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Chicchi di riso piemontesi

Viaggio nella storia del riso e delle nuove tecniche colturali che rispettano la biodiversità.

  • Caterina Gromis di Trana
  • Maggio 2023
  • Martedì, 16 Maggio 2023
Risaia in Baraggia - foto C. Gromis di Trana Risaia in Baraggia - foto C. Gromis di Trana

Se fai piani per un anno, semina riso.

Se fai piani per dieci anni, semina un albero.

Se fai piani per una vita, educa le persone.

(detto cinese)

Chi semina il riso oggi parla di agro-ecosistema. Stanno diventando di primaria importanza pratiche agricole compatibili con la conservazione della biodiversità, che richiedono di rinforzare la rete ecologica dell'ambiente di risaia e di valorizzarne il paesaggio rurale. Grazie a questa tendenza sempre più marcata, le risaie della pianura piemontese stanno assumendo un ruolo complementare a quello degli ambienti umidi naturali, tanto da essere considerate dall'Unione Europea una "grande zona umida ": una bella sfida quella di mantenere gli alti livelli di produttività tipici della monocoltura, contrastando la semplificazione dell'ecosistema e la banalizzazione del paesaggio, legate all'attività risicola.

La meccanizzazione dell'agricoltura ha portato come conseguenza la monocultura, con l'ampliamento delle camere di risaia, l'uso massiccio di fitofarmaci e l'eliminazione della vegetazione sulle sponde, per non ombreggiare nemmeno un centimetro di superficie durante lo sviluppo delle piantine e per velocizzare al massimo le pratiche colturali. Con il tempo poi si è presa coscienza dei danni collaterali per l'ambiente e per la nostra salute, e oggi è in forte espansione la scelta più sana: 18mila ettari tra Piemonte e Lombardia convertiti al biologico non sono pochi.

La pacciamatura verde è la tecnica più diffusa per sostituire i diserbanti: in autunno, dopo il raccolto, sulle stoppie del riso si semina un mix di erbe, che in primavera vengono rullate e pressate sul terreno già inondato dall'acqua: il processo di fermentazione ad elevata acidità che ne consegue, in pochi giorni crea un manto verde uniforme nell'acqua, sul quale viene seminato il riso. Con questo procedimento le erbe infestanti, rimaste latenti per tutto l'inverno sotto il terreno, non riescono a germogliare, mentre il riso, che riceve luce e giusto nutrimento, cresce forte e rigoglioso.

I risicoltori più lungimiranti e attenti attuano anche interventi di agro-forestazione, che aumentano la biodiversità e migliorano il paesaggio, e creano zone umide permanenti, con un occhio di riguardo per gli anfibi e gli altri animali acquatici che con l'alternanza di acqua e asciutta non riescono a completare il loro ciclo vitale.

...seminano soprattutto quello che chiamano riso e quando è decorticato

è come il grano atto a cuocersi ma si digerisce facilmente.

Esso è simile allo Spelta e si ripiega come il Farro;

cresce a vista d'occhio e per molto tempo sta nell'acqua, poi vien fuori non a spiga,

ma come un ciuffo al pari del miglio e del panico

(Teofrasto- de plantarum historia)

La pianta del riso, Oryza sativa, dopo la fioritura porta inserita, sull'ultimo nodo dei culmi, una pannocchia a forma di grappolo pendulo o semieretto: è il suo sistema fruttifero, formato da un rachide legnoso centrale lungo da 10 a 20 centimetri, da cui si stacca lateralmente un certo numero di racemi o grappoli: sui grappoli sono insediate con un breve peduncolo le cariossidi, i frutti della pianta, protetti da un doppio rivestimento. E' il "risone, che per diventare adatto all'alimentazione deve essere essiccato e raffinato, asportando il rivestimento esterno cellulosico e legnoso dei grani. Dopo la raffinazione, i grani immaturi e imperfetti vengono separati e messi da parte per diventare sottoprodotti. Intanto le cariossidi perfette continuano la loro maturazione, per un tempo che va dai 40 ai 70 giorni dopo la fioritura, in relazione all'informazione ereditaria delle singole varietà e in rapporto diretto con le vicende ambientali. Infine, la maturazione piena dei nostri preziosi chicchi avviene nei magazzini, con la stagionatura che ne migliora la qualità.

il riso appartiene alla specie dei cereali e cresce in luoghi paludosi e ricchi di acqua;

è moderatamente nutriente e costipante per l'intestino.

(Dioscuride di Anazarbo di Cilicia (sec I° d.C)

Pare che la comparsa del riso in Eurasia si possa datare intorno alla seconda metà dell'era terziaria e che, pur essendo l'Asia la patria della sua specializzazione, il suo archetipo ancestrale provenisse, con ampia probabilità, dall'Africa. Nel suo emigrare dal centro primario di diffusione e di prima differenziazione, la specie Oryza sativa produsse per selezione naturale tipi geneticamente diversi, in diretta relazione con le situazioni ambientali delle aree geografiche che raggiunse.

In tempi recenti furono classificate le due sottospecie Japonia e Indica, che studi genetici più recenti hanno ulteriormente differenziato in base alla qualità o al tipo di isoenzimi presenti nelle cariossidi delle singole varietà.

L'inizio della coltivazione del riso in Italia si perde nella notte dei tempi: gli Arabi, che occuparono la Sicilia per secoli, verosimilmente ne possono aver intrapreso la coltura intorno al 250 d. C. nei pressi di Siracusa, dove c'erano, e ci sono ancora oggi, zone umide semi paludose. Altrove, i mercanti di Venezia, Pisa, Genova e Amalfi, fiorenti repubbliche marinare, potrebbero aver importato le sementi e appreso in Asia le tecniche agricole.

Quanto al Piemonte, una documentazione remota circa l'uso del riso a scopo terapeutico è stata trova a Vercelli negli archivi dell'Ospedale Maggiore, dove si disponeva il riso nella dieta dei malati: "risum et amigdalas". Tra il 1478 e il 1484 il Marchese di Saluzzo Ludovico II fece costruire il traforo del Monviso, tra il Piemonte e la Provenza: lo scopo dichiarato del "pertus 'd Viso" era quello di trasportare più agevolmente il riso dall'Italia alla Francia, oltre che di importare il sale. Alla fine del XVI secolo la risicoltura nel vercellese era certamente importante come in Lomellina. Nel 1600 seminando il riso si ricavava prodotto dieci volte maggiore della semente sparsa e l'alto valore economico del suo commercio spinse i governanti a porre limitazioni alla vendita, per impedire l'eccessivo aumento dei prezzi. I Savoia promulgarono leggi per impedire l'esportazione delle sementi del riso dal Piemonte, allo scopo di proteggere le colture e i commerci dei prodotti locali, ritenuti di pregio superiore a tutti gli altri. Ancora oggi il Piemonte è rinomato per la coltivazione del riso nelle province di Vercelli, Novara, Alessandria, Biella, Torino e Cuneo. I tipi di versi di terreno e di coltivazione, in acqua o in asciutta, danno una speciale connotazione al paesaggio, di pianura o di baraggia. Anche il riso di Bra, coltivato nel bacino alluvionale del Tanaro con approccio green, dà risultati eccellenti grazie alla qualità del terreno ricco di minerali.

Se vedi un affamato non dargli del riso, insegnagli come coltivarlo

(Confucio)

Nei grandi rettangoli che riflettono la luce come specchi in primavera, i campi di riso sono disposti a creare una geometria che appaga la vista. Tutto sembra cantare sul ritmo di un inno all'acqua, come il titolo del libro di chimica in versi: "H2O, antica formula della sostanza che al mondo trovasi più in abbondanza". I campi allagati pullulano di vita, richiamo irresistibile che richiede una sosta per binocolare aironi, garzette e pavoncelle, osservare le prime farfalle e sentire gracidare le rane. Nei canali oggi cresce di nuovo l'erba, che in passato veniva eliminata con i diserbanti per fare scorrere più rapidamente le acque: oggi la vegetazione depura l'acqua in modo naturale. La nuova sensibilizzazione degli agricoltori verso la tutela dell'ambiente significa lasciar crescere le erbe autoctone sugli argini, dove si ricrea l'habitat adatto agli insetti impollinatori, e significa anche depurazione: per contenere la circolazione delle acque contaminate si inseriscono piante acquatiche nostrane flottanti su "materassi" biodegradabili. I microrganismi che vivono nel loro apparato radicale formano habitat umidi permanenti e lavorano per abbattere parte del carico inquinante.

C'è solo un ma, che mette in allarme. Quanto durerà ancora lo spettacolo? L'anno scorso il mare padano era dimezzato, con tanti campi all'asciutto. E quest'anno, senza pioggia e senza neve, ci sarà la guerra dell'acqua? E dire che oggi le tecnologie avanzatissime sono studiate per usare soltanto quella che serve, giusto per ricoprire i fondali livellati, senza più anse né gobbe né pendenze: una tecnologia antispreco che consente al nostro riso di essere un'eccellenza declinata in numerose varietà: Carnaroli, Baldo, Arborio, S. Andrea le più famose, e altre che occupano tante piccole nicchie tra le 160 registrate in Italia con il marchio DOP. Se la siccità continuerà a imperare, se continueranno a diminuire i ghiacciai e fiumi e canali non daranno più le necessarie scorte, le terre d'acqua si troveranno a un bivio della storia, in cui scopriremo se la nostra civiltà del riso ha ancora un futuro.

 

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