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La carica dei Cormorani

Oltre agli appassionati di fotografia e di bird watching c'è chi si interessa al sinuoso volatile per la sua voracità: il cormorano si nutre infatti di un'ampia varietà di pesci e gli stock ittici scarseggiano dove ci sono sue popolose colonie.

  • Elisa Bottazzi
  • ottobre 2011
  • Mercoledì, 5 Ottobre 2011


Portamento elegante e corpo sinuoso, piumaggio nero e un lungo becco uncinato: il cormorano è un uccello dall'aspetto inconfondibile che gli appassionati di fotografia e birdwatching amano osservare e catturare con i loro obiettivi. Negli anni più recenti in Piemonte un'ulteriore categoria di persone si è aggiunta agli interessati al cormorano ma ben distante dalla passione per l'ornitologia. Si tratta dei portatori di interessi legati alla pesca che denunciano un preoccupante calo dell'ittiofauna presente nei corsi d'acqua e nei laghi del territorio regionale. Un problema solo italiano? No di certo: secondo un recente studio (Kohl, 2008) la popolazione di cormorani in Europa centrale è passata dai 300.000 individui del 1995 sino agli oltre 440.000 censiti nel 2000, con un trend in costante crescita. Attualmente si stima che l'intera popolazione europea di questi uccelli superi i due milioni di esemplari: le cause sono almeno tre. Innanzitutto le politiche europee di protezione dell'avifauna hanno progressivamente vietato la caccia agli uccelli predatori, cormorano compreso. Non bisogna dimenticare che, negli anni '60, il cormorano era una specie praticamente sull'orlo dell'estinzione, con solo 800 coppie nidificanti. In secondo luogo, l'habitat di distribuzione del cormorano, una volta confinato nelle regioni costiere, oggi si estende a molte zone fluviali e lacustri interne. La colonizzazione di questi nuovi habitat gli ha perciò consentito di diventare un ospite ormai comune anche del territorio piemontese. Infine, le politiche comunitarie di tutela delle acque interne hanno permesso il recupero di molti ambienti e della loro fauna, ittica e aviaria. A tutto ciò va aggiunta la creazione di nuovi habitat come bacini idroelettrici e per la pesca sportiva, laghi di cava, impianti di acqua-coltura. Il cormorano è un ittiofago generalista e opportunista che si nutre di un'ampia varietà di specie ittiche: mediamente un individuo è in grado di consumare dai 300 ai 500 grammi di pesce giornalieri. Non c'è dunque da sorprendersi del fatto che, in zone che ospitano popolose colonie di cormorani, gli stock ittici subiscano una forte pressione predatoria. La legge italiana e quella europea (la Direttiva Uccelli 79/409/CEE) parlano chiaro: il cormorano è una specie protetta e non cacciabile. Tuttavia, a livello locale, possono essere adottati provvedimenti di abbattimento selettivo, in deroga alla legge, qualora fossero dimostrati gravi danni alle attività di pesca o acquacoltura. Provvedimenti che, puntualmente, spaccano in due l'opinione pubblica: da una parte i portatori di interesse, dall'altra gli oppositori alla caccia. A complicare la situazione sono anche le approssimative modalità di abbattimento che, in passato (l'ultimo caso risale al marzo 2011), hanno determinato la condanna dell'Italia da parte della Corte di Giustizia Europea. Le politiche di abbattimento, oltre ad accendere dibattiti dal punto di vista etico e a comportare costi non indifferenti per le amministrazioni locali, non risultano nemmeno efficaci nel lungo periodo. L'abbondanza dei cormorani tende infatti a convergere con la capacità portante dei sistemi acquatici: in parole povere, i cormorani tendono ad aggregarsi numericamente dove le condizioni sono più favorevoli, rimpiazzando perciò in breve tempo i capi abbattuti. Le sperimentazioni sul campo rivelano che gli unici deterrenti in grado di arginare gli impatti sulla popolazione ittica sono i mezzi di dissuasione incruenta come le barriere fisiche (reti sospese sull'acqua o rifugi per i pesci), oppure i disturbi visivi (come raggi laser o strisce riflettenti) o acustici (cannoncini e spari a salve). In Piemonte la presenza del cormorano è monitorata sin dal 1985 e sono ben note le abitudini alimentari di questo ittiofago che concentra la sua predazione su specie quali cavedano, carassio, carpa, triotto e pigo. Colonie stabili di due sottospecie di cormorano – la forma continentale (Phalacrocorax carbo carbo) e quella atlantica (P. c. sinensis) – sono segnalate in numerose aree del territorio. Come, ad esempio, nel Parco fluviale del Po tratto torinese dove sono presenti circa un centinaio di cormorani non nidificanti, sia stanziali che svernanti, i cui dormitori principali si trovano nell'area di Molinello (Moncalieri) e nel tratto fluviale presso Chivasso. Nel Parco naturale delle Lame del Sesia (Vc), invece, gli individui segnalati sono circa 150, in significativa riduzione rispetto ai 450 degli anni passati. Attualmente si stima che a livello regionale la presenza del cormorano si sia stabilizzata su circa 3500-3800 individui svernanti e 200-300 "coppie" nidificanti. Nonostante la popolazione non sia più in aumento, gli impatti del cormorano sulle specie ittiche endemiche sono evidenti e ancora più significativi data la progressiva riduzione delle portate dei tratti fluviali che, negli ultimi anni, affligge praticamente tutti i corsi d'acqua piemontesi. Come spiega l'ittiologo Alessandro Candiotto, gli impatti della presenza del cormorano sono evidenti soprattutto nei piccoli bacini isolati, come ad esempio i laghi di cava: «Dove erano presenti numerosi individui di cormorano, le popolazioni ittiche sono state decimate quasi totalmente. In ambienti chiusi l'impatto di questo ittiofago è enorme: è stata segnalata la predazione di lucci, carpe e tinche di grosse dimensioni, anche di 2 o 3 chilogrammi di peso». Le uniche specie in grado di sfuggire alla predazione, prosegue l'ittiologo «sono i pesci bentonici quali, ad esempio, il cobite e il ghiozzo, o altre specie di piccola taglia». Come gestire e arginare queste gravi alterazioni ambientali? «Il cormorano nei delicati ambienti di acqua dolce è un problema da gestire a livello locale ed europeo, prima che si perdano definitivamente alcune specie ittiche endemiche e non», prosegue Candiotto. «Il cavedano, uno dei pesci autoctoni più comuni in Italia, è quasi scomparso in alcuni corsi d'acqua interessati dalla costante presenza del cormorano». Chi si occupa del problema dei cormorani sa bene che la parola d'ordine deve essere il dialogo fra tutti i soggetti chiamati in causa: pescatori, gestori di allevamenti, associazioni ambientaliste, ornitologi e ittiologi, dal momento che una politica di gestione razionale deve nascere dal comune accordo e dalla convergenza di obiettivi. Ma, ancor più importante, è che le istituzioni europee diano il loro contributo in termini di ricerca e coordinamento degli interventi per evitare la definitiva compromissione degli ambienti di acqua dolce.

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