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Terra e acqua risorse globali

Una ricerca documenta come sempre di più terreni nei paesi in via di sviluppo siano acquisiti dalle nazioni più ricche

  • Claudia Bordese
  • luglio 2014
  • Mercoledì, 16 Luglio 2014

 

Agli esordi della crisi nel 2007-08, tra i primi a farne le spese furono i prezzi delle derrate alimentari, in rapido aumento in tutto il mondo. Una delle conseguenze è stato l'intensificarsi della pratica di acquisto di terreni agricoli di qualità, e delle annesse risorse idriche, in paesi in via di sviluppo. Alla base di questa pratica - di vero e proprio accaparramento di terreni stranieri - c'è la crescente domanda mondiale di cibo ed energia. Il professore Paolo D'Odorico dell'Università della Virginia insieme a un team di ricercatori del Politecnico di Milano si sono impegnati in un'interessante ricerca che ha prodotto la prima valutazione quantitativa globale di questo fenomeno, pubblicata sulla prestigiosa rivista Proceeding of the National Academy of Sciences. Negli ultimi dieci anni il tasso di acquisto di terreni e risorse idriche in paesi in via di sviluppo è cresciuto in maniera clamorosa, perché la sicurezza della disponibilità alimentare nei paesi acquirenti dipende sempre di più dalle terre acquistate all'estero, mentre nei paesi le cui terre vengono comprate da istituzioni o aziende straniere, la popolazione locale è sovente esclusa dall'utilizzo di grandi appezzamenti di terra. La ricerca di D'Odorico ha evidenziato come questo sia ormai un fenomeno globale, che coinvolge oltre 60 paesi le cui terre vengono accaparrate da circa 40 paesi. I paesi più colpiti sono Indonesia, Filippine, Sudan, Tanzania e Repubblica Democratica del Congo.

 

Sull'altro versante, le nazioni più attive nell'acquistare appezzamenti di terre straniere sono Cina, Stati Uniti, Emirati Arabi Uniti, India, Gran Bretagna, Egitto e Israele. Nella maggior parte dei casi, dove la terra è stata acquistata si assiste a un cambiamento dell'ambiente, poiché gli ecosistemi naturali - in queste zone generalmente foreste e savane - o i piccoli appezzamenti agricoli gestiti dalle comunità locali, vengono sostituiti da coltivazioni su larga scala amministrate da società straniere. Va riconosciuta una ricaduta positiva, rappresentata dalla possibilità delle grandi aziende straniere di investire in tecnologia, per esempio in sistemi avanzati di irrigazione dei terreni, che in tal modo aumentano la produttività agricola e creano opportunità lavorative per la popolazione locale. Negativa è però l'esclusione della medesima popolazione dall'uso diretto e dalla gestione della terra e delle risorse idriche lì presenti, come pure la possibilità che tali acquisizioni si tramutino in sfruttamenti eccessivi di terra e acqua, con inevitabili danni futuri sull'ambiente.

E' un processo difficile da arrestare, giacché molti paesi poveri vedono nella vendita di parte della loro terra unicamente il vantaggio economico immediato. I governi e gli organismi sopranazionali dovrebbero imporre in tali compravendite l'obbligo di utilizzare parte dei profitti, per finanziare la piccola agricoltura locale, lasciando spazio anche a uno sviluppo sostenibile e alla salvaguardia dell'ambiente.

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