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Abete: l’albero della notte più lunga dell’anno

L'abete addobbato è un tradizionale tema pagano, simbolo di rinascita e fertilità, assimilato in seguito dal Cristianesimo. Secondo varie tradizioni è l'Albero Cosmico.

  • Loredana Matonti
  • dicembre 2011
  • Domenica, 18 Dicembre 2011


La medicina popolare L'utilizzo degli abeti in campo medico è piuttosto antico. La resina di abete rosso veniva mescolata alla cera, ottenendo un linimento revulsivo, utile nelle affezioni reumatiche e polmonari, chiamato "pece di Borgogna". Veniva estratta anche un'altra resina chiamata "lagrimo d'avezzo", molto apprezzata dai medici del Rinascimento, tanto che nell'Herbario Novo di Castore Durante, venivano riportate curiose affermazioni, in quanto tale resina, presa per bocca, "affranca l'uomo da infiniti mali", mentre la polvere delle frondi, bevuta con vin rosso o con acqua ferrata "restringe i flussi e la dissenteria, bevuta con uova fresche ferma la scolazione dei reni". In alcune vallate piemontesi, la resina dell'abete bianco, chiamato in alcuni patois locali bijù o bigiün era ritenuta un rimedio preziosissimo e molto efficace. La raccolta avveniva sempre in piena estate, preferibilmente durante la luna piena di agosto, perchè si credeva le conferisse un'efficacia analgesica eccezionale, utilizzando come originali recipienti corni di mucca, di capra o di camoscio. Si assumevano poche gocce sciolte in acqua calda, come antidolorifico in caso di contusioni ed ematomi, ma anche come espettorante in caso di tosse, bronchiti e polmoniti. Analoghi utilizzi per l'abete rosso: i giovani rami servivano per preparare un decotto balsamico, mentre la resina si impiegava per uso esterno tal quale per assorbire gli ematomi, oppure si faceva bollire lentamente nell'olio e la soluzione ottenuta si usava per frizioni nei dolori muscolari e reumatici, oppure come cicatrizzante.

Candido e silenzioso, l'inverno si posa come un manto sugli ombrosi boschi di montagna. Le conifere ondeggiano gentili all'apice, mosse dall'aria gelida e soffici fiocchi di neve discendono delicati, come bambagia depositata a proteggere i frutti della Terra. La Natura dorme, la vita si assopisce, gli abeti vegliano. Mentre moltissimi alberi si spogliano e sembrano quasi morenti, l'abete conserva infatti, nel cuore dell'inverno, il verde intenso dei suoi aghi e una chioma folta e resistente. Questa sua caratteristica, simile a quella di altri sempreverdi, fu interpretata dagli antichi come simbolo di immortalità, ovvero del perenne flusso vitale, che perdura immutato al di là dei cicli d'esistenza e permea di vita pulsante ogni manifestazione sensibile. Evocando la rigenerazione profonda e lo sbocciare della vita luminosa nel centro dell'oscurità, fu così legato alla notte più lunga dell'anno, quella del solstizio invernale. Gli abeti comunemente detti, sono alberi sempreverdi della famiglia Pinacee, in particolare ai generi Abies e Picea, che comprendono alcune decine di specie dell'emisfero boreale. Hanno la forma di un cono eretto e slanciato, possono superare facilmente i 50 m di altezza e si trovano a quote variabili tra i 500 e i 2000 m. Al genere Abies appartiene l'abete bianco (Abies alba Mill.), la conifera sempreverde più diffusa nei nostri boschi alpini; vive nell'Europa centrale e meridionale e in Italia si trova sulle Alpi e sull'Appennino. L'abete rosso o peccio (Picea excelsa (Lam.) Link) vive in quasi tutta l'Europa, ma da noi è limitato alle Alpi. Dalle più belle foreste di questo imponente albero, dal tipico portamento "a drappeggio", provengono le tavole armoniche dei più raffinati prodotti della liuteria italiana. Le due specie possiamo distinguerle facilmente; gli aghi dell'abete bianco recano due strisce cerose biancastre nella pagina inferiore e sono disposti in due file orizzontali, opposte, sul rametto. Le pigne rimangono erette e attaccate ai rami e col tempo si sfaldano. Nell'abete rosso o peccio, gli aghi sono interamente di colore verde intenso e sono disposti radialmente, lungo tutta la sezione del rametto. Le pigne invece sono pendule e, dopo aver rilasciato i semi, cadono a terra. Possiamo ritenerli entrambi dei "vecchi guardiani" delle nostre foreste, perchè raggiungono, a volte, diversi secoli di età. Tra mito e tradizione Le popolazioni dell'Asia settentrionale consideravano l'abete il simbolo dell'"Albero Cosmico", quello che si erge al centro dell'Universo e che secondo le antiche mitologie collegava cielo, terra e inferi, mettendo in comunicazione i diversi livelli d'esistenza, ovvero il regno sotterraneo, quello terrestre e quello celeste. Anche per questo si credeva che potesse comunicare all'uomo i messaggi delle Divinità. Per i popoli celtici era un albero molto caro alla Dea Madre, lo Spirito femminile della Terra, connesso alle buone influenze lunari protettrici delle nascite, non soltanto dei bambini, ma anche delle creazioni partorite dall'ispirazione. L'origine della tradizione dell'albero di Natale si perde un po' nel tempo e nello spazio, tra leggende e interpretazioni antitetiche, contese tra paganesimo e Cristianesimo. Secondo alcune leggende l'Albero della Vita, uno degli alberi del giardino dell'Eden, era proprio l'abete. Altre sostengono che Adamo avrebbe portato con sé, dopo essere stato cacciato dall'Eden, un ramoscello dell'albero del bene e del male, che più tardi avrebbe dato vita a questo albero, usato per l'albero di Natale e per la Santa Croce. Pure nell'antico Egitto vi era la credenza di un albero della Natività, alla cui ombra nacque il dio di Biblos, il precursore di Osiride, celebrato proprio nei giorni del solstizio d'inverno, il 22 dicembre. Non a caso quindi, in quella particolare commistione tra paganesimo e cristianesimo nel corso della storia, il giorno della Natività venne fissato convenzionalmente al 25 di dicembre, lo stesso in cui, nel periodo tardo romano, si celebrava la festa del Dio sole invitto (Eliogabalo, ma anche Mitra e Sol). Le specie assunte a simbolo del Natale sono almeno due. Per le popolazioni dell'Europa del Nord è l'abete bianco, quello "femmineo" secondo Teofrasto. È anche l'Eláte di Omero, sacro alla Dea Artemide, cioè alla Luna, protettrice delle nascite, in onore della quale si sventolava un ramo della pianta intrecciato di edera e con una pigna sulla punta. Il più classico degli alberi di Natale italiani invece è l'abete rosso o peccio; la picea di Plinio o l'abete maschio, élate théleia di Teofrasto. Comunque, bianco o rosso che fosse, l'importante era addobbarlo: già nel Medioevo, nei paesi scandinavi e germanici, ci si recava nel bosco, poco prima delle feste solstiziali, a tagliare un abete, poi decorato con ghirlande, uova dipinte e dolciumi. Sembra però che l'albero di Natale nasca ufficialmente solo intorno al 1605: gli abeti, "Dannenbaumen", in tedesco arcaico, erano portati nelle case e ornati con mele, zucchero e fiori di carta, oggetti simbolo di fecondità. Curiosamente, proprio nelle nostre valli sopravvivono ancor oggi tradizioni e feste popolari simili, retaggi degli antichi riti pagani della fertilità. Alla Ramat ad esempio, frazione di Chiomonte, in Val di Susa, nelle varie borgate, in occasione di Sant'Andrea, Immacolata concezione, Sant'Antonio Abate e San Giuseppe si festeggia "Charintel": un albero sempreverde, solitamente l'abete bianco, viene collocato all'interno delle cappelle dedicate al relativo santo festeggiato e addobbato con nastri e fiori di carta crespa. Un tempo i nastri, rosa e azzurri, erano proprio quelli provenienti dai battesimi dei bambini, anche di quelli prematuramente scomparsi; in questo caso però erano di colore bianco. Evidente è l'analogia con gli alberi della fertilità ed esempi simili sono individuabili in molte altre vallate alpine. Ma torniamo di nuovo sulle tracce del nostro albero di Natale: la sua fortuna e diffusione si devono anche allo scrittore tedesco Wolfgang Goethe, che, pur non essendo particolarmente religioso, amava moltissimo questa tradizione. Nella sua opera più famosa, I dolori del giovane Werther, l'insigne scrittore inserisce anche una descrizione dell' albero natalizio che, da quel momento in poi, debutta anche nella grande letteratura. E se Martin Lutero introdusse l'usanza di addobbare l'albero con candele accese, più modernamente Edward Johnson, l'assistente di Thomas Edison, pensò bene di sostituirle con le più sicure, anche se meno romantiche, luci elettriche. Nel nostro Bel Paese entrò nella tradizione natalizia piuttosto tardi, solo alla fine del XIX secolo, quando la moglie di Umberto I ne preparò uno in Quirinale. Anche se ormai l'abete viene sostituito con simulacri sintetici, le candele di cera imitate da lucine intermittenti e le mele colorate superate da addobbi in plastica di ogni colore e foggia, il suo significato simbolico sfida la modernità. Come un possente "Guardiano" innevato ed elegante, veglia sul sonno dei dormienti, sul loro percorso sotterraneo e sulla loro gioiosa rinascita primaverile. Ad un livello più profondo esso potrebbe rappresentare la piccola luce che arde come un fuoco perenne, al di là delle cadute dolorose durante la vita, proprio quelle dalle quali è difficile rialzarsi, mostrando le risorse e la forza che, a volte, si riesce a scorgere proprio nei momenti più difficili. A Natale, sotto i suoi rami, riscopriamo così il candore e la spensieratezza dell'infanzia, come bimbi protetti, circondati da dorate ricchezze e da dolci e lucenti promesse.

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