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Un'orchidea nel bosco

  • Claudia Bordese
  • Aprile 2011
  • Martedì, 5 Aprile 2011

Cosa più ricercato di un bouquet di orchidee, fiori sensuali ed esotici per antonomasia? Eppure rare non sono, giacché rappresentano quasi il 10% di tutte la piante da fiore, né tantomeno esotiche, dato che solo in Italia se ne contano oltre 250 specie endemiche, spesso ignote compagne delle nostre passeggiate. Il loro fascino nasce forse dalla voluttuosa nomea di piante ammaliatrici di insetti impollinatori, ma altrettanto affascinante è l'interazione con alcuni funghi simbionti, vitale per la loro sopravvivenza. Per saperne di più, soprattutto delle orchidee diffuse nei climi temperati, bisogna dare uno sguardo nel sottosuolo, dove si dipana l'invisibile rete delle micorrize, intima unione tra le radici delle piante superiori e i microscopici filamenti sotterranei - le ife - con cui i funghi si espandono nel sottosuolo. Studi recenti hanno evidenziato come queste reti sotterranee mettano in comunicazione, tramite i filamenti fungini, alberi anche di specie differenti, permettendo il passaggio e quindi la distribuzione di carbonio organico, ovvero di molecole di nutrienti più o meno complesse, da un'estremità all'altra del bosco, una sorta di invisibile metropolitana della materia a garanzia della biodiversità. Ma qual è il significato di queste reti fungine per le orchidee, in particolare per quelle boschive? Le orchidee sono caratterizzate da un seme privo di nutrimento per la futura piantina, e incapace di generare un primo germoglio fotosintetizzante. I funghi presenti nel terreno, quelli che hanno stretto una simbiosi micorrizica con le radici delle piante verdi circostanti, rappresentano un'ottima fonte di zuccheri, ed è quindi a essi che i semi di orchidea si associano, sviluppando le giovani piantine a spese del nutrimento fornito, attraverso le ife fungine, dalle piante verdi contigue. A seconda della specie si differenzieranno in orchidee adulte verdi, in grado di fotosintetizzare, o in orchidee aclorofilliche, per nulla o scarsamente verdi in quanto totalmente o parzialmente prive di clorofilla, che rimarranno vincolate per tutta la loro esistenza al fungo e quindi alla rete nascosta del bosco, che fornirà loro il nutrimento necessario.
Proprio di orchidee si occupa il gruppo di ricerca della professoressa Perotto del Dipartimento di Biologia Vegetale dell'Università di Torino, dove Enrico Ercole sta concentrando i suoi studi sui differenti funghi micorrizici associati a due specie sorelle tipiche degli ambienti umidi palustri, Anacamptis palustris e Anacamptis laxiflora, entrambe a distribuzione mediterranea. Il maggior pericolo di estinzione che minaccia la prima - la cui sopravvivenza è messa a rischio dalla costante riduzione del habitat - molto più della seconda, ha spinto i ricercatori torinesi a investigare i differenti funghi associati alle due orchidee, per valutare la specificità dell'associazione e le ricadute delle diverse strategie alimentari. L'obiettivo è individuare le soluzioni ecologiche ottimali che permettano di non perdere questi preziosi fari della biodiversità ambientale, insostituibili indicatori della salute degli ecosistemi.

Claudia Bordese
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