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Lungo strade d'asfalto

Con una certa velocità, i nostri bordi strada e le nostre rive sono sempre meno ricchi di essenze botaniche spontanee e poche erbacce prevaricatrici ne prendono il posto.

  • Gianna Tuninetti
  • dicembre 2011
  • Mercoledì, 28 Dicembre 2011

Ricordi di bimba. La mamma che racconta degli ultimi giorni di guerra e due immagini indelebilmente impresse nella memoria: una è quella di lunghe file scure di camionette cariche di gioventù tedesca spaurita e braccata, l'altra è quella viva e gioiosa di una primavera anticipata con fioriture intense, allegramente colorate ai bordi delle strade in forte contrasto con la cupezza di eserciti in fuga. Nel racconto di un fine aprile caldo, con una esplosione di papaveri, margherite, salvie , muscari, stelline bianche, erbe lucenti, c'era tutta la gioia di nuova voglia di vivere, di guardare al futuro con nuove speranze, e forse c'era qualche fiore in più di quanto la realtà stessa non offrisse. È altrettanto vero che, osservando sul filo della memoria, ci si può render conto di come, in qualche caso lentamente, in qualcun altro con una certa velocità, i nostri bordi strada, le nostre rive, i nostri fossi, siano sempre meno ricchi di essenze botaniche spontanee e come poche erbacce prevaricatrici ne prendano il posto. Alla bimba innamorata dei fiori e della natura, attenta al loro crescere e al loro sbocciare era facile imparare, un po' per volta, le caratteristiche delle singole erbe, la loro stagionalità, sentirne i profumi. Per questi motivi il ciglio stradale che ogni mattina percorreva per andare a scuola era una continua fonte di curiosità e apprendimento. Non c'era giorno che non tornasse a casa con un fiore tra le dita e una nuova domanda da porre sull'argomento. I primi germogli verde pallido, quasi argentei di Silene vulgaris, segnavano l'allontanarsi dell'inverno mentre, in contemporanea, fioriva la Veronica persica più facilmente conosciuta come "scarpetta della Madonna", forse per l'incredibile azzurro dei suoi piccoli fragili fiorellini, mentre cresceva a vista d'occhio l'Euphorbia verdedorata, l'Achillea millefolium, la Daucus carota. Varietà di graminacee non particolarmente invadenti si mischiavano a piantine di papavero, gruppi di margherite (Leucanthemum vulgare), ciuffi di mentastro e di mentuccia (Calamintha nepeta), l'Ornithogalum umbellatum avrebbe offerto i suoi fiori di un bianco purissimo più o meno contemporaneamente ai cipollacci col fiocco, (Leopoldia comosa): due belle gigliacee già molto comuni e sempre più rare. Allora, erano gli anni 50/60, i primi tepori primaverili regalavano tutte le tonalità del verde, qualche pennellata di azzurro, una spruzzata di giallo tarassaco, ma erano i mesi di maggio-giugno quelli più colorati: il rosso fiammeggiante dei rosolacci era contemporaneo ai viola della Salvia pratensis, delle candide margherite e dei fiori pallidi e globosi della Silene; il quadro era completato dalle spighe dell'avena, elegantissima e flessuosa e delle graminacee tipiche degli habitat campestri. Non mancava qualche ortica, guai se la toccavi, imparando sul campo che certe piante hanno tante virtù ma anche qualche risvolto poco gradevole. Ed è bene conoscerlo. Intanto si preparavano a dare il meglio di sé le carote selvatiche con le loro ombrelle bianche che sembrano di pizzo, le cicorie azzurre dalla lunga fioritura estiva, la saponaria dai fiori rosa confetto raccolti in mazzolini in cima a steli verde chiaro, le achillee biancastre o rosate, qualche malva. Sembravano godere del caldo torrido della strada piccoli convolvoli striscianti e l'Hippocrepis comosa dai fiori gialli. Giù nel fosso, dove stagnava l'acqua piovana, erano presenti gli Iris pseudacorus dorati che sbocciano a fine maggio mentre la piena estate portava cespuglietti di Lythrum salicaria, una splendida erbacea perenne che regala eleganti spighe rosaviolacee, composte da una miriade di fiorellini. Negli incolti si potevano riconoscere altre erbe, altri fiori: erano abbastanza comuni il tanaceto (Tanacetum vulgare) vigorosa erbacea perenne dai capolini dorati e dal sentore amaro riuniti in infiorescenze corimbose utili per ottimi digestivi, l'Hypericum perforatum dalle prodigiose qualità medicamentose, il cardo dei lanaioli (Dipsacus fullonum) spinosissimo, alto quasi due metri le cui infruttescenze, essicate, nell'era della tecnologia più sofisticata, sono tutt'oggi utilizzate per cardare le lane pregiate. A tener puliti i bordi strada ci pensavano i cantonieri, che, per la verità, e per fortuna, se la prendevano comoda, le rive erano falciate, ogni tanto dai proprietari dei terreni, più sovente erano oggetto di raccolta di erba per conigli e il tutto proseguiva in un equilibrio collaudato da tempo. Gli sfalci e la raccolta manuale stimolavano il rifiorire di parecchie erbacee, dalla salvia alla malva, dalla silene all'achillea, accompagnando l'estate verso il suo scadere e la natura verso stagioni di maturità e di sonno. Negli anni questo equilibrato sia pur problematico microcosmo è andato alterandosi. Le cause sono molteplici: ha contribuito il maggior inquinamento provocato dall'intensificarsi del traffico, e conseguente rilascio di gas tossici (anche le piante respirano) insieme a microelementi che vanno a depositarsi sul sedime viario per essere poi diluiti e veicolati nei terreni confinanti ad ogni pioggia. Tutto ciò costringe le piante meno adattabili e più delicate a lasciar spazio a quelle dotate di maggiori risorse di sopravvivenza e capacità di autodepurarsi. Più o meno contemporaneamente sono stati eliminati i fossi veicolando tutte le acque in fogna... senza che a qualcuno venga il dubbio che anche questa pratica contribuisca non solo a depauperare il territorio da essenze botaniche interessanti ma anche ad aumentare le piene improvvise. In questa fase si osserva un primo vistoso ricambio della vegetazione: si fanno sempre più rare molte delle erbacee citate, spesso soppiantate dalla Solidago canadensis, una perenne giunta a noi dall'America del Nord come pianta decorativa che, inselvatichita, è diventata infestante. Nuove piante si spargono lungo le tratte di maggior percorrenza come la Oenothera biennis anch'essa originaria dell'America Settentrionale di lunga fioritura e di grande fascino quando, in maniera del tutto casuale, si mischia alle cicorie azzurre. Il vero guaio succede quando si impongono due graminacee per davvero prepotenti: il sorgo selvatico (Sorghum halepense) infestante tipica del mais e l' Echinochloa crus-galli altra graminacea ben presente nelle zone irrigue; relativamente facili da combattere nei modi appropriati e costanti con prodotti a base di saponi ottenuti da specifici sali. Questi diserbanti hanno il pregio di non inquinare le falde acquifere pur essendo molto aggressivi, per contro, spazzano via anche le poche essenze sopravvissute al predominio delle infestanti appena citate che sono come Attila (passato alla storia perché "dove arrivava non cresceva più l'erba") modificando pesantemente l'equilibrio naturalistico circostante e il paesaggio. Per questo bisogna intervenire con norme efficaci prima che sia troppo tardi. Chi deve tenere in ordine il ciglio delle strade deve essere costretto a curare gli spazi limitrofi e non limitarsi a quel poco di manutenzione utile affinché le radici poderose di queste graminacee non invadano il ciglio strada. Impossibile ripristinare un equilibrio botanico perso per sempre, ma qualche soluzione bisogna pur trovarla per rendere nuovamente accettabili, sotto il profilo paesaggistico ed ecologico, le nostre vie di comunicazione: una buona messa a dimora di arbusti, erbe e fiori autoctoni lungo le strade in fase di realizzazione è cosa buona e giusta... e non è mai troppo tardi per iniziare. Con una avvertenza: le diverse essenze botaniche non basta piantarle, bisogna anche farle attecchire.

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