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Narciso, mito che non sfiorisce

"Contempla gli occhi che sembrano stelle, contempla le chiome degne di Bacco e di Apollo, e le guance levigate, le labbra scarlatte, il collo d'avorio, il candore del volto soffuso di rossore... Oh quanti inutili baci diede alla fonte ingannatrice! ...Ignorava cosa fosse quel che vedeva, ma ardeva per quell'immagine ..." Ovidio (Metamorfosi III)

  • Loredana Matonti
  • giugno 2012
  • Venerdì, 8 Giugno 2012
Mito di Narciso Mito di Narciso

Il narciso, legato al noto mito greco riconducibile all'incapacità di amare qualcuno al di fuori di se stessi, è una pianta spontanea velenosa, ma coltivata fin dall'antichità.
Fonte di ispirazione nelle opere di diversi artisti dal Caravaggio a Dalì, questo fiore è associato al noto mito di Narciso, dalla ricorsività pressoché ininterrotta nella storia della cultura occidentale. I poeti antichi che l'hanno cantato sono così numerosi che l'elenco sarebbe tedioso, ma basterà ricordare tra i tanti Virgilio, Sofocle ed Ovidio. Nell'antica Grecia si riteneva che il primo fiore di narciso fosse sbocciato laddove l'omonimo e bellissimo giovane cacciatore era morto, esclamando "Questi sono io, né la mia immagine mi inganna!" Il riconoscimento di se stesso, così come gli era stato predetto dal cieco veggente Tiresia, fu la premessa della sua morte. Si narra infatti, che respingesse e disprezzasse tutti gli uomini e donne che si innamoravano di lui, tanto che uno di questi chiese vendetta agli dei.

Egli finì così per innamorarsi dell'immagine di se stesso, riflessa in uno specchio d'acqua, morendo annegato nel tentativo di abbracciarsi oppure, in un'altra versione, consumato dallo struggimento, da fame e sete, seduto solitario sulla riva. In seguito al famoso racconto di Ovidio il fiore diventa simbolo dell'egoismo, della vanità e della presunzione. Si può poi seguire la fortuna del mito attraverso le reinterpretazioni in chiave romantica offerte da Francesco Bacone, Rousseau, nonché da altri letterati o pensatori dell'Ottocento. Il mito influenza anche la psicanalisi, diventando l'emblema di una forma malata in cui si manifesta l'eros. Ancora oggi, con il termine 'narcisista' si intende colui che, soffrendo del complesso di Narciso, ama soltanto se stesso e non gli altri. Pittori, musicisti, scrittori, continuano ancor oggi a trarre ispirazione da questo fiore dal significato ambiguo, associato tanto alla morte quanto alla bellezza e alla vita eterna. Gli antichi Romani ad esempio, credevano che i narcisi crescessero nelle profondità dei Campi Elisi e li piantavano sulle tombe. La simbologia antica lo associava agli inferi, al mito dell'Averno, un luogo in cui si finiva, ma da cui assai più spesso si tornava. Quindi non rappresentava soltanto la morte, ma l'oceano sconfinato dell'inconscio, della cui porta i narcotici sono spesso la chiave. Per contro, la sua bellezza fu associata anche alla dea Afrodite, che per farsi più bella agli occhi di Paride, si cingeva proprio di narcisi. Nell'iconografia cristiana poi, appare spesso nelle scene dell'Annunciazione o del Paradiso terrestre, a significare il trionfo dell'amore divino e della vita eterna sopra la morte, l'egoismo e il peccato. Il genere Narcissus fa parte della famiglia delle Amaryllidacee ed è originario dell'Europa, comprendendo parecchie specie, originarie soprattutto del bacino del mediterraneo. Sono tra i primi fiori che sbocciano alla fine dell'inverno, rallegrando la campagna con i loro bei colori. Si tratta di piante bulbose annue, con foglie basali lunghe e strette e fiori bianchi o gialli, che spuntano isolati in cima a uno fusto fiorale privo di foglie. Tutte le specie di questo genere, salvo qualche eccezione, hanno fiori con corolla imbutiforme, terminante con 6 lobi, con al centro un prolungamento a coppa detto corona, di forma e dimensioni che variano a seconda delle diverse specie e varietà, con un colore dal bianco al giallo. Coltivati fin dall'antichità, queste bulbose adornano e allietano incomparabilmente, con la loro abbondante fioritura primaverile, i giardini. Tra le varie specie selvatiche più diffuse nei prati e boschi umidi di pianura e di montagna ricordiamo il Narcissus pseudo-narcissus, Narcissus tazetta, Narcissus nobilis, Narcissus nivalis e il Narcissus poeticus. Quest'ultimo, piuttosto frequente nei prati alpini delle nostre valli, è noto come "fior di maggio" o "giracapo", mentre in alcuni patois locali è chiamato la flu- 'd me- o pancuta, in riferimento sia ai "fiori del miele" e sia alla Pentecoste, periodo intorno al quale fiorisce questa bulbosa, che un tempo ricopriva di bianco vaste estensioni, poi sottratte dalle costruzioni e dalle piste da sci.

Caratterizzato da profumatissime corolle bianche, adornate da una corona rosso-arancio, lo troviamo in luoghi erbosi e boschivi dal clima fresco in aprile o in maggio. Il nome del genere secondo alcuni deriva dalla parola persiana che indica questa pianta, nargis. Altri sostengono invece derivi dal greco narkao = paralizzare (da cui il nostro "narcotico"), riferito al profumo tanto forte da stordire o da narkè (ottundimento). L'aroma soave, degno compagno della sua bellezza, è stato apprezzato fin dall'antichità. I profumieri dell'antica Roma adoperavano il "narcissum", un unguento solido ottenuto dai fiori, come ingrediente per le loro elaborate fragranze. Gli Arabi lo consideravano un vero e proprio afrodisiaco nonché un valido rimedio per contrastare la calvizie, mentre nell'antica medicina tradizionale giapponese Kampo si usava un impiastro a base di bulbo di narciso e farina di grano per curare le ferite. In India, ancor oggi, l'olio di narciso viene spalmato sul corpo (insieme a quelli di rosa, di sandalo e gelsomino) prima della preghiera nei templi. Attualmente, soprattutto dalle corolle delle specie N. jonquilla, N. pseudo-narcissus e N. poeticus, si estrae un'essenza molto preziosa. Agente profumante molto potente, vero e proprio narcotico, deve essere usato moderatamente onde evitare effetti indesiderati. Si consideri che il profumo dei fiori, quando ci si trova in un ambiente chiuso, può procurare in taluni nausea e cefalea. Questa graziosa pianta ha anche proprietà medicinali, seppure l'uso è ormai desueto. Nella medicina popolare nostrana si usava il bulbo secco in decotto come emetico (per procurare il vomito), emmenagogo (per promuovere il mestruo) e come espettorante, mentre l'infuso dei fiori veniva impiegato come sedativo, antidiarroico, antispasmodico e anticonvulsivo, nonché come febbrifugo nelle febbri intermittenti. Ancora oggi viene utilizzato in omeopatia per la tosse e la nausea. L'uso familiare però è assolutamente da evitare: il bulbo contiene un alcaloide velenoso, la narcisina, che provoca disturbi neuronali e infiammazioni gastriche nell'uomo e negli animali che lo ingeriscono accidentalmente al pascolo e, se non curato in meno di 24 ore, può provocare la morte. Queste sostanze tossiche, combinate con i cristalli di ossalato di calcio contenuti nella linfa, provocano orticaria e dermatite allergica da contatto, per lo più ai lavoratori del settore floricolo. Nel settore della profumeria, possono insorgere reazioni a contatto dell'essenza di narciso, con conseguenti gravi problemi di allergia (rinocongiuntivite allergica, asma) anche ad esito letale. Superare anche di poco le dosi terapeutiche significa quindi, incorrere in problemi assai spiacevoli.

Meglio rinunciare al desiderio di estirpare questo bellissimo fiore, peraltro sempre meno diffuso. Il mito stesso suggerisce una riflessione: secondo altre interpretazioni infatti, il fiore è simbolo di suprema conoscenza, raggiungibile solo sacrificando il proprio desiderio egoico, come quello di possedere, in modo effimero, la bellezza della natura che ci circonda.

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