Stampa questa pagina

Alle fronde dei salici

E come potevamo noi cantare

con il piede straniero sopra il cuore

fra i morti abbandonati nelle piazze

sull'erba dura di ghiaccio, al lamento

d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero

della madre che andava incontro al figlio

crocifisso sul palo del telegrafo?

Alle fronde dei salici, per voto

anche le nostre cetre erano appese,

oscillavano lievi al triste vento.

(S. Quasimodo)

  • Caterina Gromis di Trana
  • Dicembre 2020
  • Lunedì, 30 Novembre 2020
Foto Pixabay Foto Pixabay

 

Siamo querce che si sono fatte salici.
Allo scontro abbiamo preferito l'ascolto.
Al soccombere, la linfa vitale che porta sempre a rinascere.

(Susanna Tamaro)

In Italia sono rappresentati da una quarantina di specie e per molto tempo è stato arduo riconoscerli: hanno un portamento variabile, da cepuglioso ad arboreo, si presentano in più specie nello steso ambiente come se volessero mescolare le carte, e per di più si ibridano facilmente tra loro; anche le foglie non aiutano nella determinazione, diverse come sono nei vari stadi vegetativi. I salici, inoltre, hanno la caratteristica abbastanza rara nel mondo vegetale di presentare individui con sessi distinti: i maschili producono infiorescenze dall'aspetto molto diverso dai femminili della stessa specie, e invece, ennesimo rompicapo per gli studiosi, somigliano ad altri, sempre maschili ma di specie differenti. Una pubblicazione di prestigio, vista la complessità botanica del tema, risponde a molti di questi dubbi: I salici d'Italia – guida al riconoscimento e all'utilizzazione pratica, di Fabrizio Martini e Paolo Paiero (edizioni LINT, Trieste 1988). Può sembrare datata, ma è attualissima: i salici restano ancora salici e presentano sempre i medesimi problemi. Nella nostra esistenza, accompagnata da profonde crisi ambientali, hanno un ruolo non trascurabile: possono essere usati con successo con tecniche di ingegneria naturalistica nel recupero degli habitat, per consolidare ambienti franosi e per la protezione degli alvei di fiumi e torrenti.

 

Poichè io farò scorrere acque nella steppa,
torrenti su un terreno arido.
Spanderò il mio spirito sulla tua discendenza,
la mia benedizione sui tuoi posteri;
cresceranno come erba in mezzo all'acqua,
come salici lungo acque correnti

(Isaia 44,3-4)

 

Il ritualismo vegetale è intatto: celebrare Dio con piante rigogliose, nell'antichità aveva anche la funzione di propiziare la fertilità della terra e la fecondità del bestiame. Il salice, che cresceva sulla riva dei torrenti, accanto all'acqua considerata dagli Ebrei, come da ogni popolo che vive in luoghi aridi, fonte di vita, era simbolo del perenne e sempre nuovo fiorire e germogliare. Dai versetti messianici di Isaia la cristianità trasse un simbolismo salvifico, il cui primo esempio si trova in uno scritto penitenziale, Il pastore, pubblicato alla metà del secondo secolo da un cristiano di Roma, di nome Erma. E' un'allegoria che si conclude con il perdono del peccato: il pastore mostra allo scrittore un salice gigantesco che ricopre campi e monti e alla cui ombra riposano "coloro che erano stati chiamati nel nome del Signore". Dall'albero un angelo aveva tagliato i rami senza che la pianta ne soffrisse, per offrirli agli uomini; poi tutti dovevano restituire il loro ramo, per reinnestarlo sul salice vivo. I più riportavano rami disseccati, che sarebbero tornati vivi e brillanti. I martiri invece brandivano un ramoscello verde, che aveva prodotto frutti che non erano caduti. Erma nel suo testo chiede una spiegazione al pastore, e lui risponde: "Questa pianta è il salice, ed è una specie che ama la vita... Questa grande pianta che copre i monti e tutta la terra... è il Figlio di Dio annunciato sino ai confini della terra... Colui che creò questa pianta vuole la vita di coloro che ne ricevettero un ramoscello..." I martiri sono dunque rami fecondi del divino salice, che diventa un Albero cosmico.

 

Da mille anni e più la dolorosa Ofelia
Passa, fantasma bianco, sul lungo fiume nero;
Da mille anni e più la sua dolce follia
Mormora una romanza al vento della sera.
La brezza le bacia il seno e discende a corolla
Gli ampi veli, dolcemente cullati dalle acque;
Le piange sull'omero il brivido dei salici,
S'inchinano sulla fronte sognate le giuncaie.

(A. Rimbaud - Ofelia, vv. 5-12, 1992)

Da pochi anni fa parte degli alberi monumentali del Piemonte un salice bianco (Salix alba) che si trova al confine di due campi lungo il Rio Riddone in località Garbianotto, nel Comune di Piobesi d'Alba del Roero. Ha un tronco che sembra una scultura e un aspetto che evoca le sue origini preistoriche. I primi resti fossili del genere Salix si collocano nel periodo geologico in cui scomparvero i dinosauri e iniziarono a diffondersi le prime piante pioniere tra cui i salici, le magnolie e le conifere. La storia di questa pianta si lega alle straordinarie proprietà curative identificate fin dall'antichità nell'uso della corteccia, delle foglie e dei fiori, e agli innumerevoli utilizzi del legno. In Assiria e nell'antico Egitto già se ne conoscevano le proprietà medicinali, che Ippocrate descrisse 400 anni prima di Cristo.
Grazie alla salicina o acido salicilico, principio attivo estratto dalla linfa e dalla corteccia, gli si attribuivano poteri miracolosi contro tutti i malanni dell'umidità e del freddo. Fu nel 1828 che Henri Leroux, farmacista francese, e Raffaele Piria, chimico italiano, riuscirono a sintetizzare dal salice bianco l'acido salicilico in forma di cristalli, precursore del farmaco che conosciamo con il nome di aspirina: notissimo, è a base di acido acetilsalicilico, versione modificata dell'originale, creata per diminuirne gli effetti collaterali.

Questo monumento al Gabianotto, durante le sue innumerevoli stagioni sul rio, ha visto momenti di asciutta, di piena, di gelo, e l'epoca in cui faceva parte di un filare di piante con il tronco capitozzato, sormontato da lunghi getti verticali, dando una connotazione caratteristica al paesaggio rurale. Erano tempi in cui la "capitozzatura", che cambiava radicalmente l'aspetto di un albero altrimenti svettante, consentiva di integrare con alcuni prodotti strategici l'essenziale economia agricola. Dai giovani virgulti dei salici si ricavavano pali per i manici degli attrezzi agricoli, vimini per la produzione di ceste e stuoie, vincastri per legare viti e innesti, fascine di piccola legna per i forni del pane. Le radici lunghe e forti consolidavano le sponde e i vecchi tronchi con le loro cavità davano riparo a uccelli selvatici e piccoli mammiferi. I fiori erano visitati dalle api per il miele di primavera, preziosa fonte di polline e nettare già in gennaio e febbraio quando c'è poco o niente a disposizione degli insetti pronubi, le foglie e la corteccia venivano essiccati per infusi e decotti e il legno chiaro, leggero e robusto, serviva per lavori di piccola carpenteria e per realizzare i giocattoli dei bambini.

 

Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastromi danno sicurezza.

Bibbia, Salmo 22

Il salice bianco è da sempre impiegato come pianta da vimini, per i suoi giovani getti lunghi e diritti, resistenti e flessibili. Viene capitozzato per aumentare la produzione dei rami, i vinchi o legacci, provenienti dai rami più teneri, usati in agricoltura per legare le viti. Con i più robusti vincastri si realizzano cesti, stuoie, oggetti vari e bastoni. Sono loro, i rami del salice da vimini, quelli di millenaria tradizione, usati dai pastori per guidare il gregge e per allontanare dalle pecore cani randagi e lupi.

Il vincastro dei pellegrini è lungo all'incirca come la persona che lo possiede e viene impugnato a due terzi della sua altezza, per sostenere parte del peso durante il cammino: sulla sua sommità una sorta di ricciolo ricurvo serve a portare piccoli sacchi per il viaggio. Simbolo di guida spirituale del popolo di Dio nella metrafora del pastore con il suo gregge, il vincastro è rappresentato dal pastorale, costruito con materiali preziosi, insegna di vescovi e di papi, simbolo di strumento guida e di protezione.

 

Che Fatica sprecata ch'è la tua
diceva er Fiume a un Salice Piangente
che se piagneva l'animaccia sua.
Perchè te struggi a ricordà un passato
se tutto quer che fu nun è più gnente?
Perfino li rimpianti più sinceri
finisce che te sciupeno er cervello
per quello che desideri e che speri.
Più ch'a le cose che so'state ieri
pensa a domani e cerca che sia bello!
Er Salice fiottò: "Pe' parte mia
nun ciò né desideri né speranze:
io so' l'ombrello delle rimembranze
sotto una pioggia de malinconia:
e, rassegnato, aspetto un'alluvione
che in un tramonto me se porti via
co'tutti li ricordi a pennolone.

Trilussa, Er Salice Piangente

 

Il Viminale, uno dei sette colli di Roma, probabilmente deve il suo nome a una fitta selva di salici che nei tempi antichi ricoprivano le sue pendici. Erano salici da vimini, non piangenti certemente, perchè il salice piangente arriva dall'Oriente, forse della Cina, introdotto in Europa nel 1692, pianta molto amata e coltivata, ma non spontanea del nostro paese. Ha un fascino universale, che si adatta al carattere e all'umore di chi la ammira: sempre poetico, può essere triste e malinconico o dispensatore di serenità e di sentimenti armoniosi, come il salice piangente del giardino di Livia a Cavour. All'ombra delle sue fronde un giorno che sembra di mille anni fa, quando erano consentiti gli assembramenti, si è radunato un gruppo di appassionati di piante, Gli amici delle erbe, assidui seguaci delle iniziative a tema botanico di Maria Teresa della Beffa che ne è l'anima e la guida. Lei dei salici e della loro complicata nomenclatura tutto sa, da professionista, come in generale su quello che riguarda le piante. Nel raccoglimento della sosta sotto il salice di Livia ... di sicuro non ci pensava, ma raccoglieva allegre memorie.

 

Potrebbe interessarti anche...

Quando le giornate iniziano ad allungarsi e ci concediamo le prime passeggiate dopo l'inverno, un ...
Senza tema di smentita, l'Orchidea gigante Barlia robertiana o Himantoglossum robertianum ...
Viaggio alla scoperta della pesca, frutto antichissimo dalle mille virtù, fra notazioni storiche ...
Il nocciòlo è conosciuto fin dall'antichità e i Romani lo consideravano addirittura magico, at ...