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Nelle terre selvagge: lo Yellowstone National Park

Il fascino del celebre parco americano è dovuto alla straordinaria biodiversità animale: dalle 318 specie di uccelli sino ai famosi bisonti e all'orso grizzly. Ma non trascurate le grandi varietà di microbi: qui venne scoperto un batterio che valse un premio Nobel

  • Andrea Amparone
  • agosto 2010
Mercoledì, 1 Settembre 2010

Pochi ignorano l'esistenza dello splendido parco ai piedi delle Montagne Rocciose americane. Certo le avventure dell'orso Yoghi hanno fatto la loro parte, ma non bastano a spiegarne la fama: a cosa è dunque dovuto il fascino internazionale dello Yellowstone? Una delle prime cose che colpiscono il visitatore europeo è l'idea di wilderness che incarna, concetto ormai sconosciuto nell'Europa largamente urbanizzata e antropizzata. La massima espressione di wilderness negli USA è nota come Greater Yellowstone Ecosystem, che con i suoi 76 mila km² (circa tre volte la superficie del Piemonte), rappresenta l'ultimo ecosistema pressoché intatto della zona temperata settentrionale della Terra. Il cuore pulsante di questo ecosistema è racchiuso nello Yellowstone National Park, esteso almeno quanto la regione Umbra. Il territorio del parco è di proprietà statale, vi si accede pagando un pedaggio doganale e al suo interno sono proibite tutte le attività antropiche, salvo quelle a scopo di ricerca e di assistenza ai visitatori. Queste sono solo alcune delle tante restrizioni volte a proteggere uno degli ambienti più fragili e caratteristici del mondo, un eccezionale scrigno di ricchezze biologiche e geologiche. Lo Yellowstone è sospeso su un immenso volume di magma, proveniente da uno dei tre maggiori hot spot geologici attivi. Nel sottosuolo del parco si trova infatti la più grande caldera vulcanica conosciuta, tanto estesa da essersi guadagnata l'appellativo di supervulcano. Questo enorme potenziale distruttivo per il momento si accontenta di esprimersi nelle forme più innocue e spettacolari che si possano immaginare: geyser, sorgenti termali, terrazze con vasche di travertino, pozze di fango bollente, torrenti d'acqua a 60° e laghi fumanti, talvolta incredibilmente colorati da colonie di batteri. È proprio alle caratteristiche geologiche che si deve una consistente parte della biodiversità dello Yellowstone: quella microbica, molto spesso trascurata. Negli ambienti caratterizzati da elevata temperatura e acidità proliferano infatti migliaia di specie di batteri termofili. Questi organismi sono i protagonisti di una delle ipotesi sull'origine della vita: sono infatti gli unici in grado di vivere nelle condizioni ambientali estreme in cui si suppone si trovasse la Terra miliardi di anni fa. Un recente studio ha stimato che solamente l'1% delle specie di batteri termofili presenti nello Yellowstone è stato sinora descritto e catalogato, e l'importanza della biodiversità microbiologica si può intuire alla luce di un'interessante scoperta fatta nel 1969. In un geyser chiamato Great Fountain fu scoperto il batterio Thermus aquaticus. Grazie a un suo enzima venne messa a punto la tecnica della PCR (Reazione a Catena della Polimerasi), che permette l'amplificazione in vitro di campioni estremamente diluiti di DNA. Tale tecnica, che valse al suo ideatore il premio Nobel per la Chimica del 1993, diede inizio all'ingegneria genetica moderna ed è attualmente utilizzata nei laboratori di biologia molecolare di tutto il mondo. Ovviamente la biodiversità dello Yellowstone non è solamente batteriologica. Il suo suolo particolarmente acido favorisce la crescita di un sola specie arborea, il lodgepole pine (Pinus contorta Dougl. ex Loud.), i cui esemplari coprono l'80% della superficie alberata. Le specie vegetali sono circa 1700 di cui circa 1500 autoctone, mentre le restanti specie esotiche sono concentrate nelle zone a maggiore afflusso turistico, segno che l'effetto dell'uomo comincia a farsi sentire anche qui. Le foreste sono periodicamente rigenerate da violenti incendi naturali, indispensabili per il corretto funzionamento dell'ecosistema: contribuiscono infatti a velocizzare i processi di mineralizzazione, incenerendo gli alberi morti che altrimenti, a causa del suolo acido, si accumulerebbero in continuazione senza decomporsi. Inoltre il lodgepole pine è di fatto una pirofita: l'azione del fuoco è fondamentale per la riproduzione della specie poiché permette alle pigne di liberare grandi quantità di semi e diminuisce la densità arborea, consentendo l'immediato sviluppo di nuovi esemplari. La considerevole biodiversità animale, ampiamente favorita dall'eterogeneità degli habitat che Yellowstone offre, ha sicuramente contribuito a rendere questo parco famoso in tutto il mondo: 318 specie di uccelli nidificanti, distribuite tra ambiente alpino, forestale, fluviale, lagunare e di prateria; 50 specie di piccoli mammiferi, come la martora americana (Martes americana), il ghiottone (Gulo gulo) e il castoro (Castor canadensis) a rischio di estinzione. Sono tuttavia i grandi mammiferi a raccogliere maggiori attenzioni dai turisti. Il bisonte americano (Bison bison) trova nelle estese praterie dello Yellowstone il suo ultimo incontaminato rifugio. Il suo peso può superare la tonnellata e si guadagna di buon grado il titolo dell'animale più grande del parco. I bisonti si spostano in grandi mandrie e non è raro trovarli tra i geyser e le pozze calde durante i rigidi inverni. La famiglia dei Cervidi è presente con ben 5 specie, tra le quali il possente elk o wapiti (Cervus canadensis) e la più rara alce americana o moose (Alces alces americanus). In passato il Parco dello Yellowstone fu uno dei teatri fondamentali per la ricerca in ecologia: si osservò un ciclico e preciso equilibrio matematico tra il numero di predatori e il numero di prede, categorie entrambe ben rappresentate. Il predatore simbolo del parco, l'orso grizzly (Ursus arctos horribilis), è la continua ossessione degli escursionisti, i quali devono seguire severe norme comportamentali per minimizzare il rischio di attrarli in accampamenti e campeggi. Il grizzly non è l'unico orso presente nel parco: l'orso nero (Ursus americanus) è ancora più diffuso, ma solitamente è più piccolo e meno aggressivo. Sono più rari il puma (Puma concolor) e la lince rossa (Lynx rufus), mentre il più opportunista coyote (Canis latrans) riesce ad adattarsi ai differenti habitat del parco senza particolari problemi. A causa di un'immatura concezione ecologica dominante all'inizio del secolo scorso, il lupo grigio (Canis lupus) era percepito come un animale nocivo per la fauna selvatica e pericoloso per l'uomo. Il parco stesso si servì di squadre di cacciatori per mettere in atto violente campagne di eradicamento della specie, e nel 1926 riuscì nel suo intento. I Cervidi si trovarono quindi senza il loro naturale predatore, e con il passare del tempo il loro numero crebbe fino a diventare insostenibile per l'ecosistema: una volta esaurito il foraggio erano costretti a nutrirsi della corteccia degli alberi, condannando le foreste a un lento ma costante declino. Quando, negli anni '70 si capì l'importanza dei grandi predatori, venne riconosciuto l'errore e Yellowstone divenne un caso emblematico. Nel 1996, dopo anni di accesi dibattiti e grazie a un accordo siglato con il Jasper National Park (Canada), vennero introdotti nel parco una trentina di lupi. Dopo un iniziale periodo di rapida crescita, il loro numero è andato stabilizzandosi intorno alle cento unità attuali, divise in una decina di branchi distinti. E lo Yellowstone è tornato a fregiarsi di luogo wilderness: un angolo di pianeta dove l'uomo sceglie di essere un semplice, ma attento, spettatore.


Andrea Amparore
si è laureato in Scienze Naturali a Torino e ha continuato la carriera universitaria in Francia con un master in Ecologia e Gestione del Territorio. Si è specializzato nei Sistemi d'Informazione Geografica (GIS), e in questo ambito ha lavorato allo Spatial Analysis Center dello Yellowstone National Park.

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