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Olivi piemontesi falsi e cortesi

L'ulivo è una pianta estremamente longeva e con capacità rigenerative straordinarie, in grado di fornire all'uomo svariati servizi grazie alla produzione del prezioso olio. Ripercorriamo la sua presenza punteggiata in Piemonte e la storia che l'ha condotta fino a noi.

  • Caterina Gromis di Trana
  • Marzo 2023
  • Martedì, 28 Marzo 2023
Fruttificazione dell'olivo - foto PxHere Fruttificazione dell'olivo - foto PxHere

Olio con sapiente arte spremuto

Dal puro frutto degli annosi olivi,

Che cantan -pace! -in lor linguaggio muto

Degli umbri colli pei solenti clivi,

Chiaro assai più liquido cristallo,

Fragrante quale oriental unguento,

Puro come la fè che nel metallo

Concavo t'arde sull'altar d'argento,

Le tue rare virtù non furo ignote

(Gabriele d'Annunzio)

Un filo d'olio su una fetta di pane. Sembra cosa da niente, invece si porta dietro uno straordinario strascico di storia. Chi ha piantato l'ulivo, che oggi produce quel buon olio della nostra "fettunta", può essere vissuto secoli prima di noi, è leggendaria la longevità di queste piante. I tronchi diventano nel tempo cavernosi e tortuosi, pieni di nodi: sembrano scolpiti dal trascorrere del tempo, ma sono invece il risultato di un intervento umano. Si chiama "slupatura" la tecnica che, con un attrezzo speciale, permetteva ai contadini di eliminare le parti morte del legno, tarlate dal cancro dell'olivo: un'operazione di dendrochirurgia con effetto artistico, oggi desueta, che rende onore ai contadini-scultori.

La pianta si rigenera di continuo, rinascendo dalle proprie ceneri e formando tronchi nuovi, che affiancano o a volte sostituiscono quello principale, minato dalle intemperie, seccato dalle gelate che sono il suo nemico peggiore, scavato, contorto. Non si riesce a stabilire l'età dell'ulivo contando gli anelli di accrescimento, e anche questo fa parte del mito che lo avvolge. Dal Salento al Marocco, dalla Provenza alla Sopagna, l'ulivo è ovunque, e dove non arriva la pianta arriva l'olio: combustibile per lampade, unguento medicativo, ingrediente di balsami e saponi, materiale fondamentale per cardare la lana e pettinare i tessuti fino alla rivoluzione industriale, soprattutto preziosa fonte di nutrimento, capace di rendere appetitosi tantissimi piatti.

E lì negli assolati uliveti, dove soltanto cielo azzurro con cicale e terra dura esistono, lì il prodigio, la capsula perfetta dell'uliva che riempie il fogliame con le sue costellazioni:

più tardi i recipienti, il miracolo, l'olio.

(Pablo Neruda)

La storia dell'incontro tra gli esseri umani e gli ulivi inizia ben prima della loro coltivazione. La specie selvatica, l'oleastro, forniva già i suoi frutti all'Homo sapiens almeno diecimila anni fa. Le olive erano certamente più piccole e meno ricche d'olio di quelle attuali, e molto più ricche d'acqua. L'oleastro, insieme all'olivastro che è il risultato del processo inverso, cioè del rinselvatichimento degli ulivi domestici, si trova ancora: è uno dei protagonisti della macchia mediterranea, insieme al corbezzolo, al lauro, al mirto, al lentisco, al carrubo.
Ubiquitario nel mito, l'ulivo è la pianta per eccellenza del bacino Mediterraneo, resistente alla salsedine e alla salinità del terreno, capace di sopravvivere anche a due passi dal mare, in grado di superare lunghe stagioni di siccità. Le sue foglie durano due o tre anni senza cadere e senza disperdere energia: viste al microscopio sono ricoperte di una peluria di filamenti a forma di stella, che trattengono l'acqua e ostacolano la disidratazione dovuta al vento e al sole.

E la vita è così forte

che attraversa i muri per farsi vedere.

La vita è così vera

che sembra impossibile doverla lasciare.

La vita è così grande

che quando sarai sul punto di morire,

pianterai un ulivo

convinto ancora di vederlo fiorire.

(Roberto Vecchioni)

Il luogo di domesticazione dell'ulivo fu quella lingua di terra fertile che si estende tra il Tigri e l'Eufrate, si allunga fino alle coste della Siria, del Libano e della Palestina, per piegare verso l'interno dell'Africa seguendo il corso del Nilo. Fu lì che vennero piantate le prime viti che diedero il vino, selezionati i semi di orzo e di grano che diedero il pane, e coltivati gli olivi.

Pure colline chiudevano d'intorno

marina e case; ulivi le vestivano

qua e là disseminati come greggi,

o tenui come il fumo di un casale

che veleggi

la faccia candente del cielo

(Eugenio Montale)

Il Piemonte, terra di vini, grazie ai cambiamenti climatici strizza l'occhio agli ulivi

Fino a una decina di anni fa gli ulivi hanno trovato sinora diffusione in Piemonte soprattutto nelle zone del nord-est, punteggiate da numerosi laghi. Sulle sponde del lago Maggiore, del lago d'Orta di quello di Mergozzo, la pianta di origine mediterranea trova le condizioni ideali.

Presenze di olivi nel passato agricolo piemontese sono citate a Castelvecchio di Moncalieri, a Rivoli, in Val di Susa e Val Pellice; a Torino il 7 febbraio 1369 è emesso un ordinato che impone di piantare olivi e mandorli a chiunque abbia vigne; gli Statuti Criminali di Chieri, dello stesso secolo, impongono gravi multe a chi estirpi, rubi o danneggi piante di olivo.... Si direbbe che queste piante fossero più consuete nel paesaggio agricolo del Piemonte del passato che ai giorni nostri.

I cambiamenti climatici ne hanno favorito il ritorno: l'innalzamento delle temperature tende a favorire lo spostamento delle piante mediterranee nelle zone settentrionali. La pianta, anche se proveniente dalle aree calde mediorientali, soffre la carenza d'acqua ed è sensibile durante la fioritura: temperature troppo alte provocano un aumento degli aborti fiorali e difficoltà della successiva fase di allegagione, quando i fiori iniziano a trasformarsi in frutti.

Esaminando i risultati delle molte indagini condotte sulla popolazione dell'isola di Creta,

ho notato che i centenari sono particolarmente frequenti tra i contadini,

la cui colazione è spesso costituita soltanto da un bicchiere d'olio d'oliva.

(Ancel Keys)

Sull'onda di questa nuova potenzialità offerta dal clima, l'olivicoltura piemontese si è strutturata e ha preso forma. L'associazione piemontese olivicoltori Asspo, ha soci sparsi nel Monferrato, nel Pinerolese, nel Saluzzese e nel Canavese, con un patrimonio olivicolo regionale che inizia ad essere interessante. Il settore ha stimolato la ricerca: presso l'Azienda Agraria dell'Istituto Tecnico Agrario Statale Luparia di Rosignano (Al) esiste oggi un allevamento di olivi di oltre 180 piante messe a dimora tra il 2001 e il 2005, suddivise in circa 30 varietà, scelte tra quelle maggiormente resistenti al freddo. Dal 2006 si è aggiunto un campo sperimentale che, con il supporto tecnico scientifico della Facoltà di Agraria di Torino, servirà per osservare la risposta di 100 esemplari, appartenenti a 10 varietà, a diverse tecniche di potatura e gestione.

Con l'impianto delle prime piante ottenute da varietà autoctone, ottenute cioè da piante madri già presenti sullo stesso territorio e non derivanti da vivai fuori regione, è iniziato lo studio della biodiversità olivicola piemontese. Un secondo campo sperimentale è attivo presso l'Istituto Agrario di Verzuolo, dove le stesse varietà di ulivo vengono coltivate adottando altre forme di allevamento, sesti d'impianto, concimazioni, ecc. in modo di arrivare a definire i parametri varietali e tecnici più adatti alla realtà dei territori piemontesi.

La toponomastica di molti luoghi testimonia la presenza antica dell'olvicoltura in Piemonte: da San Marzano Oliveto (At) nel Monferrato, a Monte Oliveto di Cortemilia in provincia di Cuneo e a Ponzano di Crea (Al), Regione Ulivi a Canelli, Olivola in provincia di Alessandria, Strada degli Ulivi tra Patro di Moncalvo e Grazzano Badoglio, Cascina Oliva a Fabiano di Solonghello. Le fonti storiche fanno risalire l'introduzione dell'olivo al tempo dell'insediamento dei liguri mentre altre testimonianze la attribuiscono all'epoca dei legionari romani.

Tu, placido, pallido ulivo,

non dare a noi nulla; ma resta!

ma cresci. sicuro e tardivo,

nel tempo che tace!

ma nutri il lumino soletto

che, dopo, ci brilli sul letto

dell'ultima pace!"

(Giovanni Pascoli)

Risale all'inizio del VI secolo il più antico documento che attesta la coltivazione di ulivi sulle Alpi: si tratta dell'atto di fondazione dell'abbazia di Saint Maurice d'Agaune, nella valle del Rodano, nel quale vengono elencate le proprietà dell'abbazia, tra le quali figurano vasti oliveti nel Vallese e in Val d'Aosta. La massima diffusione di questa coltivazione in Piemonte si verificò nella seconda metà del XIII secolo proprio in concomitanza con l'innalzamento delle temperature, durato circa 500 anni, fenomeno noto come "periodo caldo medievale" o "ottimo climatico medievale".

Spesso l'olivo nel Piemonte medioevale era coltivato con lo zafferano, richiesto in farmacia e profumeria, ma anche sostanza tintoria, spezia e merce di scambio e proprio ad Asti esisteva un fiorente mercato. Coltivazione dello zafferano che è ripresa sulla collina di Castelnuovo Don Bosco e venduto con il marchio Zafferano del Monferrato e anche in provincia di Cuneo a Caraglio e in Valle Grana e a Fiano nei dintorni di Torino. Fino alla fine del XIV secolo l'olivo era presente in tutto il Piemonte, anche se la sopravvivenza di questa coltivazione è stata comunque sempre difficile.

All'inizio del 1700 arrivò una fortissima gelata che devastò gli ulivi e queste condizioni climatiche avverse durarono fino all'incirca all'Unità d'Italia, come conseguenza l'olivo non fu più rinnovato per cultura da reddito, sulle colline si affermò la coltivazione della vite e il miglioramento delle comunicazioni rese più trasportare l'olio prodotto nel sud del paese. Ultima testimonianza di produzione olearia in Piemonte risale al 1911, anche se l'olio d'oliva ha avuto sempre una importanza fondamentale nella gastronomia piemontese non solo durante la Quaresima quando non si poteva condire con il grasso animale, l'alternativa era l'olio di noci. Gli olivi rimasero in alcuni giardini privati, nelle cascine, vicino alle abbazie, si ricorda che presso il complesso monumentale della pieve di San Lorenzo e del battistero di San Giovanni a Settimo Vittone, nel tratto canavesano della valle della Dora Baltea, fondato nel IX secolo, sopravvivono alcuni esemplari con almeno cento anni d'età.

Dobbiamo arrivare all'inizio degli anni Ottanta, complice anche il variare delle condizioni climatiche per ritrovare l'interesse a questa coltivazione soprattutto nella provincia di Torino, in particolare nel Canavese, seguita da Alessandria e Asti. Le varietà da olio diffuse sono quelle che più resistono a freddo e malattie: leccino, frantoio, pendolino e leccio del corno. Sono in corso ricerche per studiare quali siano invece le varietà più adatte al terreno, garantendo in futuro un incremento della produzione e un miglioramento della qualità. Nel 2009 è nata l'Asspo, Associazione olivicoltori piemontesi, che riunisce alcuni produttori e aiuta i soci nella trasformazione del raccolto in olio attraverso i tre frantoi presenti sul territorio.

La migliore ricetta è quella dell'olio della mia amica Franca, che a Sommariva Perno, nel cuore del Roero, ha ingentilito uno scorcio di paesaggio sostituendo ai castagni gli ulivi. Dopo alcuni anni in cui le sue olive venivano mescolate a quelle prodotte da altri perchè non erano sufficienti per far lavorare le macine, è arrivata a produrre olio solo suo, delle piante cresciute tra le rocche: un olio leggero, raffinatissimo.

Dopo le gelate di alcuni anni fa che hanno danneggiato le piante, Franca aveva deciso di soprassedere e dedicarsi a fragole asparagi e ciliegie. Ma io la conosco, adesso che anche altri hanno accettato la sfida di coltivare gli ulivi non solamente per dare al Parroco i rami alla domenica delle Palme, sono sicura che riproverà, forte a sua esperienza da pioniera.

 

 

 

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