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Casacche a righe ma non giocano a calcio

Un tempo si chiamavano zoo, e spesso erano dei veri e propri lager dove gli animali erano esposti in gabbie troppo anguste. Oggi la situazione è molto diversa ma gli interrogativi e i dubbi rimangono.

  • Aldo Molino
  • novembre 2012
  • Lunedì, 5 Novembre 2012

Se provate a chiedere a qualcuno che sia stato bambino in una grande città nei primi anni '60 del secolo scorso, quale fosse la cosa che lo entusiasmava di più, sicuramente sentirete dire "lo zoo". Andare allo zoo era uno di quegli avvenimenti che valevano anche il sacrificio di fare i compiti senza aspettare l'ultimo momento. Certo le gabbie non erano come la natura, ma la fantasia poteva galoppare verso terre immaginarie e aiutare a crearne altre. Poi con la crescita economica, la televisione e i viaggi, la nascita di una coscienza ambientalista non più esclusivamente elitaria, ci si è cominciati a interrogare su quelle gabbie troppo anguste, su quelle sbarre costrittive, su certe coabitazioni forzate, su condizioni igieniche che lasciavano alquanto a desiderare e su maltrattamenti diffusi. Gli anni '80 in Italia segnano la crisi dei giardini zoologici pubblici e sotto la spinta dell'opinione pubblica, ma anche di interessi immobiliari, la maggior parte viene chiusa, come a Torino nel 1985, a Milano, a Verona, mentre altri come quelli di Roma avviano un percorso di profonde trasformazioni che non soltanto recepiscono le critiche nostrane ma anche le nuove linee guide del conservazionismo. Contestualmente nuove realtà nascono per opera di collezionisti privati, o investitori che coniugano animali con parchi tematici. Contestati dagli animalisti, tollerati dagli ambientalisti, ma amati da bambini e famiglie, i parchi faunistici costituiscono una realtà con cui, parlando di biodiversità, fare i conti è indispensabile. Naturalmente ci si trova di fronte a situazioni molto differenziate sia nelle motivazioni che nei contenuti e i distinguo sono d'obbligo. Bioparchi, zoosafari, parchi naturalistici, centri di allevamento di specie in estinzione, wild farm, fattorie didattiche, centri visita, centri recupero, ma anche acquari, rettilari ecc. sono luoghi che hanno in comune il custodire animali che normalmente dovrebbero trovarsi allo stato selvaggio in regime di cattività o di semilibertà. L'esigenza di avere un pubblico è l'obiettivo primario delle iniziative commerciali, altre volte è una necessità per garantire le risorse per sopravvivere. E non mancano le criticità, anche perché la crudeltà nei confronti degli animali è lontano dall'essere risolta. Il primo moderno zoo del mondo ancora esistente è il Tiergarten di Schönbrunn a Vienna, fondato nel 1752 da Francesco I. Il più antico zoo italiano invece è il Giardino zoologico di Roma (oggi bioparco), aperto al pubblico nel 1911. Nel mondo sono oggi oltre 2000 quelli ufficialmente riconosciuti Scienza, etica, morale sono difficili da conciliare, ad essere cattivi sono sempre sempre gli altri e non sembra ci possano essere per ora soluzioni che accontentino tutti. Recentemente un gruppo animalista ha fatto irruzione in uno zoo svizzero liberando alcuni animali tra cui una lince con il risultato che il povero felino dopo appena cinque giorni è stato abbattuto dai gendarmi. La contraddizione di fondo è che con una buona dose di ipocrisia, da un lato le istituzioni discutono, finanziano, avviano progetti per conservare, tutelare, rispettare, dall'altra nessuna istituzione fermerà mai una ruspa impegnata nel compito imprescindibile di far crescere il Pil. Di fronte alla spaventosa perdita di biodiversità del pianeta, che in un futuro non molto lontano rischia di mettere a repentaglio la stessa sopravvivenza della specie umana, come soluzione tampone sempre più frequentemente ci si affida a centri con animali in cattività. Il Condor della California, l'Oca delle Hawai, il Gheppio di Mauritius sono per ora scampati all'estinzione facendo riprodurre in cattività lo sparuto gruppo di individui sopravvissuti. La normativa comunitaria e le strategie internazionali al riguardo dei parchi faunistici si stanno muovendo su due linee convergenti, che mirano allo stesso obiettivo, e cioè a una completa trasformazione dello zoo da struttura esclusivamente di divertimento e di commercio, in ciò accomunandolo a realtà già esistenti e specificamente orientate, a una stazione di ricerca scientifica al riguardo del benessere animale, della riproduzione in cattività a scopo di ripopolamento e alla preservazione di specie estinte o quasi scomparse in natura, al fine di ricreare popolazioni numericamente adeguate a una reintroduzione immune da rischi legati alla consanguineità. La natura selvaggia, ormai ridotta al lumicino, ospita – solamente nell'angusto spazio degli zoo – animali come la tigre, il leopardo delle nevi, l'orango di Sumatra e il rinoceronte nero che fanno parte del nostro immaginario culturale e della nostra identità mitica. Sempre che non ci si ravveda, e ci si avvii verso un futuro realmente sostenibile e che la popolazione umana, come dicono gli esperti, cessi di crescere per stabilizzarsi. L'idea di animali tenuti in cattività sicuramente può anche far storcere il naso, ma non sembra che le strategie complessive dei governi abbiano particolarmente a cuore il mantenimento della selvaticità. In molti luoghi ormai, se vuoi avere un qualche rapporto con un animale, il parco è l'unica opportunità e ha anche risvolti positivi in quanto consente di far avvicinare i bambini alla natura educandoli al rispetto della vita. Se alcune specie sono state salvate per ora dall'estinzione lo dobbiamo all'azione di alcuni zoo (in senso lato) benemeriti. La presenza di riproduttori nei bioparchi consente ambiziosi progetti di reintroduzione in natura come è accaduto per il Gipeto, che è tornato a roteare sulle Alpi. Ma anche gli stessi parchi naturali a ben vedere soffrono degli stessi problemi. Molti ecosistemi sono troppo piccoli, molti habitat frantumati e il rapporto tra dentro e fuori non è dissimile se non nelle dimensioni da un grande bioparco. A ciò dovrebbero porre rimedio i corridoi ecologici, che però stentano a trovare una loro strada per affermarsi. Gli argomenti principali dei detrattori dei bioparchi (inteso nel senso lato del termine) sono l'impatto negativo che avrebbero sulle popolazioni selvatiche utilizzate per rifornire animali in cattività, che la possibilità di fare viaggi, la televisione e il cinema ha ridotto la necessità di vedere specie esotiche, che per quanto l'ambiente sia confortevole, sempre di un crudele luogo di reclusione si tratta. A queste critiche si controbatte che ormai la quasi totalità degli animali è nata e si riproduce in cattività e che non potrebbe riadattarsi alla vita selvaggia (salvo ovviamente i soggetti allevati con molta fatica e attenzioni per le riproduzioni), o che malati debilitati o feriti non sono più adatti alla vita in natura ma che costituiscono comunque un importante stock genetico, che i viaggi non sono alla portata di tutti e che le moderne ambientazioni riducono lo stress al minimo. Interessante quanto scrive Patrizia Rossi a proposito del Centro del Lupo: "Infine, i risvolti etici. L'ipotesi di realizzare un'area faunistica con esemplari in cattività provenienti dai centri faunistici dell'Appennino è stata a lungo dibattuta e non è stata una scelta facile: limitare la libertà di un animale che ne è il simbolo stesso, pareva un evidente controsenso. Ma al di là delle considerazioni emotive la decisione finale è razionalmente giustificata: pochi esemplari in semilibertà consentiranno a numerosi branchi di lupi di correre liberi, non solo sulle Alpi Marittime ma sull'intero arco alpino". Essendo gli interessi impossibilitati a comunicarci verbalmente le loro opinioni e rimostranze dicono gli esperti che indice di benessere sarebbe la mancanza di movimenti stereotipati (non fare il "leone in gabbia" si dice di chi va avanti indietro). Che l'attenzione e il benessere degli animali viene prima di ogni altra considerazione e che l'interazione tra uomini e animali è spesso molto stretta e quasi simbiotica. Particolarmente sensibili alle lusinghe del cibo i rapaci dimostrano un notevole attaccamento al falconiere. Gli zoo impegnati per la conservazione si muovono con strategie che sostanzialmente consistono in: - sostenere attivamente la conservazione delle popolazioni di specie minacciate e i loro ecosistemi naturali; - offrire il supporto e le strutture necessarie all'approfondimento delle conoscenze scientifiche da cui la conservazione può trarre beneficio; - promuovere presso il pubblico e le forze politiche una maggiore consapevolezza della necessità di conservare la natura, dell'esigenza di sfruttare in modo sostenibile le risorse naturali e di stabilire un giusto equilibrio tra uomo e natura. La strategia mondiale degli zoo per la conservazione si rivolge non ai singoli zoo ma alle associazioni che riuniscono gli zoo sotto un "ombrello" nazionale che ne garantisce determinate caratteristiche. A livello internazionale tali zoo (più di mille), sono riuniti in un Network Mondiale rappresentato dalla IUDZG Ma qual è la situazione attuale in Piemonte: collegato con il Parco naturale delle Alpi Marittime, il parco faunistico del Lupo ospita in un grande recinto esemplari del temibile carnivoro che non possono essere rilasciati in libertà. A Racconigi, il Centro Cicogne di Bruno Vaschetto propone una collezione di anatre anche esotiche, cicogne e gru e negli stagni circostanti e sui tetti delle cascine animali selvatici stanziali o di passo. Curioso come le gallinelle d'acqua numerose nel vicino Maira nei pomeriggi invernali si presentino numerose nel centro per fare merenda. Nel Cuneese a Murazzano troviamo lo zoosafari di impostazione classica dove si gira in automobile tra animali più o meno selvaggi. Nel novarese a Varallo Pombia lo zoosafari unisce animali e parco dei divertimenti, una commistione propria di altre realtà italiane. Interessanti il rettilario e l'acquario. Agrate Contubia con la Torbiera è centro specializzato nella riproduzione di animali a rischio di estinzione con importanti presenze di felini e un progetto relativo alla lontra europea. Zoom di Cumiana è la realtà più recente ancora in itinere, forse la più moderna tra i centri che puntano sull'aspetto ricreativo ma anche educativo. Non tantissimi animali ma quasi nessuna gabbia. È l'acqua spesso a fare da barriera, gibboni e lemuri sembrano perfino divertirsi, in quanto alla tigre, è stata sottratta anni fa ai maltrattamenti circensi e tra un acciacco e l'altro trova anche il modo di farsi una nuotata. E come altrove non mancano esibizioni di volo di rapaci diurni e notturni.

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