei mesi successivi la scoperta delle Americhe, presto si diffuse in Europa e negli altri continenti, diventando in breve tempo una delle piante alimentari più coltivate e a più alta redditività. Più diffusa, ma non più conosciuta. Certi comportamenti sono bizzarri e la forma selvatica non è stata ancora individuata con certezza, nonostante gli approfonditi studi. Oggi si reputa che sia stata la valle messicana di Teotihuacán, il luogo dove i mesoamericani addomesticarono il mais. Noto da millenni in alcune aree del Messico, era la base dell'alimentazione, coltivato non solo nei campi, ma anche nelle valli e sui versanti rocciosi. Le popolazioni precolombiane dell'area azteca, conferivano all'imperatore Montezuma migliaia di tonnellate di mais. Veniva preparato e consumato in molti modi diversi, ad esempio sotto forma di tortillas o di tamales e per la preparazione dell' atole, una bevanda calda. Anche tutta la cultura Maya ruota attorno al mondo magico e misterioso di questo cerale. Essenziale alla sopravvivenza delle civiltà mesoamericane, il granoturco aveva un ruolo di primo piano anche nella mitologia, nella religione e nelle cerimonie rituali. Antichi riti propiziatori legati alle varie fasi della sua semina, dal raccolto alla successiva tostatura, testimoniano l'importanza che i dorati chicchi avevano nelle abitudini alimentari di quegli antichi popoli. Ai quali, nel corso dei secoli, se ne affiancarono molti altri: le tribù seminomadi del Nord e Sud America, ma anche i cileni e gli argentini e alcune popolazioni caraibiche. Il quarto dei diciotto mesi dell'antico calendario atzeco venne consacrato proprio al mais. Narra uno dei miti cosmogonici dell'antica popolazione centroamericana che, all'inizio, quando il mondo era composto solo di acqua, gli dei crearono la terra popolata da piante ed animali. Gli animali però erano muti e non potevano lodare i loro creatori, così gli dei decisero di creare una specie superiore fatta di fango impastato. Queste nuove creature parlavano, ma erano incapaci di cantare gli inni sacri e si scioglievano con l'acqua. Gli dei, quindi, prepararono nuove creature fatte di legno, che però erano inespressive e non sapevano offrire incenso. Da queste creature presero origine le scimmie. Alla fine gli dei fecero un ultimo tentativo con un impasto di mais che divenne il sangue dei nuovi uomini, gli antenati dei Quichè e del popolo Maya. Maya, uomini di mais, dunque. Dalle Americhe all'Europa: il mais balzò nel nostro continente grazie a Cristoforo Colombo. Merito, a dire il vero, contesogli dai navigatori scandinavi, che secondo alcuni storici lo caricarono per primi sulle loro navi, nel corso delle lunghe esplorazioni transoceaniche. Dopo l'importazione questo cereale si acclimatò con molta facilità in tutta l'Europa, dove fu coltivato su larga scala per ricavarne la preziosa farina da polenta. In Italia la coltura è già fiorente a metà del Cinquecento, dove soppianta rapidamente miglio e grano saraceno, divenendo la base dell'alimentazione dei contadini padani. Fu prima la Campania ad adottare questo tipo di coltivazione, poi seguita da Veneto ed Emilia. L'esotico cerale diede così vita a quella che si usa definire "la civiltà della polenta". Alimento che risolse subito le carestie che affliggevano le zone montane; in seguito l'alimentazione esclusiva con questo cerale divenne la causa del tragico dilagare, fino al termine dell'Ottocento, della più terribile malattia endemica delle campagne italiane, la pellagra, causata da carenza di vitamine del gruppo B. Polenta e tanta fame, l'immagine emblematica della fetta di polenta strofinata sull'acciuga, appesa a un cordino al centro della tavola, diventò l'icona del mondo povero contadino. Al contempo il mais è ingrediente anche di dolci sopraffini: le paste di meliga. Pur non essendo esclusive piemontesi, i biscotti di gran turco hanno trovato nei pasticceri subalpini la loro migliore interpretazione, non solo nel cuneese, ma anche in molte altre località. Scrive Doglio (Dizionario di gastronomia del Piemonte): "Il mais è molto usato anche nella pasticceria in Piemonte: ne nascono gustose paste di meliga, diffuse un po' dappertutto e presenti anche nella cucina casalinga. Un tempo per questa pasticceria secca era famosa soprattutto la cittadina di Pianezza. E' tradizione popolare preparare queste paste di meliga soprattutto in ottobre con la prima farina di mais macinata." Un recentissimo libro di Gian Paolo Spaliviero, "Il mistero dei "Melicotti" di Pianezza (edizioni del Graffio) cerca di raccontarne la storia, entrando nello specifico di una tradizione dolciaria, i melicotti (cioè pasticcini di farina di granturco) totalmente perduta nella memoria collettiva. La necessità di ricostruire un legame con il territorio ha fatto si che la Pro Loco di Pianezza si facesse carico di riproporre i golosi pasticcini, anche se per ora le carte e i labili ricordi non ne hanno svelato la ricetta originaria. Se le paste di Pianezza sono tra le più antiche del Piemonte, recentissime anzi nuovissime sono quelle di Stupinigi. Parco Regionale dal 1991 acquisito nel 2010 al patrimonio regionale dall'Ordine Mauriziano è oggetto di un importante progetto di rilancio turistico, ma anche economico. Un filo rosso lega le due località: le acque che irrigano parte dei terreni di Stupinigi provengono dalla Dora Riparia il fiume sulla cui sponda si trova proprio Pianezza, derivata da una bealera che trae le acque dalle parti di Alpignano. Tra i propugnatori del canale e presidente del consorzio, siamo nel XV secolo è Bernardino Parpaglia, discendente del nobile casato e proprietario dell'omonima cascina che esiste tutt'ora. All'origine di quella tenuta antecedente alla metà del milleduecento, è il nobile cavaliere Willelmus de Parpaglia, del casato dei Revigliasco, signore del luogo, appartenente all'Ordine dei cavalieri Gerosolomitani, che partì per difendere il Santo Sepolcro con al seguito cavalieri, scudieri, uomini, donne, pellegrini, musici e trovatori. Grazie a questi ultimi si potè in seguito conoscere le gesta dei prodi cavalieri. Dopo diversi passaggi di proprietà (compresa la famiglia Agnelli) la cascina è giunta alla Regione Piemonte che ne ha confermato la vocazione agricola. Affittuari della Parpaglia e dei terreni annessi dal 1946 è la famiglia Bertola. Un legame forte con il territorio, che si è mantenuto sino ai giorni nostri e che vede l'azienda dei fratelli Bertola impegnata nella valorizzazione e nello sviluppo delle produzioni agricole. Di qui è nata l'idea di coniugare parco ed eccellenza artigiana inventando o reinventando "la buona pasta di meliga". E' stato scelto un appezzamento all'interno dell'area boschiva, lontano da possibile fonti di inquinamento genetico, dove è stato coltivato il mais che, macinato e trasformato in farina "fiore", è all'origine degli squisiti biscotti presentati ufficialmente alla festa della zucca di Candiolo dell'autunno 2011. Due le confezioni: quella più ruspante in sacchetto trasparente e quella leziosa in confezione di elegante cartoncino, ideale come souvenir dei molti visitatori di Stupinigi e della sua palazzina di caccia, ma anche prezioso biglietto da visita di questa porzione di territorio subalpino. Accanto alle "paste di meliga" però, fa bella mostra anche la buona farina del parco, con cui preparare piacevoli e dorate polente.

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